Venezia 74. I primi bilanci in attesa del Leone d’Oro. Conferme e delusioni, tra divi della vecchia e nuova generazione.
Sono passati divesri giorni dalla cerimonia di apertura, ma forse per colpa dell’atmosfera triste e cupa, forse per la cornice del mare agitato sotto le nuvole e gli improvvisi temporali che hanno guastato i tramonti sul Lido, la 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia quest’anno ha carburato molto lentamente.
Il panorama, sul Lido, è cambiato radicalmente. Se già l’anno scorso la Mostra aveva dato il benvenuto alla neonata Sala Giardino, quest’anno la Biennale non ha badato a spese: il restauro della struttura esterna regala al pubblico immense piazze ricche di fontane stroboscopiche e alberi verdi, mentre ha fatto (finalmente) sparire le tristi transenne che ingabbiavano i tanti coraggiosi in coda per ammirare le star. Soprattutto colpisce la rivoluzione del red carpet: addio alle frecce rosse che per anni hanno minacciato gli ospiti durante le sfilate nei loro abiti eleganti, sostituite invece da una fresca scenografia sui toni pastello e da enormi lampade tonde che inquadrano le celebrità in una dimensione vagamente più elegante.
>> Certo, gli anni di Luchino Visconti, Claudia Cardinale e del ghepardo sulla spiaggia sono molto lontani. Il glamour dei grandi artisti del passato ha fatto spazio a un numero indefinito di starlette e personalità di spicco che rubano la scena ai grandi maestri del cinema (“Chi è ‘sta bionda?”, grida un operatore scrutando un angelo in abito bianco; “È la fidanzata di Fedez”, risponde un collega inseguendola con la telecamera), così come dal punto di vista nettamente cinematografico nemmeno la selezione ufficiale persuade a un grande entusiasmo.
Non convince del tutto Downsizing, il film d’apertura di Alexander Payne con Matt Damon e Kristen Wiig: il pubblico l’ha apprezzato, ma non ne è così colpito come vorrebbe la tradizione delle aperture veneziane.
Una sorte simile è riservata alla nuova regia di George Clooney, Suburbicon, con Matt Damon (sempre lui), Julianne Moore e Oscar Isaac. Le premesse sono ottime: la sceneggiatura dei Coen regna, tant’è che ogni comparsa leggermente più in carne riporta alla mente la silhouette di John Goodman, mentre le aggiunte di Clooney sulla discriminazione razziale riconducono il film a una dimensione forse più tradizionalmente americana. Le risate non mancano, Julianne Moore si sdoppia ed è sempre un incanto, ma uscendo dalla sala non si riesce a dire niente di diverso rispetto a quel che si è detto prima di entrare.
Anche Lean on Pete di Andrew Haigh, al suo debutto alla Mostra veneziana, resta alquanto anonimo: il film è bello, nessuno ha niente da controbattere, ma nonostante il magnetismo incredibile di Steve Buscemi e Chloë Sevigny, al Lido lo si dimentica in fretta.
>> A sorprendere è il secondo film presentato in Concorso: The Shape of Water di Guillermo del Toro, con Sally Hawkins, Michael Shannon e Octavia Spencer. La favola d’amore del regista messicano, dai toni fantastici e nel pieno del clima raggelante della Guerra Fredda, commuove all’unisono tutto il pubblico veneziano, mentre il lucertolone protagonista regala ai cinefili ricordi felici de Il Mostro della Laguna Nera.
Pioggia di fischi e insulti per mother!, l’horror (?) d’autore – nonché il titolo più atteso di questa edizione – di Darren Aronofsky, che arriva al Lido in compagnia di Michelle Pfeiffer, Javier Bardem e della neofidanzata Jennifer Lawrence. Dopo l’insuccesso di Noah, il regista visionario torna a rimestare nel marciume di Requiem for a Dream e regala un viaggio all’inferno, denso “come un cocktail da gustare tutto d’un sorso” – ha dichiarato lo stesso Aronofsky (Leone d’Oro nel 2008 per The Wrestler) in conferenza stampa.
Il Lido è diviso in due: “Bel film di Malick”, commenta qualcuno all’uscita dalla sala; mentre alla proiezione stampa ha fatto storia il francesismo che un coraggioso ignoto ha urlato ai quattro venti (nemmeno quest’anno, a Venezia, l’educazione regna sovrana).
