Cala il sipario sulla 24° edizione del Milano Film Festival, che dai lunghi ai cortometraggi, passando per gli outsiders e gli incontri italiani, non ha mancato di stupirci e conquistarci. Ecco a voi tutti i vincitori.
Dai registi agli attori, dallo staff al pubblico di cinefili affamati di novità. Diversi i sold out per quest’ultima edizione del Milano Film Festival, dall’anteprima italiana di The Beach Bum a quella di La scomparsa di mia madre. Musica a palla e atmosfera festaiola davanti al Cinema Odeon via Santa Radegonda, che ha visto le sue maestose sale anni ’20 innalzarsi a culla del cinema indie per un’intera settimana. In tutto, circa 43 mila le presenze registrate, tra proiezioni ed eventi speciali, con il 60% di pubblico under 30. Come tutte le cose belle, però, anche questa edizione della berlinale meneghina, diretta per il secondo anno da Gabriele Salvatores con Alessandro Beretta, è giunta al termine. Ma il ricordo che lascia nella nostra memoria è più che positivo, per aver ribadito, ancora una volta, la qualità della sua selezione. Ma ora, scopriamo chi sono i fortunati vincitori del Milano Film Festival 2019.
Il Premio Internazionale Miglior Lungometraggio, assegnato da una giuria composta dall’attrice Margherita Buy, Hanna Woodhead di Little White Lies e lo sceneggiatore Maurizio Braucci, se lo aggiudica The Sharks di Lucía Garibaldi, che vi abbiamo profeticamente consigliato in questo articolo. A motivare la scelta dei giudici, “il coraggio e l’originalità con cui esplora il tema del risentimento, declinandolo in una psicologia femminile e inserendolo quindi entro il conflitto di genere. Una drammaturgia semplice ma potente supporta una straordinaria interpretazione offre al pubblico un’analisi speciale del mutevole rapporto tra femminile e maschile, così caratterizzante di questi anni.” La giovanissima protagonista Romina Betancur, che la regista ha scovato per caso in un corso di teatro per liceali, si è meritata il premio N.A.E. alla Miglior Attrice, assegnato dalle quattro attrici star della rassegna di incontri Italian Beauty Stories (Laura Chiatti, Giulia Michelini, Valeria Solarino e la stessa Margherita Buy), “per l’espressività, un’interpretazione intensa e naturale, e per la capacità di comunicare un ampio spettro di emozioni con una recitazione minimalista.” Una recitazione acqua e sapone, proprio come appare Romina Betancur in tutto l’arco del film, e uno sguardo capace di sfondare lo schermo.
Una menzione speciale va invece a Swallow, opera prima del newyorkese Carlo Mirabella-Davis, un thriller-horror femminista che critica una società soffocata da ridicole regole di genere, riprendendo il tema del passaggio all’età adulta in un’ottica deformante. Sublime prova attoriale per l’affascinante Haley Bennett, già Megan in La ragazza del treno, ma ancora mai messa alla prova da un ruolo così complesso: una donna incinta inghiottita da un disturbo compulsivo che la induce a ingurgitare oggetti non commestibili. Così la giuria chiarisce la scelta: “Un incoraggiante debutto, con una notevole interpretazione femminile, che tocca temi delicati come l’abuso, le ossessioni e la solitudine, con un promettente sguardo autoriale.”
Koko-di Koko-da di Johannes Nyholm, opera onirica che affronta in modo bizzarro e senz’altro originale il tema della perdita di un figlio, ottiene la seconda menzione speciale. “Siamo rimasti molto colpiti dal secondo lungometraggio di Johannes Nyholm. Un film che mescole diverse forme di cinema, molto fantasioso, audace e scomodo. Un film molto inquietante che ci ha ricordato Rueben Ostlund e Michael Haneke, ma presenta anche bellissime inquadrature, altamente fantasioso e coinvolgente. Non vediamo l’ora di vedere cosa farà Johannes dopo!”.
