A quarant’anni di distanza, una nuova retrospettiva a Londra su Edward Burne-Jones, colui che è reputato fra i più talentuosi artisti del secondo Ottocento inglese, a torto considerato esponente preraffaellita. 150 opere fra dipinti su tela, dipinti su vetro e arazzi, e per la prima volta nella loro interezza, esposti i cicli The Briar Rose e Perseus. Fino al 24 febbraio 2019.
Londra. Esteta raffinato, fine intellettuale, talentuoso artista dalle spiccate doti narrative, Edward Burne-Jones (1833–1898) è ancora oggi al centro di un’indagine artistica volta a comprendere in maniera definita il significato e lo stile della sua pittura. Una certa pigrizia ormai convenzionale lo assegna al movimento preraffaellita, ma a ben guardare non ha molti punti in comune con gli intenti di questa corrente. Che, ricordiamolo, nacque in quella fine d’Ottocento quando l’Inghilterra vittoriana conobbe una fase di forte espansione coloniale e industriale, e la nuova società si scoprì cinica e materialista. Anticipando il medesimo stato d’animo e le medesime motivazioni che avrebbero portato alla nascita della Secessione tedesca e austriaca, i pittori preraffaelliti intesero perseguire una pittura che riportasse all’antico, o meglio al massimo splendore dell’antichità raggiunto con i pittori rinascimentali.
Un apice, questo, poi “sporcato” da Raffaello, che a dire degli inglesi aveva esaltata l’idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza”, e permesso gli sviluppi dell'”odiato” accademismo. Un giudizio che denota la scarsa conoscenza di Raffaello, e inoltre, a ben guardare, anche la pittura preraffaellita si allontana dalla realtà (tranne alcune frequentazioni di temi sociali ad opera di Ford Madox Brown e Geroge Barnard O’Neill), rifugiandosi in un immaginario fatto di leggende antiche, episodi biblici, mitologia pagana, calato in soffocanti atmosfere di gusto teatrale, dalla pesantezza quasi barocca.
In fondo, come accennato di sopra, i Preraffaelliti cercavano un modo per rifugiarsi in un universo raffinato e quasi arcadico, che consentisse di evadere dal grigiore della civiltà industriale e materialista. Per questo ricorsero, nel creare il loro immaginario, ad atmosfere fiabesche, cavalleresche, mitologiche, dove fossero ancora ben vivi concetti quali l’onore, la cortesia aristocratica, il fervore religioso. Ma sullo fondo, grava un’angoscia pesante come la morte, quasi a rompere l’incantesimo e ad ammonire dalle illusioni.
E nel tempo, Burne-Jones è stato di volta in volta etichettato come preraffaellita di seconda generazione, come proto-simbolista, come un pittore storicista “nemico” della modernità. Definizioni che però non inquadrano appieno la portata della sua pittura, per risalire alle origini della quale, è necessario capire la formazione dell’artista: non proviene infatti dalle scuole d’arte o dagli studi di affermati pittori. Frequentò infatti il prestigioso college di Oxford, e ne uscì con un bagaglio culturale prettamente letterario, che costituì il punto di partenza per una pittura condotta a venticinque anni con le medesime capacità di un quindicenne, come, con ironia tipicamente albionica, ebbe a dire lo stesso artista, che aveva cominciato a dipingere da solo, e che per un breve periodo, nel 1856, fu allievo di Dante Gabriele Rossetti.
Ma il suo “studio sul campo” lo compì principalmente in Italia, fra Siena, Firenze, Pisa e Venezia, dove si recò nel 1859, ed ebbe modo di studiare da vicino Leonardo, Signorelli, i Primitivi senesi, il Rinascimento veneto. Stili e suggestioni che seppe fondere in una pittura moderna: ammiratore e seguace dello stile di William Blake, Burne-Jones è considerato la quintessenza del visionario sognatore del decadentismo vittoriano, capace di frequentare atmosfere dal sapore ora leonardesco, ora shakespeariano, ora mitologico, sospese in un limbo fra letterario e onirico.
Della formazione letteraria oxfordiana, resta nelle sue opere una sensazione di solidità compositiva che ricordano i pesanti ma colorati codici miniati medievali, la loro fantasmagoria di simboli pagani e religiosi, animali immaginari e creature mostruose. Così come si percepisce l’afflato narrativo in quelle tele ispirate alle leggende antiche o alle fiabe di Perrault, con il loro carico di significati nascosti e allegorici. Una concretezza letteraria che nasce anche dal un rigoroso formalismo compositivo: Burne-Jones infatti provava un’autentica idiosincrasia per il “non finito”, per la pennellata rapida e sfuggente propria degli Impressionisti.
Aborriva inoltre la pittura en plein air, preferendo leopardianamente chiudersi in uno studio oltre le mura del quale immaginare non soltanto la “semplice” evasione dalla realtà, ma ampliare il punto di vista lasciando intendere anche utopie di emancipazione politica (un dotto richiamo ai secenteschi Diggers), oppure un viaggio nei recessi della psicologia umana, sulla scorta degli studi di Freud e Lacan. L’articolata mostra londinese indaga a fondo questi aspetti, in particolare l’attenzione per la psiche, che emerge dai suggestivi ritratti dai quali, più che il rango e la ricchezza del soggetto, emergono la sua personalità, la malinconia, le fragilità.
Burne-Jones cercava infatti di andare oltre la mera somiglianza fisica – un po’ come accadeva in Italia con gli Scapigliati -, e riuscì a rivestire di profondità le abituali pose drammatiche tipiche dei Preraffaelliti. In ragione di quanto sopra, Burne-Jones appartiene solo in minima parte alla confraternita londinese, mentre trova piena accoglienza all’interno dell’Estetismo, corrente che non condivideva le critiche sullo sganciamento dell’arte dalla realtà. Questa, infatti, ostacolava la ricerca della bellezza, che deve essere ideale, interiore: rinunciando alla fantasia, l’arte rinuncia a se stessa. In virtù di queste peculiarità, Burne-Jones raggiunse in vita una fama di respiro internazionale, a differenza dei preraffaelliti, nella cui aura seguita tuttavia a essere iscritto. Ma a torto.
Informazioni utili
Edward Burne-Jones
Tate Britain, Millbank, Westminster, London SW1P 4RG
Fino al 24 febbraio 2019
*Nella prima immagine: Edward Burne-Jones – Laus Veneris, 1873-78. Laing Art Gallery