Geroglifici postmoderni e stilemi primordiali dipinti con bombolette spray irrompono al Museo delle Culture di Milano, per ripercorrere la vicenda creativa di Jean-Michel Basquiat.
Il poeta dei graffiti
Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure spinge a volerle leggere ancora di più. (Jean-Michel Basquiat).
Irruento e sofisticato, primitivo e anticipatore, sognatore e disilluso. Jean-Michel Basquiat è un intrecciarsi di contraddizioni. Se il mix di parole e pennellate delle sue tele arriva subito dritto al cuore, è necessario uno sguardo profondo per comprendere un universo creativo che trova le sue radici in un’avvincente vicenda umana e in un’epoca segnata da un incontro-scontro fra culture.
A dieci anni dalla retrospettiva alla Triennale, Milano torna a posare la lente d’ingrandimento su uno degli artisti più enigmatici del secolo breve. Il progetto del MUDEC –con la curatela di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio- abbandona l’austero sguardo cronologico della mostra precedente, per indagare Jean-Michel Basquiat con un approccio che ha come filtro l’emozione. Le 140 opere in mostra, provenienti in gran parte dalla raccolta privata della famiglia Mugrabi, rivelano la passione di un collezionista che ha avuto la sensibilità di cogliere il talento di un genio, fin da quando i suoi graffiti pionieristici segnarono i primi scompigli fra le gallerie newyorkesi.
Un primitivismo rinnovato
Negli spazi dell’ex Ansaldo uno stream of consciousness di parole cancellate si intreccia a segni ancestrali su supporti di volta in volta differenti: tela, legno, cartone e talvolta perfino finestre ventrate. Nella promiscuità creativa di Basquiat, a colpire è soprattutto il connubio fra l’Istinto viscerale della pittura e la profondità della riflessione sul suo essere afroamericano, certificato da un linguaggio primitivo, tanto radicale quanto attuale. Se i maestri delle Avanguardie si appropriano delle forme primordiali guidati da una fascinazione per l’idillio esotico di stampo letterario, Basquiat ne fa una questione strettamente personale e riprende le antiche simbologie per indagare se stesso in relazione alla distanza fra la propria origine e la propria cittadinanza.
I geroglifici postmoderni dell’elegante ribelle solito dipingere in smoking si inseriscono con disinvoltura fra le collezioni del Mudec, per un viaggio a cavallo fra luoghi distanti ed epoche lontane.
New York: fra storia dell’arte e leggenda
Ma l’irascibilità del lavoro di Basquiat si fa anche portavoce di un’infanzia difficile, di una personalità fragile e di un’esistenza tormentata, trascorsa a scappare, ma forse anche a rincorrere i propri fantasmi. Dalla fanciullezza solitaria alla vita per strada, fino agli incontri con Andy Warhol, Keith Haring e Madonna, e poi ancora l’alcol, la droga, la follia e la morte di overdose a 27 anni; il tutto sullo sfondo di una New York a cavallo fra storia dell’arte e leggenda.
Un cortocircuito fra passato e futuro, identità personale e apparenza collettiva, al Museo delle Culture di Milano fino al 26 febbraio.
Informazioni utili
Basquiat
A cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio
MUDEC
Via Tortona 56, Milano
Fino al 26 febbraio 2017
ja grafitava