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Strike a pose: la vera storia dei ballerini di Madonna. Recensione

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strike-a-poseStrike a pose: la vera storia dei ballerini di Madonna. Recensione.

Se è possibile, perché non vederlo? Se è piacevole, perché non chiamarlo spettacolo? Se esiste, perché non rivendicarlo?
Sono solo alcune delle domande che grattano il pubblico alla visione del docufilm “Strike a pose” (regia di Ester Gould e Reijer Zwaan, 1h e 23m), presentato quest’anno in anteprima mondiale al Festival di Berlino e al Biografilm di Bologna e proiettato in tutte le sale italiane il 5 e il 6 dicembre scorsi.

Il lavoro cinematografico trae spunto dal “Blond Ambition Tour” di Madonna del 1990 in cui la celebre popstar portava in auge uno dei suoi singoli più riusciti di quell’anno – “Vogue”, primo estratto dall’album “I’m Breathless” uscito nella primavera del 1990 – con un corpo di ballo che metteva in scena lo stile posato e plastico dei modelli e delle modelle di Vogue.

>>Strike a pose” rappresenta tutta la seduzione della trasgressione di quegli anni incastonati tra sesso e religione, voglia di esagerazione e scoperta di sé, libertà di espressione e denuncia sociale, ma lo fa a partire dal punto di vista dei ballerini che costituirono l’architrave scenica ed emotiva dello show di Madonna, a distanza di 25 anni. Luis Camacho, Oliver Crumes III, Salim Gauwloos, Jose Gutierrez, Kevin Stea, Carlton Wilborn e Sue Trupin si raccontano alla luce di oggi e di allora in una reunion voluta da tempo, scomodando delusioni, tristezze, nostalgia e una visibile dose di autocommiserazione.

Il docufilm riesce senza inganni a mantenere il polso del fascino prorompente e disarmante di una star come Madonna, pur accettando il rischio di suggerire analisi psicologiche di un clima di lavoro che si instaurò nel corso del tour. Tra le varie testimonianze raccolte, uno dei ballerini accenna al rapporto madre-figli che Madonna parrebbe aver nutrito nei loro confronti e in quel periodo storico.strike-a-pose Fortemente coinvolta dalla morte per AIDS di un suo caro amico artista, Keith Haring, Madonna impregnò il suo show di invettiva contro il proibizionismo sessuale e a favore della libertà di pensiero. La società non vedeva (e non vede) chi non voleva vedere, e che moriva in silenzio parlando a chi voleva capire e sentire una reazione. Madonna spettacolarizza questo sentimento claustrofobico e istituzionalizzato di fine anni ’80 giungendo a filmare un documentario pubblicato nel ’91 – “Truth or Dare” – girato proprio durante il “Blond Ambition Tour” in cui viene mostrata la vita dietro le quinte di un gruppo di artisti che condividevano tutto: spazi, tempo, hobby, segreti, confessioni, desideri e imposizioni.

Il documentario è, ovviamente, un gioco di maschere attive 24 ore su 24, ma rappresenta una vera e propria sperimentazione biografica e visuale particolarmente interessante per il momento storico attinente. Non c’era ancora stata l’esplosione dei reality show eppure la scrittura delle relazioni quotidiane che permeano un tour musicale veniva avvertito come potenza comunicativa, assolutamente non marginale. Il manifesto politico della libertà di espressione non stava tanto nei comunicati che Madonna leggeva prima di qualche sua data che saltava perché il suo show era stato considerato blasfemo, quanto nell’evidente aspirazione della cantante ad incarnare la “santa puttana” protettrice dei gay nei piccoli gesti e giochi di ogni giorno. La maternità è vena artistica per Madonna laddove i suoi figli – desiderati, difesi, sbeffeggiati, trattenuti nel proprio ego – erano i suoi ballerini, da attorniare e da cui farsi attorniare, in una rincorsa infinita allo stupore più spregiudicato, al bacio più congeniale, alla disparità più pari tra l’indiscussa protagonista e i suoi “liberi espressionisti” da spogliare e offrire al mondo intero. Madre di chi ha paura di svelarsi e stella di ogni mancato riconoscimento narcisistico (quasi tutti i suoi ballerini erano per l’appunto, gay) da consegnare alla terzietà del pubblico.strike-a-poseLe interviste ai ballerini di Madonna raccolte all’interno di “Strike a pose” contengono un elemento di critica sostanziale al documentario post-Blond Ambition Tour, ben esposto dalla madre di uno dei ballerini che intenteranno in seguito una causa legale per invasione della privacy contro la famosa popstar: “mio figlio non avrebbe fatto una bandiera culturale della sua identità gay, non era neanche sicuro di esserlo allora”.
In altri termini, l’accusa che graverà su Madonna dopo la pubblicazione di “Truth or dare” (1991) è quella di aver sfruttato l’immagine dei suoi ballerini causando gravi danni psicologici alla loro vita privata e pubblica, nella ricerca di un lavoro, anche perché molto giovani e alle loro prime esperienze sessuali all’epoca della grande diffusione del documentario.

