Print Friendly and PDF

Leoncillo alla Galleria dello Scudo di Verona. Intervista al curatore Enrico Mascelloni

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018 Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

Esposta allo Scudo una selezione di oltre venti sculture di grandi e medie dimensioni tra le più significative dell’ultimo periodo, tra il 1958 e il 1968, realizzate in terracotta o in grès

Il milieu dell’arte contemporanea sembra crescentemente un tranquillo pascolo di buoi felici un po’ addormentati mentre ruminano; la sola cosa che sembra ormai svegliarli è il grande prezzo battuto in asta, che è d’altronde la sola notizia che dalla pagina culturale dei giornali è suscettibile di filtrare in quelle politiche e di cronaca. In tal senso i recenti risultati sia da Christie’s che da Sotheby’s illuminano Leoncillo in maniera quasi abbagliante e si può dire che non abbia mai vissuto un momento migliore di questo. Tuttavia mi sembra assai più importante la mostra allo Scudo, che è centrale nel riportare Leoncillo al livello che merita, e che è quello di uno dei protagonisti assoluti della scultura internazionale del ‘900”. Non rinuncia al suo graffiante humor, ma non riesce a dissimulare un meritato orgoglio, Enrico Mascelloni, il critico e curatore che negli ultimi anni si è maggiormente speso per rilanciare e valorizzare l’opera di Leoncillo, il grande scultore scomparso 50 anni fa. Lo incontriamo fra le sale della Galleria dello Scudo di Verona, che all’artista originario di Spoleto (come lo stesso Mascelloni) dedica una delle sua abituali mostre “museali”. Esposizioni di assoluto rigore critico, ampie e ricche di opere importanti, spesso di grandi dimensioni: come in questa occasione, che vede esposta una selezione di oltre venti sculture tra le più significative dell’ultimo periodo, tra il 1958 e il 1968, realizzate in terracotta o in grès.

Il mese scorso il record assoluto in asta, poi due mostre a Roma da te introdotte in catalogo e ora questa che curi a Verona. È un buon momento per Leoncillo?
Le mostre romane alla galleria Apolloni e alla galleria Laocoonte, prendono in esame la fase neocubista di Leoncillo e il suo noviziato romano nei tardi anni ’30 e durante la guerra. Quella allo Scudo presenta invece una serie d’importanti sculture della sua produzione più nota e celebrata, quella del suo ultimo decennio d’attività e di vita (1958-1968). Tornando all’attuale mercato di Leoncillo, e ti garantisco che il sottoscritto non fa per nulla parte di coloro che ritengono il mercato dell’arte un segmento privo d’importanza o da scansare per non compromettersi, quando Massimo Di Carlo, due anni fa, mi ha chiesto di curare la mostra di Verona, di Leoncillo se ne parlava ben poco e il suo mercato era residuale. Se restava un artista comunque assai stimato e non era scomparso dall’orizzonte, era soprattutto per merito di Fabio Sargentini, quindi di una delle più importanti gallerie italiane degli ultimi decenni, che non l’ha mai trascurato, pur occupandosi, com’è noto, soprattutto di artisti delle generazioni successive. Un’altra galleria che in tempi recenti ha lavorato su Leoncillo è la Maggiore di Bologna.

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

Questa mostra dello Scudo si concentra sull’ultimo decennio di attività dell’artista. Riusciamo sinteticamente a periodizzare gli sviluppi della sua opera?
Tradizionalmente l’opera di Leoncillo viene suddivisa in tre periodi: quello del noviziato romano, dopo che da Spoleto si trasferisce a Roma (1936). Si tratta di una fase all’insegna di un espressionismo che deve qualcosa alle cosiddette scuole romane (a Scipione in primis) ma a tal punto originale che Roberto Longhi coniò un termine ad hoc che poi gli è rimasto attaccato come un marchio a fuoco: barocchetto decadentistico. Lo si fa in genere terminare con la fine della guerra e con l’adesione al Fronte nuovo delle arti e l’acquisizione di un linguaggio neocubista, secco e ben articolato, seppure declinato ancora con potente manipolazione gestuale e costante impatto materico. Tali caratteristiche verranno portate all’estreme conseguenze dopo il 1958, quando anche per Leoncillo si parlerà di adesione all’informale. Ma a parte il fatto che se il termine informale indicasse una centralità della materia e del gesto, Leoncillo lo sarebbe sin dai suoi primi lavori degli anni ’30, nella sua fase finale accade in realtà il contrario: le forme sono potenti e stagliate, spesso, attraverso un atto violento come il taglio, pronte a recuperare le sue forme antiche. Più che In-forme, la sua fase finale è semmai all’insegna di un ritorno ossessivo e potente della forma. Chiunque vedrà l’impressionante sequenza di opere di grandi dimensioni allestite nelle sale dello Scudo, se ne renderà conto facilmente. Si renderà anche conto di quanto le categorie storiografiche, quando misurate con i fuoriclasse dell’arte, s’ingrippino sino a dover venire abbandonate.

Quali sono dunque i caratteri precipui del periodo preso in esame?
Appunto le sue costanti di sempre sebbene sempre “cotte”, in tal caso metaforicamente, al fuoco più bruciante di un’ epoca che abbandona le mitografie degli anni precedenti, ma non la loro sostanza: una materia impacificata, un gesto che aggredisce la creta come fosse un nemico da combattere, o un’amante da possedere sino all’estremo limite dell’abbraccio. Molte opere si titoleranno San Sebastiano come l’esemplare del 1939, ma attraverso tagli violenti e manipolazioni di materia ritorneranno, come fantasmi inaggirabili, anche i minatori dei primi anni ’50 e persino le attrici ritratte all’epoca della Dolce Vita romana, a cui prese parte.

