Urs Fischer è nato a Zurigo nel 1973. Dopo la mostra alla galleria Hauser & Wirth nel 2001 ha fatto una carriera folgorante esponendo nei posti più prestigiosi del mondo. Adesso è aperta a Venezia a Palazzo Grassi fino al 15 luglio “Madame Fisscher”, quasi una retrospettiva senza un percorso lineare con un clima domestico.
Cosi l’altro giorno ho preso il treno da Milano e sono andato a vederla, alla stazione Santa Lucia c’era Daniele Capra che mi aspettava al binario, poi Manuela Pace che era lì per caso con un gruppo di studenti della Paolo Grassi e fuori dalla stazione Gabriella Belli, la dogaressa di Venezia che cercava una banana in una bancarella per poi prendere un treno per andare a Udine e tenere una lezione all’Università. Ho pensato quella donna non la ferma nessuno…
La mostra di Urs Fischer è bellissima. Ero un po’ prevenuto per via di quei condizionamenti stupidi che ogni tanto subisco, mi sembrava che si vendesse troppo come il ragazzotto che scendeva dal maso dopo aver munto la mucca, ma sono stato smentito subito dall’inizio. All’ingresso del Palazzo c’è la ricostruzione di un suo vecchio studio di Londra, una scatola di legno fatta alla belle e meglio con dentro appesi ai muri disegni e disegnini e tanta roba per terra, con cautela ci si può entrare, su una sedia scopri una scultura di polistirolo rosa che rappresenta il corpo di una donna, appena iniziata o forse già finita? Non si riesce a capire? Ma forse è questo che ci vuole dire Madame Fisscher, il fascino sta nel “mentre”, nel work in progress , in quel momento magico in cui le cose avvengono. E che forse qualcosa irrimediabilmente si perde quando tutto è finito e ben confezionato come nella scultura di Koons che, credo non per caso, è stata messa li a fianco.
Anche Francis Bacon diceva sempre a David Sylvester che dietro a un quadro ce ne sono cento cancellati e forse anche migliori, insomma è un problema che mi ha sempre attratto, quando insistere? Quando fermarsi? Quando si può dire che un opera è finita? Fischer con questo lavoro ci dice che l’opera non è mai finita che è il segreto sta lì, in quello sporco del suo studio finto. Poi fuori ci sono un pò di detriti come scappati da una finestrella, tre sedie con sopra dei materiali strani che subito fanno venire alla mente un grande artista austriaco Franz West, che respira spesso la stessa aria sporca. Appena dall’altra parte c’è Capillon la lavatrice di cartone, o forse di legno verniciata di bianco, con a fianco un’oca pure di legno e sempre bianca, e sopra la lavatrice un gatto, un immagine che avevo già visto riprodotta ma dal vero è incantevole. E’ proprio una conferma che le cose bisogna sempre vederle dal vero, l’informazione globale che noi riteniamo di avere grazie alla rete è spesso farlocca, ci devia dalla realtà. Al piano di sopra troviamo una stanza con una grande palla di stoffa cucita male che si muove piano, poi un paravento, poi delle sculture pop messe sul pavimento, poi il pacchetto di sigarette che si muove pure lui ma facendo un giro su stesso e quella specie di disegno rosso che sta nell’aria appeso, con dei fili che quasi non si vedono e sembra che voli, poi le due sculture che si parlano come i giocatori di Cézanne, un autoritratto e il suo amico Rudolf Stingel che si stanno sciogliendo come il Giambologna dell’ultima Biennale, poi una stanza con le nuvole e la luce rossa che sembra un teatrino per bambini, poi i frammenti del corpo umano di un maschio che contengono un foro a partire da un orecchio al naso in avanti, e infine la stanza con la modella nuda come mamma la fece perché lo scultore possa lavorare con calma. La ragazza è di Bergamo, vive a Venezia da due anni e studia all’Accademia, è una perfomer vera e gli artisti che contano li conosce tutti uno a uno, ma la sua preferita è Kiki Smith, chissà perché tutte le donne la amano da morire?
Urs Fischer è un artista con una fantasia spiazzante, crea delle micro storie casalinghe, ha iniziato come fotografo ma poi ha creato un mondo imprevisto che ci fa scoprire dei luoghi che non conoscevamo. Fa dell’imperfezione la sua strategia e la cura nei minimi dettagli, questo è il suo segreto come nell’opera della famosa casa di pane con dentro gli uccellini vista all’Istituto dei Ciechi di Milano realizzata grazie alla Fondazione Trussardi. Massimiliano Gioni ci aveva visto bene e come dice Urs è anche una conferma “che l’arte a qualcosa deve pur servire ma non si capisce mai veramente a cosa”.