Mobili, quadri, abiti, materiale tecnico, stramberie. Lo studio-abitazione svizzero del padre della Nouvelle Vague si trasferisce definitivamente in Largo Isarco, al primo piano della galleria Sud di Fondazione Prada. Visitabile, su prenotazione, a partire dal 4 dicembre 2019.
Entrare nello studio di chi ha diretto un’opera del calibro di À bout de souffle (1960), sfiorare i vestiti di chi per anni ha tenuto sottobraccio un’attrice quale Anna Karina, curiosare nella libreria di chi la storia del cinema l’ha scritta, guidando l’irripetibile movimento della Nouvelle Vague. Tutte cose che solitamente appaiono a malapena immaginabili, oggi sono realtà: il luogo inaccessibile per eccellenza, centro direzionale della creatività del genio di Jean-Luc Godard, è avvicinabile, osservabile, curiosabile (ma senza toccare), da chiunque sia animato da una genuina curiosità e un po’ di spirito voyeuristico.
Dopo un corteggiamento durato cinque anni, Fondazione Prada ha convinto Jean-Luc Godard a trasferire in via definitiva il suo studio-abitazione di Rolle, in Svizzera, nel capoluogo meneghino. Senza ricostruire nulla, solo limitandosi a trasportare e ricollocare: l’installazione appare decisamente fedele alla disposizione originale, se non per le dimensioni più ridotte. E così, Le studio d’Orphée, il cui nome crea un parallelismo tra il regista e il poeta-musicista greco, utilizzato dal regista per l’ideazione, la produzione e il montaggio delle sue opere dal 2010 in poi, è visitabile su prenotazione a partire dal 4 dicembre.
Lo spazio, scelto personalmente dell’autore, è quello del primo piano della galleria Sud, che per forma e dimensione ricorda un ambiente domestico; due strette rampe di scale conducono in un’anticamera in cui giacciono abbandonati secchi, spazzoloni, stracci e una sedia sdraio su cui poggiano abiti da tennis forse appena utilizzati, il tutto a riempire la stanza di una presenza umana da poco assentatasi, per poi piombarci nell’intimità dello studio vero e proprio.
Nessuna indicazione, nessuna didascalia. Come in casa di uno sconosciuto (o quasi), il visitatore è invitato a posare lo sguardo su ciò che naturalmente attira la sua attenzione: manifesti di vecchi film a cui si immagina Godard affezionato, come un Tati modificato, all’ingresso della stanza, o L’avventura di Antonioni appoggiato al muro orizzontalmente, forse in attesa di una collocazione definitiva. Oppure un ritratto di Kafka, un vecchio telefono appeso al muro, Féerie pour une autre fois in edizione tascabile, un grosso libro di storia del cinema, un aspirapolvere dimenticato ai piedi della scrivania e due vasetti d’inchiostro accanto alla tastiera, dove il mouse posa su di un tappetino a forma di gatto.
E poi certo, i monitor di montaggio e mixaggio, gli stessi su cui l’autore ha assemblato il suo Livre d’image (premiato con la Special Palme d’Or a Cannes nel 2018), proiettato sullo schermo piatto di una tv, alternato a nove cortometraggi del regista e da lui stesso selezionati: On s’est tous défilés, 1988; Je vous salue Sarajevo, 1993; Les enfants jouent à la Russie, 1993; The Old Place, 1998; De l’origine du XXIème siècle, 2000; Liberté et Patrie, 2002; Une bonne à tout faire, 2006; Vrai faux passeport, 2006; Une Catastrophe, 2008 – tutti appartenenti all’ultima fase della produzione di Godard (tutt’ora in corso), in cui il video viene utilizzato per una critica nuova fatta per immagini alle stesse immagini. A evocare la presenza dell’autore, fumatore accanito, un lieve odore di sigaro di cui sono impregnati un cappotto e alcuni abiti appesi.
Ma l’intervento non si ferma qui: la presenza dell’autore aleggia anche nei nove piani della bianca Torre, dove, viaggiando in ascensore, le orecchie più attente potranno riconoscere la colonna sonora di Histoire(s) du cinéma, opera video in 8 capitoli, iniziata nel 1988 e conclusa nel 1998, in cui il cineasta ha ricostruito la storia della settima arte con un collage di estratti sonori vari. Tutto rimanda a lui, dunque, eppure lui non c’è: è noto come Godard sia sempre stato refrattario nel contatto con il pubblico, come ultimamente dimostrato da Agnès Varda nel suo Visages, Villages (2017), in cui la regista si reca a casa del collega per presentarlo a JR, il suo compagno di viaggio, ma viene accolta da una battuta di cattivo gusto lasciata sulla porta di casa: Godard non c’è, eppure la sua presenza è ovunque.
Informazioni
Aperto al pubblico dal mercoledì al lunedì 13-19
Su prenotazione con biglietto d’ingresso
Cortometraggi dalle 13 alle 17
Le Livre d’Image dalle 17 alle 19
*Jean-Luc Godard, Le studio d’Orphée | © Niccolò Quaresima