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

Quanto influisce la vicenda biografica sulla produzione di Leoncillo?
Per un ossessivo come lui, che negli ultimissimi lavori riprende come se li avesse disegnati pochi giorni prima gli “ulivi” vangoghiani del 1936, sembrerebbe contare poco, tanta è la coerenza e la continuità dal primo all’ultimo lavoro. In realtà, per fare l’esempio a mio parere più importante nel rapporto vita-arte, la drammaturgia dei suoi lavori finali, quelli esposti a Verona, è determinata anche dall’abbandono della militanza politica nel PCI in seguito ai fatti d’Ungheria (1956). La Storia con la S maiuscola, ormai compiutamente plumbea e per tale motivo drammatizzata, incombe nelle ultime opere, ormai prive di qual si voglia filtro ideologico e lasciate dialogare con una solitudine che si fa ontologica.

Cesare Brandi avvicinava la figura di Leoncillo a quella di Fontana, quantomeno come livello qualitativo assoluto. Ci furono rapporti fra i due?
Sì, si conoscevano e si sono incontrati, tra l’altro, nello studio romano di Crispolti, che in una foto memorabile, che vedrai pubblicata nel catalogo di Verona, si allontana dal centro della scena mentre i due sembrano affrontarsi in una sorta di duello. E se vogliamo andare avanti con la metafora del duello, cosa di più congruo a esso di due artisti armati di coltello e alle prese, per altro in contemporanea, con un gesto come il taglio! Ma certamente quello di Leoncillo, che amputa una materia-carne viva e pulsante, è ben diverso da quello cerebrale, concettuale e seppure affilatissimo di Fontana. Eppoi, per ambedue, la centralità della ceramica, che in Leoncillo diventa mezzo di coerenza stilistica al punto che dopo il 1936 le sue sculture saranno esclusivamente in tal materiale, ma anche per Fontana sarà sempre, e non solo ai suoi esordi, un materiale importante. Credo che la mostra alla Fondazione Carriero abbia messo in evidenza con chiarezza affinità e differenze. In qualche modo i due, insieme a Melotti, hanno anche sdoganato la ceramica dal purgatorio delle arti minori, in cui era stata infilata praticamente dal Rinascimento.

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

In occasione di questa mostra presentate la trascrizione del suo “Piccolo diario”. Quali sono i dati salienti che emergono da questo scritto?
È uno scritto fondamentale per capire l’opera di Leoncillo e non ultimo è tra i più intensi (e ben scritti) redatti da artisti del secolo scorso. Marco Tonelli ne ha curato la redazione filologica e per la prima volta finalmente completa. Ormai è uno strumento fondamentale, e infatti lo pubblichiamo con la redazione originale a fronte in un volume a parte che completa il catalogo vero e proprio della mostra.

Lo Scudo è forse la galleria italiana più “museale”. Una mostra qui rappresenta una nuova consacrazione per l’artista?
Lo Scudo è la più importante galleria italiana di novecento storico. E forse non tutti hanno ancora capito che una mostra come si deve in una galleria importante vale più di dieci kermesse affrettate negli spazi pubblici (o musei che dir si voglia).

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

Uno dei nuclei più importanti di opere di Leoncillo è quello della collezione della Galleria Civica di Spoleto, la sua città natale, negli ultimi anni alquanto trascurato. Ora alla direzione c’è Marco Tonelli, critico molto vicino all’artista: quali sono le prime mosse che ti sentiresti di consigliargli?
La nomina di Tonelli a direttore della GAM di Spoleto è davvero una buona notizia. Egli è a tutti gli effetti uno specialista di Leoncillo e la sua collaborazione alla mostra di Verona ne è la riprova. A Spoleto vi è la più importante raccolta pubblica di opere di Leoncillo e finora quel museo, che evitava accuratamente di occuparsene, aveva una Ferrari tenuta in garage e era come se circolasse con un’utilitaria (anche un po’ scassata). Tonelli sa benissimo che Leoncillo è un fiore all’occhiello (sebbene non l’unico) del museo e fuor di metafora la GAM di Spoleto diventerà senz’altro un punto di riferimento per Leoncillo.

Due parole per il catalogo, come sempre per la Galleria dello Scudo un elemento qualificante delle mostre…
Il catalogo per i tipi Skira sarà senza false modestie lo strumento più importante mai realizzato finora sull’opera di Leoncillo, inaggirabile tanto per gli appassionati che per gli specialisti. Oltre ai testi di cui si è detto (del sottoscritto e di Tonelli), ve ne è uno sul rapporto di Leoncillo con l’antico di Martina Corgnati. Alessandra Caponi ha fatto un’ampia ricerca sulla committenza pubblica e privata di Leoncillo, mentre Lorenzo Fiorucci ha analizzato e pubblicato la corrispondenza dello scultore con alcuni personaggi centrali dell’epoca, come Ponti, Longhi, Brandi e Arcangeli. Lo staff preparatissimo della Galleria non solo ci ha tormentato quotidianamente pretendendo un perfezionismo che non pretendono nemmeno gli editori più pignoli, ma ha redatto a firma di Laura Lorenzoni una biografia dell’artista con molte scoperte importanti.

A cura di Massimo Mattioli

https://www.galleriadelloscudo.com/

Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018
Leoncillo, Galleria dello Scudo, Verona, 2018

Commenta con Facebook

leave a reply