Matteo Pizzolante è nato a Tricase nel 1989. Dopo essersi laureato in Ingegneria dell’Edilizia frequenta il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, con la guida di Vittorio Corsini, e completa il suo percorso di studi in Germania presso l’Hochschule für Bildende Künste di Dresda con Wilhelm Mundt e Carsten Nicolai.
Fresco vincitore, con l’opera Silent Sun, della tappa milanese di Jaguart, roadshow partner di Artissima, sviluppa una ricerca estetica dove passato e presente si fondono, dove tecnologia avanzata e fare manuale concorrono nel generare un ricordo che da personale si fa collettivo attraverso un’eleganza calda della fredda materia, indice topico del nostro contemporaneo.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Penso che essere un artista sia un lavoro molto complesso a causa della quasi totale identificazione tra il proprio lavoro e la propria esistenza. Questa identificazione ci costringe a prendere in considerazioni aspetti che non sono legati strettamente alla propria ricerca ma che, in qualche modo, ne fanno parte: dalle scelte fatte durante gli anni della formazione fino a scelte più pratiche di vita quotidiana. Tutto deve far parte di un sistema complesso e allo stesso tempo unitario in grado di restituire di sé un immagine chiara e immediata. Ho avuto un percorso di studi piuttosto ampio e diversificato: dagli studi al Conservatorio durante il periodo Liceale, agli anni passati a studiare al Politecnico di Milano fino agli anni di formazione nelle aule di Scultura dell’Accademia di Brera; una tale complessità di informazioni e interessi è una ricchezza ma, allo stesso tempo, soprattutto agli inizi, una sfida: è avere tra le mani un materiale sensibile e incandescente che risulta difficile da plasmare e organizzare. Dagli anni degli esordi a oggi gli sviluppi sono stati molti, mentre noto poche differenze dal punto di vista tematico, per il fatto che i punti fissi e le ossessioni sono sempre gli stessi.
Immagino la mia ricerca e il mio percorso come un grande tessuto che con il tempo sto imparando a spiegare davanti agli altri. Si impara a prendersi il proprio spazio a dare respiro e gittata al proprio pensiero.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Sono sempre stato affascinato dalla contaminazione tra la realtà e la rappresentazione virtuale: nella recente serie di lavori dal titolo Silent Sun ho ricostruito, attraverso un lento processo di ricostruzione digitale e con l’utilizzo di software di modellazione 3D, luoghi e interni per me particolarmente importanti, lasciando che le immagini affiorassero nel processo creativo come ricordi. Le immagini ottenute sono state stampate in modo artigianale e analogico attraverso la tecnica della cianotipia e sviluppate all’aperto esponendole a sole. Questo processo mi permette di analizzare dinamiche temporali e di lavorare sullo statuto dell’immagine digitale. Nelle opere scultoree-installazioni, invece, la modellazione 3D mi aiuta a indagare dinamiche legate al mondo del design e dell’architettura e questa relazione mi permette di riflettere sull’idea del fare e progettare marcando l’unicità dialettica delle pulsioni. Per queste ragioni la scelta dei materiali utilizzati come l’alluminio, l’acciaio, la resina, tessuti tecnici e silicone si rivela importante perché è intenzionata a investigare concetti e percezioni contraddittorie: le qualità idiosincratiche dell’opera provocano conflitti e spostamenti tra caratteristiche diverse come morbidezza e sensualità femminile e maschile, leggerezza e energia, solido e fluido. Nell’ultimo periodo sto lavorando e ampliando il filone di ricerca appena descritto e allo stesso tempo mi sto dedicando a progetti più ampi che prevedono collaborazioni con figure professionali proveniente da altri ambiti e settori.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Con gli anni sto creando un legame sempre più forte con il contesto culturale nel quale vivo e mi interessa farlo su due diversi fronti: il contesto milanese, con il quale mi confronto per la maggior parte dell’anno, e quello della mia zona d’origine, il Sud della Puglia. Per questo motivo affronto sempre molto volentieri iniziative che riguardano il territorio Salentino e che mi danno la possibilità di tornarci per lavorare e confrontarmi con realtà del luogo. L’anno scorso è stato per me un grande piacere prendere parte al progetto Q-Rated, promosso dalla Quadriennale di Roma, proprio a Lecce e attualmente sto portando avanti un progetto, in collaborazione con un gruppo di ricercatori del centro JRC (Joint Research Centre) di Ispra, profondamente radicato al territorio poiché legato alle trasformazione causate dal batterio Xylella.
Ritornando a Milano, provo ad avere con la città un rapporto più aperto possibile anche se verso la città penso di attuare lo stesso meccanismo di relazione che ho con il web; se si monitora la mia cronologia ogni tanto appaiono nuovi siti nei quali mi imbatto per caso, durante ricerche o che mi vengono suggeriti ma la maggior parte sono sempre gli stessi che ciclicamente ritornano. La rete è grande ma all’interno di essa ci si crea il proprio villaggio che però è sempre aperto a nuovi incontri.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Non percepisco il sistema dell’arte contemporanea come una struttura unitaria e definibile in maniera univoca. La complessità e l’apertura a sempre più ampie e diversificate prospettive è però il destino di ogni sistema culturale ed economico e, quindi, penso anche quello legato alle arti visive. Mi auspico però che questa complessità si attui nel rapporto e nella compenetrazione tra sfera pubblica e sfera privata e ciò riguarda nello specifico il nostro paese che da sempre su questo fronte presenta delle criticità.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Negli ultimi giorni ho letto This is water di David Foster Wallace. Questo breve libro è il discorso che lo scrittore fece davanti a un gruppo di neolaureti del Kenyon College ed è un invito a riflettere sul valore dell’educazione ma allo stesso tempo invita alla coscienza, alla presenza continua a sé stessi, alla concentrazione, alla consapevolezza. È un invito a riconsiderare e mettere in discussione la nostra presenza nelle cose del mondo e della possibilità di far parte di un movimento di cambiamento. Quest’ultimo punto mi ha spinto a riflettere su come una forma di pensiero forte possa avere un influenza sul reale e se un possibile cambiamento possa attuarsi attraverso strategie che non siano radicali, violente, ideologiche; l’arte può essere uno strumento necessario?
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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