“Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere” è il titolo della mostra allestita nelle sale del Museo di Capodimonte di Napoli, fino al 15 maggio 2019.
Si tratta di un percorso espositivo formato da 1220 opere: dipinti, statue, arazzi, porcellane, armi e oggetti provenienti dai depositi dell’omonima istituzione museale. Tesori sconosciuti, opere dimenticate, capolavori ai quali è stata sottratta la consacrazione della presenza nelle sale, sono molteplici i motivi che portano alla scelta di determinate opere da esporre e altre da destinare al silenzio; valutazioni e riflessioni dei direttori e dei curatori che focalizzano l’attenzione sullo stato della storia dell’arte in un dato periodo.
E’ una mostra divisa in diverse sezioni, che attinge a ben 5 depositi: Palazzotto, Deposito 131, Deposito 85, Farnesiano e Gabinetto dei disegni e delle stampe. L’obiettivo è di rendere visibile, l’invisibile, di rendere fruibili dipinti, sculture e oggetti sconosciuti, sorprendendo i visitatori, connaisseurs, studiosi e, innescando nuovi spunti e ragionamenti sulla attribuzione delle opere.
Ad accogliere i visitatori nella prima sala della mostra, sono i DEPOSITI 131 & ex Gabinetto delle Stampe, con una affermazione provocatoria di Charles Baudelaire, “La scultura è noiosa”, inserita in un capitolo della sua celebre critica al Salon del 1846. In effetti, l’attenzione maggiore dedicata alla pittura dai musei nel corso dei secoli, sembra avallare il pensiero dello scrittore decadentista, con una evidente marginalizzazione della scultura. Ciò è avvenuto soprattutto nell’Ottocento e solo recentemente c’è stata una rivalutazione scientifica di questa disciplina, superando pregiudizievoli problemi di gusto. Busti di personaggi illustri o comuni, o di difficile attribuzione, si alternano a statue di fanciulli e divinità, un allestimento che rievoca una vera e propria gipsoteca.
La seconda sala ospita il Deposito Palazzotto Borbonico e presenta una importante selezione di opere a tema orientalista ed esotico. E’ un gusto estetico che si sviluppa nel XVII secolo con le spedizioni esplorative e la nascita del colonialismo. Dopo le campagne napoleoniche in Egitto e Siria, tra il 1798 e 1801, l’orientalismo e il gusto neopompeiano caratterizzeranno questo periodo, accanto ai temi storici, sociali o leggendari, saranno affiancate rappresentazioni intrise di erotismo, di mondi lontani. Interessante è il dipinto “Harun el Raschin nella sua tenda con i sapienti dell’Oriente” (1811-13), di Gaspare Landi, in cui ritrae un gruppo di persone con il califfo al centro della scena, circondato da strumenti accademici e scientifici.
In continuità con la sala precedente una serie di oggetti etnografici rari del Settecento sono custoditi all’interno di una teca e altri, invece, appesi alle pareti. Essi sono i manufatti donati al re Ferdinando IV da Lord Hamilton e provengono dalla raccolta del capitano James Cook, l’esploratore e cartografo della marina mercantile britannica che raggiunse zone sconosciute e pericolose, in cui perse la vita in un violento scontro con gli indigeni delle Hawaii nel 1779.
Una collezione formata da 43 oggetti, armi, utensili, strumenti musicali, tele ed ornamenti degli abitanti dell’isola di Othaiti, della Nuova Zelanda, e della Caledonia. Ad affiancare queste rarità, alcuni pezzi di provenienza extraeuropea della collezione del cardinale Stefano Borgia della seconda metà del Settecento.
Entrando nella sala del Deposito 131, i fruitori restano affascinati e incantati dalla moltitudine di dipinti, di diverso formato, che coprono le quattro pareti dello spazio espositivo. Su una parete, il fulcro della rappresentazione è il ritratto, da quello storico a quello di genere, dall’idealizzazione classicista a quello verista. Il ritratto non si limita ad una semplice imitazione o somiglianza esteriore del soggetto, punta a cogliere gli aspetti psicologici, i valori morali e spirituali, soprattutto quando il protagonista è un santo o un evento religioso. “Il voto”, di Ettore De Maria Bergler, del 1890, smussa, in questo caso, il verismo della rappresentazione, in una stesura più morbida ed elegante, fino a virare verso riferimenti simbolisti.
