Sta per chiudere la prima mostra personale a Londra dell’artista Chiharu Shiota (1972, Osaka). Il titolo è quello della sua nuova installazione site-specific “Me Somewhere Else”, un’opera perfettamente in linea con i linguaggi e i temi che hanno reso l’artista giapponese iconica e apprezzata nel mondo. Appena entrati ci si imbatte in un monumentale intreccio di fili rossi sospesi in aria per tutta la stanza. Il groviglio converge verso terra su un calco bianco dei piedi dell’artista. Memoria, appartenenza, riflessioni sulla vita e sulla morte fanno da trama e da ordito di una complessa rete di concetti universali nel cui centro è posto l’essere umano.
É proprio la presenza delle persone che rende il lavoro di Shiota un’esperienza al contempo intima e collettiva. Entrare in una delle sue installazioni immersive significa orientarsi nei suoi spazi, chinarsi o mettersi in punta di piedi per sfiorare i fili che piovono dall’alto. Significa anche entrare in relazione con gli elementi che l’artista dissemina nei suoi ambienti: oggetti reduci da storie lontane e intrisi di memoria. Che siano barche in legno approdate dopo chissà quali rotte, chiavi per porte lontane o valige contenenti vite remote, non smettiamo di viaggiare in memorie personali e collettive, uscendo insieme protagonisti e piccoli puntini nella storia del mondo.
“Quando i miei piedi toccano la terra, mi sento connessa al mondo, all’universo che si sviluppa come una rete di connessioni umane, ma se non sento più il mio corpo, dove vado? Dove vado quando il mio corpo è andato?”
Il corpo e la propria presenza nello spazio sono uno dei leitmotiv che accompagnano da sempre Shiota. Dopo un sogno in cui immagina di immergersi in un quadro, si trasferisce a Berlino nel 1996 dove studia performance sotto la guida di Marina Abramović. Tornata quindi nella città natale per visitare i genitori, Shiota riprova un vecchio paio di scarpe e scopre che non le stanno più. In questo piccolo frammento biografico possiamo cogliere il senso di quei piedi nudi senza corpo sotto il groviglio magmatico di fili rossi, il loro raccontare la vita attraverso la classica metafora di un viaggio senza destinazione che ci cambia sempre.
Nella stanza a fianco sono presenti 11 opere, di cui cinque sculture della serie “State of Being”. Fili rossi, neri o bianchi (non ci sono eccezioni in tutta la carriera di Shiota) ingabbiano e sospendono in aria composizioni di oggetti: guide turistiche, mappe, taccuini e persino un vestito da sposa. Quest’ultimo, inserito in un parallelepipedo di fili neri, è un elemento ricorrente sin dalle sue prime installazioni. “State of Being – Dress” (2018) racconta di una sorta di impossibilità unione e di procreazione, una interruzione che trova legame con la biografia dell’artista cui, dopo 3 anni di matrimonio, viene diagnosticato un cancro alle ovaie. Da allora tempo e memoria si intrecciano con il tema della morte.
Da oltre 15 anni, Chiharu Shiota raccoglie l’applauso del grande pubblico internazionale e nel 2015 si è distinta tra gli artisti più iconici della 56esima Biennale di Venezia con l’opera “The Key in the Hand”. Il debutto londinese di “Me Somewhere Else” non fa eccezione. La mostra chiude sabato 19 gennaio e dalle grandi vetrate dello spazio espositivo si vede ad ogni ora un brulicare di appassionati e curiosi, attratti e affascinati dalla potenza poetica di un lavoro immersivo e sognante.
Chiharu Shiota, “Me Somewhere Else”, Blain Southern Londra, 28 novembre 2018-19 gennaio 2019
Informazioni: https://www.blainsouthern.com/