Il Premio del Pubblico – Miglior Lungometraggio Internazionale lo conquista il ceco A certain kind of silence, seconda prova alla regia per Michal Hogenauer. Ispirato agli inquietanti fatti realmente accaduti riguardanti la setta delle “dodici tribù”, la pellicola si muove sui toni grigi di una perenne pioggerella inglese – sfondo su cui agisce la giovane Mia, che approda in una famiglia in qualità di au pair. Forte di una nuova, eccitante indipendenza, la protagonista si ritrova in una situazione familiare inizialmente bizzarra, ma via via sempre più inquietante. Lontana dagli affetti e accolta in una realtà ostile, può contare solo su se stessa, con tutte le incertezze del caso. Michal Hogenauer indaga in maniera scrupolosa il tema della manipolazione, creando un crescendo di pressione capace di incollare il pubblico alla poltrona. A reggere un ruolo tanto complesso, il viso innocente e familiare di Eliska Krenkova, impeccabile dall’inizio alla fine.
Il Premio Aprile, assegnato dal comitato di selezione del MFF, se l’accaparra Guerilla. Debutto alla regia dell’ungherese György Mór Kárpáti, segue la vicende di un giovane renitente alla leva che, nell’Ungheria di metà Ottocento si mette sulle tracce del fratello, unitosi a un gruppo di nazionalisti. “In un periodo storico caratterizzato da nuove tendenze sovraniste e xenofobe, un film che non ha paura di confrontarsi con le contraddizioni del nostro presente attraverso la crudeltà di un passato – l’Europa del ‘800 – che ritorna. Un premio assegnato per il coraggio di riaprire ferite antiche attraverso il linguaggio inesausto del cinema in costume.”
Per quanto riguarda il Concorso Internazionale Cortometraggi, erano 41 le opere brevi in gara. Ad aggiudicarsi il Premio Campari Miglior Cortometraggio, Adalamadrina della spagnola Carlotta Oms, classe ’95. Progetto di tesi della regista, narra la storia di una ragazza in sovrappeso, star del web ma impacciata nella realtà. Alle prese con insopportabili pulsioni sessuali a cui dà sfogo nella solitudine della sua stanza, si invaghisce del suo insegnante di aerobica, ma è totalmente incapace di farsi notare. Quindi si rivolge alla rete, e non le resta che attuare con determinazione un piano strampalato. Scandito dalla goffaggine della routine di una protagonista tanto soffice quanto naive, che si muove in una realtà fiabesca tinteggiata di rosa e azzurri pastello, Adalamadrina strappa più di un sorriso, ma trasmette anche tanta dolcezza.
Il pubblico, dal canto suo, premia uno dei due cortometraggi italiani in concorso: Mia Sorella del bitontino Saverio Cappiello, che ha già conquistato il mondo dei festival con la delicatezza del suo primo documentario Jointly Sleeping in Our Own Beds (2016). Inserendosi nel ritrito filone dei film-di-periferia, ma senza mai peccare di banalità, Mia sorella è il dialogo, rigorosamente in dialetto, tra Cosimo e Vanni, rispettivamente fratello e sorella. Legata al fratello ai limiti della morbosità, Vanni entra in crisi quando vede la loro esclusiva relazione minacciata dall’intromissione della nuova ragazza di Cosimo. In un contesto in cui i problemi si risolvono con le mani, il film è capace di raccontarci la tenerezza di un rapporto fraterno senza mostrarci nulla di tenero, con una fotografia sporca e una regia spontanea che si nutre di primi piani e macchina a mano, tra la luce dei lampioni di un parcheggio desolato e quella al neon di una lurida.
Due menzioni speciali da parte della redazione di Nowness vanno infine a Pearl di Yuchao Feng, “una storia commovente e bellissima, realizzata attraverso una forte visione cinematografica e artistica; caratterizzata da una performance immersa totalmente nell’universo del film”, e a All on a Mardi Gras Day del polacco Michal Pietrzyk, “un documentario ben fatto che fa luce su una prospettiva meno conosciuta del Mardi Gras. Un meraviglioso e intimo ritratto di persone e luoghi.”