La formazione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale è un percorso che oggi consideriamo accidentato e instabile proprio perché connesso allo sviluppo pieno e armonico della persona, reso ancora più complesso dal retaggio culturale di ogni area geopolitica. “Strike a pose” mette bene in evidenza come questo tipo di dibattito e attenzione psico-pedagogica fosse stata completamente sostituita dallo spettacolo e dalle leggi dello star-system in un periodo storico fortemente connotato dall’eteronormatività fisiologica e religiosa, oltre che mostrata quasi all’unanimità dai media.
Uno dei ballerini che prende la parola nel docufilm lascia una testimonianza preziosa sulle conseguenze di un tour che aveva assorbito tutti loro 24 ore su 24 in un’unità di intenti e passioni irripetibile e unico: era un giovane uomo eterosessuale, rapper-quasi macho, proveniente da New Orleans, che non aveva mai saputo niente di omosessualità e che per la prima volta si era ritrovato in un’accolita di gay come colleghi di lavoro. Le sue parole di tenerezza per tutti i suoi fratelli e nei confronti di chi in quel gruppo perderà poi la vita per AIDS sono da vedere. Anche lui fra coloro che quereleranno Madonna, mostra la paresi facciale di cui soffre da anni dopo una forma di esaurimento nervoso che gli fu diagnosticato anni fa: è l’immagine plastica di ciò che può lasciare iscritto sul volto il successo, un successo planetario che ti divora e può farti annegare per sempre.

Che effetto fa vedere due uomini in atto di “hot kiss” alla francese? “Strike a pose” riprende in maniera fotografica questo episodio da “Truth or dare” del ’91 per inquadrarlo quasi come fosse una ecografia, una sorta di diapositiva che gioca sulla naturalità/innaturalità di un gesto sicuramente simbolico e dirompente in quegli anni, oggi la prova cosciente del potere delle immagini: un bacio assaporato e prolungato fra due uomini e che ricorda troppo la passione dei baci fra un uomo e una donna che il cinema ci ha abituati a vedere ha segnato per sempre la vita del corpo di ballo di Madonna.
A distanza di 25 anni i sette ballerini si rivedono e nel riproporre il gioco di gruppo che erano soliti fare durante il “Blond Ambition Tour” – come si evince da “Truth or dare” – si sottopongono nuovamente al verdetto <>: uno di loro confessa di aver contratto l’AIDS nell’87 e racconta di come cercò di nasconderlo anche durante il tour, i suoi amici lo rincuorano dicendo che lui “è la dimostrazione che non è una condanna a morte”. Il ballerino sieropositivo rivela di essere stato infettato giovanissimo, alla sua prima esperienza sessuale …. Ma cosa comporta la presa di parola dopo trent’anni? Quale parte di sé ha smesso di socializzare per più di metà della propria esistenza? Che tipo di privatizzazione è stata inferta ad un essere umano …?strike-a-poseCome nel caso dell’amico di Madonna morto per AIDS, Keith Haring, anche in quest’ultimo il docufilm sembra interrogarci su come e quando una parte di noi diventi di rilevanza pubblica. Il rancore verso la grande e onnipotente star dopo la querela per invasione della privacy, la nostalgia per una popolarità strepitosa seppur breve, il risarcimento e il riconoscimento, sono tutti caposaldi di quello che si identifica come un processo ad una “scuola di vita”. La denuncia culturale avviene quando qualcosa non nasce dall’individuo o dalla società, bensì dal loro contatto. “Lei ci ha dato una grande opportunità, non ci deve niente” dice uno dei ballerini verso la fine del docufilm, ma non si trattò di lavoro, soldi o spettacolo.
Un bacio di troppo ha confezionato per sempre la loro carta d’identità.

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