“La Collezione Gelman: Arte Messicana del XX Secolo. Frida Kahlo, Diego Rivera, Rufino Tamayo, María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Ángel Zárraga”un viaggio pittorico nel “Rinascimento Messicano” dal 1920 al 1960. A cura di Gioia Mori, con il patrocinio del Comune di Bologna. A Palazzo Albergati, fino al 26 marzo 2017
Bologna. Un Messico rurale, pagano, violento e sensuale, frustato dal sole dei Tropici e dal vento dell’Oceano, attraversato da tensioni sociali e ideali progressisti. Lo raccontano le tele di María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Rufino Tamayo, Ángel Zárraga, Frida Kahlo e Diego Rivera, riunite nella collezione Gelman, fra le più importanti in Messico, e raccolta a partire dal 1941 da Jacques Gelman e la moglie Natasha Zahalkaha. Ebreo russo emigrato in Centroamerica, divenne ricco producendo i film dell’attore comico Mario Moreno, considerato il Charlie Chaplin messicano. Appassionato di arte messicana, raccolse nel tempo un vasto numero di pitture, oggi visibili grazie alla mostra bolognese che ha il pregio di allargare un po’ la conoscenza della pittura messicana, solitamente identificata dal grande pubblico con Frida Kahlo e Diego Rivera: artisti certamente importanti, ma non gli unici nella storia dell’arte novecentesca del Paese, che ha saputo esprimere autentici, raffinati cantori di un popolo e di una civiltà: 1920-1960: un arco temporale particolarmente difficile per il Messico, splendido Paese che ancora oggi non riesce a trovare un equilibrio interno soddisfacente.
Il Novecento messicano è segnato dalle diseguaglianze fra la maggioranza della popolazione rurale, ridotta in povertà e servitù della gleba di stampo feudale, e la minoranza dei grandi latifondisti, molte casate dei quali datavano sin dal Settecento. Lo status quo era mantenuto con il pugno di ferro da Porfirio Diaz, che da Presidente della Repubblica assunse il potere in maniera quasi dittatoriale dal 1880 al 1910; rieletto con palesi brogli, scelse l’esilio nel 1911 quando ormai il Paese era precipitato nel caos della guerra civile sollevata dagli oppositori: da una parte, il reazionario Victoriano Huerta, dall’altra Emiliano Zapata, Pancho Villa, Francisco Madero e Venustiano Carranza; i primi due in particolare combattevano per l’affrancamento delle masse contadine e la riforma agraria che garantisse loro la possibilità di sostentamento. Tuttavia, con gli assassinii dei leader rivoluzionari (fra il 1913 e il 1923), le aspirazioni del popolo rimasero inappagate, nonostante l’avvio dell’egemonia del Partito Rivoluzionario, durata fino al 2000. I progetti di riforma agraria ebbero scarsa applicazione, e la vita politica restava paralizzata dalla corruzione, mentre nelle aree più remote del Paese permaneva uno stato di semianarchia; la nascita dell’EZLN da una parte, e dei grandi cartelli della droga dall’altra, sono due risultati di questo clima politico e sociale. A risentirne, fu anche la Chiesa cattolica, che trovò nel socialismo rivoluzionario un deciso avversario, capace di limitare fortemente la sua influenza sulla popolazione (praticante per il 95%), procedendo anche a sequestri di proprietà ecclesiastiche. Maldestro tentativo di lenire le diseguaglianze sociali, che ebbe come risultato una sempre maggior distanza delle masse contadine dal partito (pressoché unico).
Il popolo messicano, a prezzo di una dura lotta quotidiana, combattuta nelle case, nelle chiese, nelle piazze dei villaggi, ha però saputo conservare le proprie radici, il sentire religioso intriso di Vangelo e paganesimo precolombiano, ha mantenuta la sua struggente teatralità, la passionalità, il fatalismo spagnolesco, e quel fondo di eterna ribellione che soltanto il caldo sole centramericano può favorire. La Rinascita messicana è figlia di questo clima, geografico e ideologico, e la quasi totalità dei pittori che appartennero al movimento, furono anche convinti socialisti, con l’eccezione di Rufino Tamayo, che si differenziò anche nel percorso pittorico, prediligendo una personale rielaborazione dell’avanguardia cubista, al surrealismo locale.
