Nell’epoca delle videochiamate, dello streaming e degli acquisti on-line, in una realtà che si sta sempre più disciogliendo nell’orizzonte della smaterializzazione, come non mai l’esperienza dell’assenza sta toccando la scena artistica mondiale. Il giovane artista di origine salentina Francesco De Prezzo (1994) dà prova del suo coraggio scegliendo di perseguire la via dell’arte immateriale; è la White Noise Gallery a inaugurare il suo dialogo con l’ambiente romano ospitando una delle ultime e più affascinanti imprese dell’artista: Subverting expectations without erasing their origins. Curata da Domenico De Chirico, la mostra ci immerge in un regno incantato dove leggiadria e possibilità si legano, proiettandoci in una realtà “altra” dove tutto diviene possibile.
Dipingere per cancellare, creare per distruggere e materializzare per smaterializzare; come hai sentito l’esigenza di avvicinarti alla dimensione del vuoto ribaltando il tradizionale iter operativo? In che modo l’horror vacui occidentale opera nella tua produzione?
Ho da sempre avuto una naturale inclinazione alla distruzione o alla sintesi. Ricordo che all’inizio del mio percorso rivedevo periodicamente proprio i miei lavori più riusciti, cercando in qualche modo di liberare le immagini preesistenti dalla convenzione del riconoscimento. Mi è sempre stato chiaro che quello che mi interessava fare era perseguire una certa “autonomia dell’immagine”, ponendo attenzione sulle possibilità della pittura più che sulle certezze di una rappresentazione conclusa.
“Creare per distruggere e materializzare per smaterializzare” come dici nella domanda, sono in realtà facce della stessa medaglia, ogni azione per esistere presuppone anche il proprio contrario, ed è in quest’intervallo fra esistere e non rivelarsi che un’idea di rappresentazione diventa assoluta.
Di recente ha inaugurato presso White Noise Gallery a Roma la tua personale Subverting expectations without erasing their origins. Com’è stata questa esperienza? quali sono le radici alle quali fai riferimento?
Si tratta di una mostra di sola pittura, l’abbiamo pensata insieme a Domenico De Chirico che ha curato il progetto. Come curatore ha voluto eseguire una scelta radicale, separando i lavori scuri da quelli più chiari in due spazi distinti della galleria, questo per permettere una lettura autonoma e distante delle due aree della mostra.
Subverting expectations without erasing their origins in italiano sarebbe qualcosa come “Sovvertire le aspettative senza cancellare le loro origini”. Oltre a raccontare i lavori, questo titolo si lega probabilmente anche alla mia tendenza a ragionare spesso in negativo, ipotizzando l’opposto per ogni evento, così da assolvere almeno mentalmente tutte le possibilità di realizzazione di un risultato.
Guardando i tuoi lavori ci si trova disorientati, quasi come davanti a una schermata in tilt assediata dalla saturazione della molteplicità dei colori e dei contenuti; pensi che il senso di straniamento e instabilità sia un elemento essenziale per comprendere la realtà in tutta la sua complessità e ardita articolazione? Quali altre reazioni immagini possa assumere chi osserva le tue opere?
Spesso mi accorgo che guardare un lavoro concluso è come fissare a lungo un cielo vuoto senza nessun elemento; l’occhio si sforza di cercare un punto definito e così, non trovandolo finisce per crearselo, e dopo alcuni minuti appare alla vista uno strano effetto puntinato che ben testimonia come la ricerca di un’immagine definita è in realtà un’esigenza ben radicata nella nostra cultura visiva e quest’aspetto diventa centrale nel mio lavoro.
Per raggiungere una sintesi c’è da passare attraverso un’immagine precedente, così la pittura con la sua doppia stratificazione diventa un mezzo autosufficiente.
Come andare a conoscere per la prima volta una persona e tentare di dialogare attraverso uno muro spesso; l’esperienza che ne possiamo avere è filtrata attraverso una nostra immagine mentale, così questo meccanismo scava all’interno del nostro “bagaglio visivo” restituendoci una visione veramente personale.
Da cosa è nata l’idea di lavorare sul tema della distruzione-rigenerazione? Qual è stato il motivo che ti ha spinto a intraprendere un percorso così impervio verso la difficoltà di comprensione della realtà trascendentale?
A parte il naturale percorso personale di cui accennavamo prima, mi ha portato a lavorare su questi temi anche la possibilità di trattare in modo strettamente concettuale il medium della pittura che, in questi lavori “ricoperti”, diventa il mezzo di condensazione del tempo sulla tela; molto tempo per rappresentare e pochissimo per ricoprire. É fondamentale la scelta della pittura come linguaggio perché se rifletti è un medium che ti permette una vicinanza viscerale e continuata con l’opera in fase di creazione.
Che ruolo pensi giochi nel tuo lavoro il concetto di arte immateriale?
Parte della mia ricerca è immateriale o comunque tende verso questo. Se pensi al semplice fatto che lo strato sottostante nei lavori bidimensionali viene apparentemente perso ed è percepibile forse soltanto guardando le tele in controluce, questa può essere una proposta immateriale di percezione. Anche in senso allargato nei lavori installativi, lo spazio fra un elemento e l’altro determina una parte integrante del lavoro; senza quello spazio fondamentale gli elementi e le strutture metalliche scomposte e riarrangiate perderebbero la loro relazione.
Queste strutture sono concepite come degli “impianti” segnaposto, parlano di spazio occupato e lo propongono allo spettatore riprendendo l’“immateriale”, l’argomento della “presenza”.
