“Slancio” è una nuova opera d’arte pubblica all’aeroporto Marco Polo di Venezia-Tessera. Ce ne parla in questa intervista esclusiva Giacomo Tringali, autore assieme a Massimo Mazzone
Artista, scultore, scenografo, architetto. Giacomo Tringali ha realizzato con Massimo Mazzone l’opera “Slancio”, frutto del concorso internazionale per un’opera d’arte da collocare all’Aeroporto Marco Polo di Venezia-Tessera. Il progetto sarà raccontato e documentato in un libro che sarà presentato a Venezia nell’ambito di Biennale Sessions: ma lui ora ne anticipa i contenuti con questa intervista in esclusiva per ArtsLife…
Com’è nato il progetto ‘Slancio’?
“Pronto, Massimo, sono Giacomo… ho saputo che c’è un bando per realizzare una scultura all’aeroporto di Venezia… Ho pensato di unire le nostre capacità… che ne dici? – Dai che lo vinciamo!”. Con questa telefonata è iniziato un lungo percorso che ci ha condotti al risultato; certo, fare scultura oggi in Italia è impresa ardua; la scultura pubblica è legata a bandi con regole di altri tempi, dove l’opera deve avere carattere esornativo – se poi la scultura riesce anche ad essere arte, a queste condizioni, che lo dicano gli altri, noi abbiamo innanzitutto cercato di fare un buon lavoro. Ci siamo messi subito all’opera, facendo disegni, modelli, calcoli – perché è ancora importante disegnare e costruire, pensare attraverso i modelli.
C’è qualcosa di antico nella vostra geometria: pur astratta, moderna, ha qualcosa di classico, o sbaglio?
Penso proprio di si. Del resto siamo entrambi cresciuti a pane e arte, con la ‘Grecia’ negli occhi, che poi questa idea greca altro non è che l’armonia, la geometria, la forma, la bellezza, il canone, qualcosa diffuso condiviso e inafferrabile al medesimo tempo, qualcosa che però trovi secoli dopo in Mantegna o Canova, per esempio… Massimo lavorando sembrava non curarsi della forma; sosteneva di dover arrivare a fare l’opera senza trucchi e senza inganni… i pochi tagli, le saldature, dovevano bastare a formalizzare, quasi che l’opera si mostrasse in un certo senso ‘automatica’, partorita da una macchina a controllo numerico. Io dal canto mio, volevo una linea curva ma carica di tensione e siamo riusciti a costruire delle superfici (e dei volumi) che infatti curvano senza essere mai passate per una calandra (la macchina che curva le lamiere ndr). Infatti è il disegno, il taglio, che fa girare i piani come un pezzo di stoffa gira sul corpo umano in forma di abito. Ci siamo ritrovati come Ictino e Fidia (architetto e scultore del Partenone) a dirci questo si questo no, questo è ‘brutto’ e quello è ‘bello’. Nonostante secoli e millenni la scultura è ancora una questione di forma… così possiamo dire che Massimo a messo il metallo e io l’aria… ed è uscito ‘Slancio’.
Rispetto a certe vostre personali precedenti esperienze di realizzazione d’arte pubblica emergono dei tratti progettuali affini pur con forme e materiali differenti…
Si, se si prendessero “Oplè” – la scultura realizzata da me per la Biblioteca comunale di Clès (Trento) – e poi si prendesse una delle colonne in acciaio cor-ten di “Piazza Project” – l’opera realizzata da Massimo ad Eindhoven (Olanda) – sezionandole, ecco che potrebbe risultarne “Slancio”. Inoltre era nostro desiderio lasciare un segno; un segno non ridondante, ma deciso e leggero, consistente ed immateriale; ferro e aria. Una conclusione simile potrebbe essere fatta osservando i due progetti da noi proposti, questa volta separatamente, io in collaborazione con il giovane architetto Simone Antonelli, Massimo con gli architetti Elisa Versari e Simone Venditti, per il concorso “Lamborghini Road Monument”. Utilizzando l’acciaio Cor-ten come materiale d’elezione, le due idee si differenziano per “peso e tono”. Da una parte “Toro” ha più aria che corpo e canta “in assolo” note tese, ne una di più, ne una di meno; nell’altra la forma distribuisce note accese e colorate per grande orchestra… ritorna il tema metallo e aria.
Tornando a prima, sembrerebbe che sia solo una questione di forma..?
Potrei dire si ma quanta roba questa forma porta sulle spalle è difficile da valutare. L’opera d’arte è una ricetta alchemica che attraverso i secoli riesce sempre diversa…Nella nostra relazione di progetto scomodammo addirittura Leonardo, sull’idea di volo che la scultura doveva ricordare, e cioè che il volo non è solo vibrazione, leggerezza, tensione: è anche mutamento dello spazio; un uccello, un aereo, vivono e modificano lo spazio circostante come una scultura fa nel suo incidere la densità atmosferica. Ad un certo punto si ventilò la possibilità di collocare la scultura al centro di una rotatoria, rispondemmo ‘no, grazie’, l’opera era concepita per dialogare con lo spazio del concorso, uno spazio difficile, tra le rampe carrabili e il prospetto laterale dell’edificio progettato dall’architetto Mar. Questo “cono spaziale” con “finestre” aperte su orizzonti multipli e di diversa natura – il parcheggio, gli altri fronti degli edifici aeroportuali, etc.. – con quel brano di terra come pavimento, era ed è il posto giusto per questa scultura, che non solo parte da terra incidendo l’aria nel suo slancio verso l’alto, ma si avvita in basso solcando il terreno, come un vomere. L’opera come vedi poggia solo in un punto e Policleto ha il carattere di sculture che insistono su una sola gamba. Il nostro è un processo creativo che partendo da uno spunto, da una una domanda, cerca la risposta per comunicare qualcosa, provocare per mezzo di nuovi linguaggi, magari far pensare, insomma emozionare.