In generale, la forza dell’arte messicana risiede nella sua vicinanza al sentire del popolo, non in senso politico ma in senso più nobilmente spirituale; scava alla ricerca delle sue radici primordiali, nell’immaginario onirico e religioso delle antiche divinità maya o azteche, ragion per cui possiede una vitalità che trova pochi eguali nel mondo; radici reinterpretate in chiave surrealista, sospesa fra paganesimo, cattolicesimo, e socialismo. Diego Rivera, zapatista convinto, e Frida Kahlo, furono fra gli artisti accolsero Lev Trockij negli anni del suo esilio messicano, in fuga dalla vendetta di Stalin; fuga inutile, poiché nel 1940 fu assassinato da Ramón Mercader, sicario stalinista e fratello di Maria Mercader, seconda moglie del regista Vittorio De Sica. Paradossi della storia.
Osservando a una a una le tele, si ha l’impressione di scorrere un grandioso romanzo mitologico e sociale insieme; dai dipinti scaturiscono il respiro della Terra, il culto degli antenati, la necessità di trasferire in una dimensione più accettabile la difficile situazione del Messico del Novecento, stretto fra povertà e diseguaglianze sociali. Eppure, l’anima più intima del popolo messicano non è mai venuta meno, e anche grazie ai suoi artisti è riuscita a conservare nel tempo i suoi caratteri e la sua simbologia.
Frida Kahlo, tormentata dalla sofferenza fisica a seguito di un grave incidente, trovò nella pittura un mezzo per liberare quell’energia che il corpo non riusciva ad assorbire; L’amoroso abbraccio dell’Universo (1949) di Frida Kahlo, è vicino per intensità alla Tempesta di Giorgione, nella quale la donna è depositaria della forza naturale da cui scaturisce la vita; alle spalle di Frida – avvolta in un sensuale, sanguigno abito rosso -, una grande statua della Madre Terra, a sua volta compresa nell’abbraccio fra le componenti maschile e femminile dell’Universo, ovvero il Sole e la Luna, che celano anche richiami sessuali (ricorrenti nelle opere della Kahlo, come reazione alla sua sterilità causata dall’incidente). Un’opera emotivamente profonda, testimone del dualismo ancestrale del popolo messicano, mutuato dalla civiltà precolombiana. Tocca corde più terrestri la Scena circense con gitana, (1940) di María Izquierdo, che indaga il misticismo laico della figura femminile, in un altro aggiornamento della Tempesta di Giorgione; anche qui la zingara è il fulcro del dipinto, assieme al fuoco, elemento primitivo portatore di vita e di purificazione. Nella danza della zingara (la cui grazia feroce l’avvicina più a Modigliani che a Degas), si ritrova tutta l’ebbrezza della libertà, della vita vissuta giorno per giorno; una metafora a colori della forza d’animo dei messicani.
Una sezione della mostra è interamente dedicata a Frida Kahlo, artista ma anche icona di stile e personaggio di riferimento per il femminismo moderno. Pur di origini ebraiche ungheresi, si lasciò alle spalle il suo retaggio culturale per immergersi completamente nell’ambiente messicano. La sofferenza fisica che si portò dietro per i postumi di un terribile incidente occorsole su un tram, la forza interiore che sempre la sostenne nella difficile riabilitazione, e il suo indiscutibile stile, ne fanno ancora oggi un personaggio degno d’attenzione. In mostra è riprodotta la sua camera da letto, autentico tempio della femminilità, adornata da abiti di stilisti contemporanei come Ferrè, Valentino e Lacroix, che a lei si sono ispirati per alcune loro creazioni.
Frida Kahlo è simbolo della bellezza femminile messicana, bellezza che ha per sfondo il dolore: fisico, ma anche sentimentale, e più in generale esistenziale, vista la scia di lutti che attraversa il Messico del Novecento. Per suo tramite, e per tramite di quella pittura fisica e sensuale – da cui scaturisce il profumo appena acre della pelle di donna, e il fruscio della fine peluria creolo-ispanica -, si entra in contatto con un Messico affascinante e violento, sensuale e pagano, dove nei volti apparentemente miti e rassegnati degli individui si nascondono latenti istinti di ribellione.
Informazioni utili
“La Collezione Gelman: Arte Messicana del XX Secolo. Frida Kahlo, Diego Rivera, Rufino Tamayo, María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Ángel Zárraga” un viaggio pittorico nel “Rinascimento Messicano” dal 1920 al 1960.
A cura di Gioia Mori
A Palazzo Albergati, fino al 26 marzo 2017