Ha appena inaugurato all’Istituto italiano di Cultura a New York, in collaborazione con Magazzino Italian Art, la mostra Young Italians, un tributo e un’attesa riedizione della storica mostra del 1968, volta esplorare e comunicare anche all’estero l’arte italiana di oggi. Ecco le immagini.
Nel 50esimo anniversario dell’omonima mostra del 1968 a cura di Alan Solomon, tenutasi all’ICA di Boston e al Jewish Museum di New York, l’arte Italiana torna protagonista su Park Avenue a New york, con 12 giovani nomi della scena contemporanea d’oggi: Davide Balliano, Danilo Correale, Irene Dionisio, Antonio Fiorentino, Silvia Giambrone, Domenico Antonio Mancini, Elena Mazzi, Luca Monterastelli, Ornaghi&Prestinari, Gian Maria Tosatti, Eugenia Vanni, e Serena Vestrucci.
Nel 1968 fu appunto Alan R. Solomon a concepire l’evento, dopo esser stato il curatore del padiglione degli Stati Uniti alla Biennale del 1964, e quindi il responsabile di quella che, a posteriori, si rivelò essere stata una vera strategica “invasione” dell’Arte Pop Americana ( in particolare della scuderia di Leo Castelli), sovvertendo in una notte il programma espositivo originario. In occasione di tale soggiorno veneziano, Solomon aveva però avuto modo di approfondire il vitale scenario artistico italiano, rimanendo affascinato da quell “paradosso italiano ” frutto della contraddittoria combinazione di tensioni, fra un amore per la modernità, e uno sguardo che rimaneva sempre rivolto al proprio passato. Era proprio questo però che, di fatto, costituiva l’intrigante peculiarità della produzione italiana, ma anche il motivo che la rendeva incomprensibile alla narrazione unidirezionale americana, che al tempo celebrava l’egemonia prima della “New York School”, e poi del POP Art.
Solomon, si mise dunque a capo di tale iniziativa di promozione dell’arte italiana, rendendosi fin da subito conto che, nonostante l’elevata qualità delle opere prodotte, era difficile prevederne veri sviluppi internazionali, a causa di problematiche inerenti nello stesso sistema dell’arte italiano, nella scarsità di importanti gallerie commerciali, quanto di un consistente e costante collezionismo, ma soprattutto di fondi a supporto da parte del paese, a causa della sua sostanziale instabilità socio-politica. Nacque dunque da questa instabilità, e il suo fascino instinseco nella stessa fragilità, quella mostra del 1968, organizzata addirittura con il supporto di due dei più grandi nomi del mercato dell’arte del tempo, Leo Castelli e Sonnabend. Un’esposizione che aveva portato a New York il meglio della produzione italiana di allora, e in particolare le nuove sperimentazioni dell’Arte Povera, grande protagonista di quel momento dopo il suo battesimo da parte di Germano Celant nel 1967.
Purtroppo la situazione descritta da Solomon negli anni ’60, non sembra poi diversa da quella che possiamo constatare oggi, con un’arte italiana che spesso fa fatica a farsi strada nel sempre più competitivo scenario internazionale (eccezione si fatta per pochi grandi nomi), nella scarsa promozione dei giovani talenti e nella mancanza di una politica culturale del contemporaneo propriamente detta, ma che forse non abbiamo mai avuto.
Come faceva notare Pier Luigi Sacco in un suo articolo, “Per averla, dovremmo partire dalla consapevolezza del fatto che la cultura non serve ad auto-celebrarsi, ma a indagare le nostre fragilità, le nostre debolezze, le nostre contraddizioni, per aiutarci a capire meglio il mondo in cui viviamo. E di questo tipo di consapevolezza il nostro Paese non ha mai sentito un particolare bisogno, riservando spesso un trattamento piuttosto ruvido a chi la praticava con costanza” .
Il risultato? Pier Luigi Sacco in Italia Reloaded (Christian Caliandro, Pier Luigi Sacco
Italia Reloaded- Ripartire con la cultura, 2011) concludeva che: “L’assenza di politiche e strumenti pubblici seri di promozione della creatività individuale soprattutto nella fase iniziale e centrale della carriera penalizza inevitabilmente gli artisti italiani nei confronti dei loro colleghi internazionali”.
Dunque, la questione è: “La gara per gli artisti italiani nell’arena globale è dunque persa in partenza?”
La mostra ora all’Italian Insitute di New York cerca di offrire dunque una nuova opportunità di risposta a questa domanda, cercando di identificare il percorso che gli artisti italiani stanno cercando di fare, per superare questa lunga impasse, e al contempo esprimere il Zeitgest dell’epoca, immaginando nuove prospettive in uno scenario sia nazionale che internazionale.