Immagine-visione, arte-società, visione-percezione-digitale. Qual è il rapporto che secondo te intercorre tra questi tre insiemi di parole?
Oggi, per via della tecnologia, ci stiamo abituando a smaterializzare e svincolare le azioni, i contenuti e le idee da ogni aspetto strettamente pratico legato all’esperienza fisica delle cose, tanto da pensare il virtuale come una realtà a sé stante.
Questo tipo di impatto continua a modificare il lavoro di molti artisti di oggi che sempre più si confrontano con temi legati alle problematiche di fruizione delle immagini. Le immagini stesse, nella loro forma on-line, vivono questa nuova velocità (senza precedenti) di produzione e fruizione.
Personalmente, proprio come accade alle immagini nel web, penso molto a un flusso continuo nel lavoro. Dall’opera come parte di un ambiente unico allo spazio come linguaggio autonomo, all’installazione come collocamento, alla grafica come proposta di ragionamento, alla comunicazione come traduzione, alla documentazione come racconto, insomma tutto concorre a formare un’idea del lavoro, e tutto parla alla pari dell’opera singola o la influenza.
Bisogna pensare in modo totale il proprio lavoro, solo così “Immagine-visione, arte-società, visione-percezione-digitale” diventano un unico flusso, una presa di posizione, perché l’opera possa occupare un posto ben più ingombrante del pavimento della galleria.
Quali pensi siano state le esperienze chiave che ti hanno portato a intraprendere questo viaggio oltre i confini della visione? Durante il tuo percorso personale qual è stato il momento in cui hai capito che ti stavi avvicinando definitivamente allo spazio del trascendente?
Oltre a diversi incontri e viaggi che mi hanno segnato, i momenti più importanti li ricordo tutti in studio, come la prima volta che sciolsi completamente un dipinto con del solvente nitro ottenendo alla fine un griglio perfetto. Man mano che proseguivo, vedevo le figure lasciare i loro contorni e i colori già presenti sciogliendosi, si riposizionavano secondo un nuovo ordine, quello della sintesi. Appresi che la quantità di colore sul supporto non era cambiata, quello che era variato veramente era la posizione di questo colore rispetto a prima. Questo fu il primo vero lavoro, di piccole dimensioni, che ancora conservo.
Qual è la tua definizione personale di “limite” e come pensi si applichi alla tua arte?
Il concetto di limite in generale è molto importante, segna il passaggio fra il già conosciuto e l’ancora possibile. Il concetto di limite fa pensare alla parola “possibilità”, quanto più riusciamo a svincolare le immagini da un riconoscimento immediato e, quindi, limitarne la loro semplice visione, tanto più apriamo strade nuove che incarnano “altro”.
Potremmo parlare del limite come un basamento di vetro satinato, tutto ciò che viene poggiato sopra di esso, esiste, perché si trova in vista e al centro, tutto ciò che viene posto al di sotto, invece, viene nascosto ma continua a esistere e se guardi bene attraverso il vetro riesci a percepirlo; ecco, la nostra possibilità di visione dipende dalla posizione di questo vetro rispetto al reale.
A volte riusciamo a vincerli, a volte i limiti vincono.
Durante il tuo percorso formativo quali sono state le influenze artistiche che ti hanno lasciato un segno?
Vorrei risponderti con dei nomi e cognomi ma ogni volta finisco per rivedere sempre i miei punti di riferimento, per me ogni influenza, anche la più piccola, concorre a formare un percorso, persino il tempo perso a cercare di non pensare a niente.
Ogni ricerca è la somma di moltissimi aspetti di vario genere che, a un tratto, riemergono sotto forma di pensieri. Un libro, un film, un racconto, qualsiasi cosa anche secondaria alla nostra attenzione, in qualsiasi momento può iniziare a lasciare dei segni. Per farti un esempio banale, anche la forma estetica dell’ambiente fisico in cui viviamo.
Perché secondo te il pubblico dovrebbe interessarsi all’arte immateriale?
Credo sia una questione di gusto personale che porta una parte del pubblico a preferire forme d’espressione che tendono all’immateriale.
In realtà, nulla si “dovrebbe”, la relazione con l’opera e il distacco dalla stessa penso siano temi a cui ci si avvicina per sensibilità, a preferenza potremmo dire, come tante altre cose se si parla di arte.
Parlando di attualità, come stanno vivendo la tua arte e la tua persona lo stato di quarantena imposto dalle autorità? Ritieni che in questo particolare momento di abnegazione le persone debbano tornare a prestare attenzione alle piccole cose e riflettere sul senso reale di un rapporto interpersonale, oppure debbano focalizzarsi sulla nuova sfera percettiva offerta dalle tecnologie digitali?
Come tutti passerò del tempo in più a casa, penso che questo periodo possa essere per molti una scusa non richiesta per prendere distanza dal proprio operato e permettersi di guardare tutto facendo un passo indietro.
Il fenomeno del virus in Italia e in Europa ha portato maggiormente in luce tutte quelle carenze già esistenti in campo sanitario, sociale ed economico, l’aspetto su cui rifletterei di più è: cosa accadrà passata l’emergenza?
Quali sono i tuoi propositi a lungo raggio per il futuro e le tue aspettative per il domani prossimo?
Ho molti buoni propositi, il più importante di tutti: continuare a sovvertire sempre le mie idee.
Questo contenuto è stato realizzato da Erika Cammerata per Forme Uniche.
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