Vuoto di senso, pieno di sogni. La Fondazione Ferrero di Alba presenta Dal nulla al sogno, un racconto critico estremamente approfondito su due movimenti di cui forse non sappiamo ancora abbastanza: Dada e Surrealismo. Marco Vallora cura l’esposizione scavando ancora più a fondo nelle ambigue tematiche della provocazione e dell’inconscio, relazionandole in modo lineare. Grazie alla collaborazione con il Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, che per la prima volta “fa volare” le sue opere, è possibile ammirare dal 27 ottobre al 25 febbraio una collezione unica. Oltre a presentare singolarità e opere prestigiose, la mostra trova l’apice nei lavori inusuali di grandi artisti (su tutti Magritte e Dalì). Infatti, al netto di un contenuto già conosciuto, le soluzioni visive risultano quantomeno particolari.
“L’arte è un prodotto farmaceutico per imbecilli. Dada, invece, non vuole nulla, nulla, nulla.
Vuole solo che il pubblico dica: Noi non comprendiamo nulla, nulla di nulla”.Francis Picabia, Manifeste Dada, in “391”, 12, marzo 1920
Dada è un atto sacrilego che abbraccia il nulla. Dada non significa nulla ma si applica a tutto, è una colata di lava che investe ogni costrutto e ogni sfera del possibile. Rituale dissacrante che schianta Bello e gradevolezza, sistematicità e appartenenza, a colpi di inquietante ironia. Impregnato di pars destruens Dada minaccia le nostre calde abitudine, le riguardevoli certezze, diffonde un dolce nichilismo prima nel teatro, poi nella letteratura e anche nelle arti visive.
Veramente buffo che proprio Dada che non voleva appartenere a nessuno, nemmeno a se stesso – “DADA, lui, non puzza di nulla, non è niente, niente, niente” (Tristan Tzara, Manifesto cannibale dada) – sconvolga a tal punto la rassicurazione visiva dell’arte fino a cambiarla radicalmente, e per sempre, dando il via a tutto ciò che nell’arte dopo di lui verrà. Dal Ready-Made di Duchamp l’arte di fa concettuale, più pensata che realizzata, una corda stretta ma necessaria alla manifestazione appassionata di individualismo e libertà, così come avviene alla Venus restaurèè di Man Ray.
Veramente buffo, perché i dadaisti – anche se Dada non vorrebbe aggettivi, Dada non esiste quindi non è qualificabile (si, Dada è contraddittorio) – anziché arte facevano anti-arte. L’arte cerca il bello? E noi lo facciamo brutto. L’arte è pregna di significato? E noi la svuotiamo di ogni senso. Se non fosse che questa anti-arte conserva il linguaggio artistico e perciò si iscrive, volente o nolente, al dibattito. Lo fa però stravolgendo visivamente un mondo che non ha mai avuto un senso; senza passato né futuro Dada costruisce forme mitiche applicate a oggetti semplici (Bonhomme, Torse Nombril, Jans Harp), sentimentalismi ridotti a geometria (Mon Premier amour, Man Ray) e slanci di vertigine erotica in criptici ma inequivocabili forme falliche (Egoisme, Francis Picabia).
“Dada prevede la propria fine e se la ride. Basta solo avere il talento di rendere il proprio declino interessante”
Richard Huelsenbeck
L’esaltazione provocatoria spesso si infanga nella retorica, ma non quando è capace di porre le giuste domande. Reso opaco il mondo sensibile da sempre apprezzato, è ormai chiaro che le risposte si nascondano dove non credevamo di poter guardare. L’inconscio e l’intimo possono essere la chiave di sentimenti incomprensibili, istinti che ci bendano prima di guidarci. Dada è stata una nuova nascita, punto di rottura e ripartenza per l’arte. Dai cocci che ha disperso lungo il suo migrare geografico, diverse costole si sono evolute. Il Surrealismo, l’erede più diretto.
La trasfigurazione totale di esseri e oggetti precipita in un mondo vasto e spaventoso come l’animo umano, abitato dalle contraddizioni che Dada aveva cercato di liberare. Le misure, le prospettive, i rapporti, la logica, le leggi fisiche vengono piegate ad una raffigurazione evocativa di un sentimento indicibile. Max Ernst, De Chirico, Magritte e soprattutto Dalì hanno offerto soluzioni estetiche alle linee contenutistiche che il pontefice massimo Andrè Breton stabiliva con precisione inflessibile. Realtà fisica e realtà psichica si sovrappongono, come notte e giorno giocano in Le Poison di Magritte, delineando mondi desolati (Landscape with a Girl Skipping Rope, Salvador Dalì) o universi densi di figure talvolta interpretabili, spesso solo allusive (Paysage avec nuages roses, Yves Tanguy).
Dal nulla al sogno racconta l’oblio del razionale mondo sensibile. L’irruzione del caso e del non senso ha sgretolato il muro della convenzionalità, lasciando un terreno fertile dove coltivare riflessioni oscure, ma fresche. L’arte, da sempre regno dei possibili, da quel momento in poi verrà abitata con forza da quelle eventualità impossibilitate a materializzarsi, ma anche per questo visceralmente vicine a noi.
“Quando l’alba leva gli artigli
E il primo versante di selva
Tra riflessi di brividi
L’abisso delle vette s’apre”Paul Èluard, Mourir de ne pas mourir
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