La galleria Carte Scoperte svela Ugo Carrega. Una selezione di Poesie Visise sono in mostra fino al 2 febbraio nello spazio milanese di Andrea Zardin. Dalle chine su carta rosata a le TipoGrafie e Poemi precisi, parola e pittura sono al centro delle opere in esposizione, realizzate tra il 1962 e 1978.
Non c’è esperienza umana che non sia esperienza di parola. Ognuno di noi definisce se stesso tramite un coefficiente esterno, un riferimento che costruisce sommando l’immagine che di sé intravede negli altri. Tracce di noi, delle nostre svariate sfaccettature abitano in silenzio le persone che ci circondano. Tramite le parole, proviamo a risvegliarle. Ogni parola, anche la più futile all’apparenza, ha l’involontaria proprietà di esigere una risposta. L’intersoggettività della parola e la sua capacità dialettica fondano una rete di relazioni infinitesimali che costituiscono la nostra identità, o almeno l’immagine che abbiamo di essa, insieme alle strutture ambientali e interpersonali che viviamo.
“Ho maturato, credo fin da bambino, la convinzione che la parola è la principale espressione dell’uomo”
Ugo Carrega
Sembra essere d’accordo con la nostra introduzione anche Ugo Carrega (1935-2014), che di fatto della parola ha fatto sua ossessione artistica. La parola, il segno, l’incessante rimando tra significato e significante sono stati l’oggetto del desiderio di Carrega, motore della sua creatività e della sua ricerca. Un terreno oscillante tra il preciso indirizzo concettuale e una più ampia riflessione che coinvolgesse l’intero metodo comunicativo. Questo aspetto, nelle dinamiche moderne di vertigine divulgativa, appare oggi ancora più significativo per non perdere l’orientamento.
Come detto, l’interesse di Carrega per la parola ha origini infantili. “La parola parlata era calda, ricca di connotazioni, determinate dall’ambiente, dalle espressioni del viso, dai movimenti del corpo, dal tono della voce…”, mentre quella scritta vive perennemente sul ciglio dell’indifferenza, in bilico sul filo dell’interpretazione personale del lettore. Al segno, anche se significativo, anche se alfabetico, manca il timbro, il colore. Così Carrega nelle sue opere cerca di ridurre questo scarto, di suturare questa ferita. Come fosse un chimico, o appunto un artista, unisce due elementi in una soluzione più efficace.
Nella Scrittura simbiotica inizia ad affiancare al testo poetico una traccia pittorica, che rafforzi emotivamente il segno freddo della parole, che delimitasse il loro intento comunicativo, che ne espanda il riverbero evocativo. È la Poesia materica. Da qui diverse evoluzioni e aggiunte, fino all’inserimento di oggetti come sassi e legno sulla superficie pittorica. Un percorso lungo e complesso, forse anche da intendere, ma la cui validità è testimoniata dall’esposizione alla Biennale di Venezia del 1993 di Visione celeste (1992).
A Ugo Carrega appartiene la paternità di una Nuova scrittura, mirata ad esaltare uno stile creativo, puro, originario, distante dai codici comunicativi tradizionali. Una scrittura essenziale perché punta alla sostanza. L’essenza di questa parola viene colta dal lettore tramite la vista, l’udito, attraverso un coinvolgimento ampio e inedito. L’incisività del suo segno ibrido ha portato a fare
“[…] della poesia e della pittura un’unica cosa, così che la parola sia immagine visiva (oltre che mentale) e il segno/colore sia immagine mentale (oltre che visiva)”
Ugo Carrega