Sull’altra parete, invece, il tema principale è il paesaggio, nato nel Seicento e affermatosi nei secoli successivi con obiettivi diversi: dalla lucida veduta settecentesca all’estetica romantica del sublime nell’Ottocento. Protagonista indiscussa è la natura incontaminata e dominatrice, fino alla grande rivoluzione attuata dall’Impressionismo. Innumerevoli sono in sala i dipinti con scorci della Napoli di fine 1800, “Porta Capuana”, del 1862, di Giovanni Serritelli, riprende immagini della brulicante vita dei vicoli partenopei, fra la gente, le botteghe e le abitazioni.
Enormi e visivamente impattanti sono le tele del Deposito Grandi Opere-Palazzotto Borbonico. Sono ben cinque i quadri di Luca Giordano, tra cui “I santi protettori di Napoli adorano il Crocifisso”. Il dipinto è messo in relazione con la spaventosa epidemia di peste che colpì la città nel 1656 e sterminò quasi la metà della popolazione. E’ una sala che ospita diverse opere di grandi artisti: “Due giovani che ridono” di Annibale Carracci, una tela di Francesco Solimena e un cavallo di legno realizzato nell’Ottocento da Annibale Sacco, direttore della Real Casa Savoia, per esporre l’Armeria farnesiana-borbonica.
Il Deposito 131 conserva dipinti di carattere storico o mitologico che, dall’inizio del Romanticismo, perdono la loro dimensione morale a favore di un racconto per aneddoti. Le scene sono ricche di dettagli, ambientate nel Medioevo o nel Rinascimento, caratterizzate da scene familiari e dagli artifici tecnici della pittura olandese. Di pregevole fattura è il “Trionfo di Bacco”, (I bevitori), una copia tratta da Diego Velazquez, un Bacco seminudo, dall’incarnato chiaro e luminoso, è raffigurato mentre pone una corona d’edera sul capo di un popolano inginocchiato di fronte a lui. La compostezza dei due individui della corte, posti a sinistra della scena, contrasta con i popolani ubriachi collocati sulla destra. Una contrapposizione che è ancora più netta, osservando l’espressione sconcertata di Bacco e il sorriso dell’uomo ubriaco che guarda verso l’osservatore.
Dai dipinti ai suppellettili, il Deposito Farnesiano ospita numerosissimi servizi di porcellana, oggetti farnesiani, borbonici e savoiardi, oltre ad una serie di cornici e altri manufatti da Wunderkammer. All’interno delle teche sono custodite porcellane francesi decorate a Napoli da Raffaele Giovine, dei déjeuner con i ritratti dei re di Napoli e di Sicilia. Interessante e minuziosa è la manifattura Del Vecchio, un servizio da tavola formato da 36 pezzi decorata con fascia rossa, detta ponsò, del 1816.
La prima parte del Deposito 85, invece, conserva dipinti su tavola della prima metà del XVI secolo, che vanno dal soggetto religioso alle varie scuole, dalle diverse influenze culturali agli stili eterogenei. Affascinano le due copie di “San Giovanni Battista”, di autore anonimo, che si ispirano a Leonardo da Vinci, oppure “Venere e Amore”, del 1540, di Leonardo da Pistoia, in cui emergono gli incarnati luminosi e traslucidi, dove la pelle sembra di avorio e marmo, e le fisionomie delle due figure, rievocano gli influssi ricevuti durante il soggiorno romano accanto a Giovanni Francesco Penni.
Nella stessa sala sono esposti dipinti del genere storico, pittura di storia, ritratto, natura morta e paesaggio, per i suoi temi nobili e didascalici. Opere di grande formato, l’interesse è rivolto al disegno di contorno, allo stile rigoroso e severo, e ai valori estetici capaci di rappresentare anche l’esaltazione delle virtù morali e civili, un esempio è “L’incoronazione della Vergine” di Annibale e Agostino Carracci.
La mostra si chiude con l’ultima sezione, il DEPOSITO 131, dove sono custoditi armi e tessuti che, per loro stessa natura, sono destinati a non essere perennemente esposti per ragioni conservative. Percorrendo le sale della mostra, si attraversa la storia, con sentimenti di intensa curiosità e di scoperta. E’ un lungo racconto dove ognuno ne trae le proprie conclusioni, incantati e gratificati da una moltitudine di opere d’arte esposte.
Informazioni utili
Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere
Museo di Capodimonte, via Miano, 2, 80131 Napoli
Fino al 15 maggio 2019
museocapodimonte.benisulturali.it
*Nella prima immagine: Giuseppe Mancinelli (Napoli 1813 – Castrocielo 1875), Tarquato Tasso legge la Gerusalemme liberata alla Corte di Ferrara, 1841, olio su tela