È solo la fine del mondo: dopo il successo a Cannes 2016 arriva anche nelle sale italiane l’ultimo film di Xavier Dolan, il giovane prodigio del cinema canadese. Al cinema dal 7 dicembre.
Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes, È solo la fine del mondo (Juste la fin du monde) è il nuovo film di Xavier Dolan -il 6° a soli 27 anni- il giovanissimo regista canadese che ormai sulla croisette è di casa. “Spero che questo film dia fiducia a chi ogni giorno è vittima di violenza e discriminazioni. Tutto quello che facciamo, lo facciamo per essere amati. Per me almeno è così”. Il regista di Tom à la ferme nel 2014 aveva vinto il Premio della giuria per Mommy, nel 2012 la Queer Palm per Laurence Anyways, nel 2010 il Regards Jeunes Prize per Les Amours imaginaires e nel 2009 tre premi nella sezione dedicata alla Settimana Internazionale della Critica. Ormai manca solo la Palma d’oro. Per Xavier Dolan È solo la fine del mondo è il primo film dell’età adulta, e il primo con un cast internazionale.
In È solo la fine del mondo Louis (Gaspard Ulliel), giovane drammaturgo di successo che da tempo ha lasciato la sua casa di origine per vivere a pieno la propria vita, torna a trovare la sua famiglia (dopo 12 anni di assenza) per comunicare una notizia importante, sta andando incontro alla morte. Tornare dopo tanto tempo dalla propria famiglia lo rigetta in un ginepraio di nevrosi e dinamiche irrisolte.
C’è la madre di Louis (Nathalie Baye), vistosa e svampita all’apparenza, ma con lampi di arguzia che la rendono inaspettatamente saggia. La sorellina di Louis, Suzanne (Léa Seydoux) lo avvolge in un abbraccio disperato all’arrivo, sotto il suo affetto si cela un tormento che pian piano si dipana tra una conversazione e l’altra. Non vede il fratello da quando aveva 4 anni e nonostante il passare del tempo sembra aver conservato per lui quell’affetto infantile e spontaneo, gratuito, tipico dell’infanzia.
Al contrario il fratello maggiore, Antoine (Vincent Cassel) è un osso più duro, si mantiene a distanza, è scorbutico e rabbioso. Un cane ferito. Sua moglie, la mite Catherine (Marion Cotillard), è un concentraro di insicurezza, balbetta nervosamente cercando l’approvazione del mondo. Eppure è proprio con lei che Louis ha l’alcuni dei momenti e dei confronti più sinceri. Nonostante non si fossero mai conosciuti prima sembra tra i due ci sia un’intesa epidermica.
>> Louis, in mezzo al rumore e alla confusione di questa famiglia come tante, è taciturno, sembra osservare il mondo da lontano, alle domande risponde con un sorriso, come se le parole non trovassero in lui una forma adeguata.
Primo film con cast internazionale per il regista de Gli Amori Immaginari: Gaspard Ulliel (Hannibal Lecter – Le origini del male, Una lunga domenica di passioni, Saint Laurent) nel ruolo del protagonista e Vincent Cassel (La promessa dell’assassino, Il cigno nero, I fiumi di porpora), come suo fratello maggiore, che si ritrovano a recitare assieme dopo Il Patto dei Lupi (2001).
Marion Cotillard (La vie en rose, Inception, Macbeth), Léa Seydoux (The Lobster, Saint Laurent, Grand Budapest Hotel) e Nathalie Baye (Laurence Anyways, Il fiore del male, Prova a prendermi) le protagoniste femminili.
Xavier Dolan per il suo nuovo film ha adattato una pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce e rispettandone il carattere anticinematografico del testo -con ripetizioni, incertezze, goffaggini, errori di grammatica, esitazioni- fa di questo il punto di forza della sceneggiatura che scorre veloce e palpitante. Per stessa ammissione del regista il primo approccio col testo originale di È solo la fine del mondo non è stato entusiasmante, anzi, a seguito di una prima lettura -dopo poco il suo esordio con J’ai tué ma mère– l’aveva accantonato; è stato solo quattro anni dopo, al termine delle riprese di Mommy, che il testo è balzato di nuovo alla sua attenzione. I silenzi, le esitazioni, le irrequietezze e le irritanti imperfezioni dei protagonisti sono diventati per Dolan, grazie a una nuova maturità, un linguaggio comprensibile, utilizzabile. Un linguaggio con il quale è potuto tornare sul luogo del delitto a lui prediletto: la famiglia disfunzionale.
Quelli che temevamo che il salto alla produzione internazionale potesse snaturare la sua poetica e il suo approccio al fare cinema possono tranquillizzarsi, con È solo la fine del mondo il cinema di Dolan non solo non prende un declivio superficiale ma, anzi, diventa ancora più personale di prima, ostico a tratti, sempre intenso.
Si riallaccia proprio a quel primo J’ai tué ma mère, con quell’energia isterica e ripetitiva, fomentata da sentimenti repressi e sostenuta da un florilegio di parole che invadono a cascata quell’estetica, ormai tipica del cinema di Xavier Dolan, fatta di colori lussureggianti che emergono da ombre domestiche, controluce e primi piani che non lasciano scampo.