Similmente alla mostra del 1968, l’obbiettivo è dunque di supportare gli artisti contemporanei Italiani, promuovendoli e rendendoli noti negli Stati Uniti, ma soprattutto considerare al contempo quali sono i caratteri distintivi, ancora oggi, dell’arte Italiana, in relazione sia con la propria cultura, ma anche in una naturale sensibilità sempre più ibrida, frutto del necessario confronto con la realtà globale.
Questa mostra collettiva, curata da Ilaria Bernardi, non intende certo offrire un comprensivo ed esaustivo scenario di quello che è il variegato panorama artistico italiano d’oggi, quanto piuttosto creare un’occasione di analisi di quelle che possono essere delle tendenze condivise nel percorso estetico/concettuale dei 12 artisti selezionati, ma anche le affascinanti peculiarità e declinazioni diverse che può assumere la sensibilità artistica e culturale italiana.
Interessante dunque, come la riflessione e il progetto curatoriale scelga di dividere questi artisti in 2 gruppi: due gruppi entrambi alquanto connotati, ma esprimono pienamente spinte divergenti e talvolta paradossali che da sempre, ma soprattutto oggi, animano la nostra nazione. Fra un’ ambiguità identitaria e orgoglio locale fra particolarismi locali e l’ansia di confronto/comparazione con la realtà internazionale.
Il primo gruppo I(in)-Arte è composto da 6 artisti che fondano la propria pratica in un dialogo costante con l’identità artistica e culturale italiana, in cui il mnemonico non si riduce però a prone mimesi dei modelli passati, quanto piuttosto si sviluppa in una riflessione e quindi appropriazione soggettiva, fra lavoro manuale e concettuale, di quelle che sono le tecniche, i materiali, i caratteri peculiari. Ne è da esempio il lavoro di Balliano, con le sue organizzate forme e geometrie che, reminescenti dell’ideale ratio rinascimentale, oggi distillano però, fra stucco e linee di graffite e inchiostro solo la decadenza della caotica civilizzazione contemporanea. Oppure esemplari sono i solidi quasi platonici di Ornaghi & Prestinari, reminescenti della trascendenza del mondano ricercata da Morandi, del’ atto prendersi cura dei suo più banali frammenti che, ridotti alla massima purificazione fenomenologica, vibrando del valore simbolico che assumono nella nostra quotidianità, diventano illuminazioni sulla nostra dimensione esistenziale.
L’altro gruppo è invece denominato I (in)-Realtà, in cui gli artisti rimpiazzano la vocazione a un lavoro manuale e la nostalgica ispirazione alla tradizione, con un diretto realistico confronto con l’attuale situazione socio politica italian, con le sue frazioni, criticità e contraddizioni, in una comune aspirazione a una possibile catarsi collettiva anche tramite la spinta critica/riflessiva dell’arte. Ne è da esempio il lavoro di Gian Maria Tosatti, frutto di un viaggio personale in “utopie diventate vecchie, insonni che hanno perso il oro respiro”,di un’Italia spesso raffigurata come una giovane donna, quella fragile nazione che nella sua storia, fra improvvisi slanci di vitalità creativa e i suoi momenti più buia ha spesso cambiato il suo volto, indossando a volte una maschera da scherma, a volte un casco, a volte il disonore.
Entrambi i gruppi sono però preceduti da una I= l’Italia come immagine collettiva, come sfondo indentitario comune e cultura d’origine di ciascuna di queste creazioni, capaci di fondere improvvise epifanie di memorie storiche con una simultanea, spesso radicale, critica del proprio presente.
Evidenziando l’esistenza di queste vibranti tendenze, fra nostalgico/invocativo e pratico/attivo, la mostra sembra tuttavia alla fine offrirci un messaggio di speranza: sotto la superficie dell’apparente inerzia e malinconica paralisi attuale, scorrono già, nelle nuove generazioni, della forze creative, intellettuali e artistiche capaci di portare avanti un’azione di rivendicazione e riconquista di un futuro altrettanto ricco della propria identità, che ci appartiene, che ci può ancora animare, ma ha bisogno di essere continuamente rinnovata nella sua espressione per trovare ancora voce nel mondo. Questo però solo tramite una riappropriazione e riattivazione della cultura italiana, in un nuovo orizzonte contemporaneo e globale.
Informazioni utili
Young Italians 2018 – Istituto Italiano di Cultura
25/09/18 – 01/11/2018
Istituto Italiano di Cultura New York