Inchiesta fra critici e storici dell’arte, artisti, galleristi, collezionisti, operatori culturali dicono la loro sulle ultime novità e sul futuro del museo romano Macro
A rivitalizzare un fine anno che per il mondo dell’arte pareva presentarsi con gli ormai abituali toni sommessi sono giunte le deflagranti novità per la scena museale romana, annunciate con una conferenza convocata quasi in segreto il 21 dicembre dal Vicesindaco con delega alla Crescita Culturale di Roma Luca Bergamo. Il titolo? Un nuovo Macro per il sistema dell’arte contemporanea di Roma. I contenuti della conferenza e del comunicato poi emesso ve li abbiamo raccontati con la prima puntata della nostra inchiesta con la quale abbiamo raccolto una serie di opinioni di critici e storici dell’arte, artisti, galleristi, collezionisti, operatori culturali, che ha visto intervenire Duccio Trombadori, Pablo Echaurren e Massimo Mazzone. In seguito sono intervenuti Barbara Martusciello, Antonio Martino e Bruno Ceccobelli, e poi Bruno Di Marino, Beatrice Bertini e Davide Dormino. Ecco il quarto step, ma tenete d’occhio gli articoli dei prossimi giorni…
Giovanni Gaggia – Artista
Che cosa fai domani sera? È il 30 dicembre. Questo è ciò che viene chiesto a tutti, nessuno è escluso. Ha la stessa valenza dell’altro quesito che impera: che ne pensi delle sorti del MACRO? Per nessuna delle due questioni ho una risposta particolarmente illuminata o risolutiva. Sono giorni di festa, siamo tutti fermi, sonnecchianti e satolli; qui nevica. Quando mi sento ispirato ascolto Arvo Pärt e guardo fuori. Quando mi voglio gettare nel popular ascolto “DUETS – tutti cantano Cristina” di Cristina D’Avena ed apro i social. Ciò mi dà la possibilità di seguire la querelle contemporanea, la partitella tutta romana, il derby capitolino, i due schieramenti: chi attacca Giorgio De Finis e chi lo difende.
Un ipotetico direttore che direttore non è, un museo defunto e di certo non oggi, una élite culturale che si stiracchia e si desta ora. Però, ieri dove era? Cosa faceva? Seguo pazientemente la scia luminosa…
Marco Baravalle – curatore attivista (S.a.L.E. Docks)
L’adagio suona più o meno così: “Al posto di de Finis avremmo potuto avere un professionista meritevole, selezionato tramite bando, invece ci ritroviamo un curatore amatoriale, un populista delle periferie, amico dell’assessore”. De Finis sarebbe dunque uno Sgarbi dei poveri (letteralmente, non in senso metaforico).
Ora, sarebbe bastato un bando per disinnescare molte polemiche. Ma cos’è peggio? Un bando pro forma o una assunzione diretta di responsabilità? I metodi di selezione sono certo importanti e la bufala grillina della trasparenza mi è sempre apparsa per quello che è, demagogia, ma nemmeno questo è il punto, del resto chi conosce il mio percorso sa che tale giudizio non discende da alcuna affiliazione ad altre forze dell’arco parlamentare. In ogni caso, non ho mai amato la retorica della meritocrazia. Primo perché le professioni legate all’arte sono oggi appannaggio (quasi esclusivo) di chi può, per estrazione sociale, permettersi grandi investimenti in formazione, mobilità, esperienze di lavoro gratuito e una situazione quasi permanente di discontinuità di reddito. Insomma, siamo nell’ambito di una meritocrazia del privilegio. Secondo, non amo il termine perché implica un adeguamento culturale, antropologico, estetico, al modello dominante. E molti dei modelli che in questo momento dominano, non mi piacciono. Un CV convincente è importante, soprattutto nell’ambito di un settore immediatamente globale come quello dell’arte, ma non basta, perché la sostanza del merito non è universale ed indiscutibile.
Penso che Giorgio de Finis (che al MAAM ha fatto un lavoro importante) abbia di fronte a sé due sfide. La prima, deludendo le aspettative corporative del sistema dell’arte, l’ha forse già vinta. La seconda è quella di non cadere in un caricaturale gioco delle parti che lo vorrebbe come incarnazione del curatore bolivariano, del “direttore del popolo”. Credo che de Finis abbia la capacità di non assecondare stereotipi e magari di rivoluzionare davvero il MACRO. Non servono dunque proclami né prudenza né tantomeno, rassicuranti numi tutelari. Serve invece dare seguito a scelte seriamente radicali, scelte di parte, ma per davvero.
Spero che de Finis dia vita ad un museo in grado di intervenire in forme nuove e non paternalistiche nella riflessione sulla città, sul diritto all’abitare, sulle contraddizioni della metropoli e che, in questo processo, sappia mettersi davvero in discussione.
Paolo Martore – Storico dell’Arte
Giorgio de Finis è stato nominato direttore del MACRO. Qual è il problema? Se è una questione di competenze, allora la scelta di un antropologo a capo di un museo d’arte contemporanea non è più eccentrica di quella di un medievalista. Non è da oggi che simili assegnazioni ignorano gli ambiti disciplinari. Senza contare che ci sono titolatissimi direttori di importanti musei e siti italiani che dimostrano di avere idee quantomeno confuse sulle mansioni che pure dovrebbero sovrintendere.
Se quindi il problema è il meccanismo autocratico della designazione, sarebbe bene reindirizzare la discussione. La nomina dei ruoli apicali in Italia, anche nel settore culturale, è da sempre frutto di un calcolo politico e non può diventare una preoccupazione solo qui adesso. Del resto, la trasparenza è un sofisma.
Se l’incognita invece è il modello attivista, è evidente che i precedenti modelli tecnocratici, proponendo una pedestre imitazione della policy dei grandi musei internazionali, sono stati spesso veicolo di pratiche particolaristiche e divisive. Mentre è verosimile che, vista la storia di de Finis, la strategia del prossimo direttore del MACRO si fondi sull’inclusione. Come questa logica inclusiva possa conciliarsi con la cura di una collezione, che è per sua natura selettiva, sarà sicuramente interessante. Il nuovo corso del MACRO potrebbe essere l’occasione per imparare qualcosa di nuovo. Perciò, qual è il problema?