È unanime invece la risata per Ammore e Malavita, il musical napoletano (napoletanissimo) presentato in Concorso dai Manetti Bros. “Abbiamo il Leone d’Oro del 2017!”, s’azzarda a dire qualcuno al termine della proiezione. Gli anni di Bella Vera sono lontani (per chi non lo sapesse, i fratelli Manetti hanno diretto alcuni fra i più iconici videoclip degli 883) e qualcuno si chiede come facciano a trovare ogni volta tutti questi soldi, ma la risposta è semplice: dimostrano di meritarsi ogni centesimo speso.
Gli applausi abbondano, la sghignazzata è sempre dietro l’angolo e il film è già un cult.
L’impietosa critica veneziana non salva invece un grande maestro dell’arte: Human Flow, il documentario socio-politico di Ai Weiwei sull’attualissimo tema dei migranti, si porta a casa una terribile accusa di buonismo intellettuale e la gran parte dei presenti non lo perdona.
Al contrario, desta enorme favore un altro documentario: EX LIBRIS – The New York Public Library, il lunghissimo film (197 minuti, per davvero) del maestro dei documentari, Mr. Frederick Wiseman in persona (che si aggira dolcemente e stancamente per i corridoi dell’Hotel Excelsior con un sorriso simpatico e movenze da hobbit). Il suo enorme lavoro sul racconto della New York Public Library – e delle sue innumerevoli sedi e possibilità – si trasforma presto in un’invettiva contro il governo Trump, nonostante lui neghi in tutti i modi la deriva politica del suo film: “Non volevo fare un film politico, non è mai stata mia intenzione – racconta intervistato; – Non è una mia responsabilità se la cultura e la sua trasmissione rappresentano l’ultima forma di democrazia resistente al mondo, diventando così il nemico principale dell’amministrazione Trump. Che, per quanto mi riguarda, resta ad oggi il simbolo peggiore della nostra America”.
>> L’applauso più lungo è arrivato inaspettato e soltanto a metà settimana, alla presentazione di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, l’ultimo film di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell. La storia toccante della ricerca di giustizia di una madre che ha perso la figlia, interpretata da una Frances in ottima forma – e alcuni, dicono, già in aria da Oscar – ritorna nella campagna dell’entroterra americano per raccontare personaggi di difficile caratterizzazione morale. Un po’ Fargo, un po’ True Detective. Il giudizio è comune: molto, molto bello.
Venezia 74, guarda la gallery con tutti i protagonisti
Ma i veri protagonisti di Venezia 74 sono altri, sono loro: gli anziani. O, come più elegantemente ha dichiarato Elena Cotta (al Lido per il primo lungometraggio di finzione di Valentina Pedicini, Dove Cadono le Ombre), gli “agé”.
Sono tutti qui, i mostri sacri di Hollywood: il red carpet si riempie di modelle, ma la standing ovation è riservata soltanto alle star over 70.
Leone d’Oro alla carriera per Jane Fonda e Robert Redford, presenti al Lido con il Fuori Concorso Our Souls at Night (“Ho voluto fare questo film per due motivi: per lavorare di nuovo con Jane e per raccontare finalmente una storia ai miei coetanei”, ha dichiarato Redford); una folla impazzita per l’arrivo di Judi Dench, che al Lido ha presentato il Fuori Concorso Victoria & Abdul; delirio per Susan Sarandon e Claudia Cardinale (l’immagine più iconica di questa edizione resterà probabilmente il loro abbraccio sul red carpet); Valentina Cortese protagonista del documentario DIVA! Di Francesco Patierno; o ancora sir Michael Caine che racconta la swinging London nel documentario My Generation di David Batty.Il successo più grande però è quello di Donald Sutherland e Helen Mirren: Paolo Virzì gioca con due mostri sacri del cinema internazionale in The Leisure Seeker, la storia d’amore di una coppia ormai al tramonto dei loro giorni insieme. Un film che vuole fa’ l’americano ma rifugge saggiamente dall’effetto Sorrentino, da quella presunzione d’autore che in fondo sta un po’ antipatica a tutti. La solfa è sempre quella del road movie, ma il risultato è buono, bravo Paolo!
Così, mentre il sole torna dolcemente a fare capolino sul mare, la Mostra giunge alle sue battute conclusive. I film presentati sono tanti, ma il Concorso non è ancora finito: all’appello mancano grandi nomi della cinematografia internazionale, primo su tutti Abdellatif Kechiche (proprio lui, il regista de La vie d’Adele), ma anche gli ultimi due italiani, Andrea Pallaoro con Hannah e Silvio Soldini con Il colore nascosto delle cose. Insomma, per fare pronostici è davvero troppo presto.