“Portami al confine”, l’ultimo album di Marco Rovelli, esplora musicalmente e letterariamente il tema quanto mai attuale del confine. Copertina di Alfredo Jaar
Marco Rovelli è un eclettico alfiere della cultura libertaria, figura rara nel panorama italiano. È insegnante nella scuola pubblica, scrive poesie, bei libri e articoli, canta, suona, compone. Questo “Portami al confine” è un album imperdibile. Con suono e voce potente che esplora musicalmente e letterariamente il tema quanto mai attuale del confine. Una copertina altrettanto potente, del grande artista cileno Alfredo Jaar. Con l’immagine neon che recita: I can’t go on, I’ll go on, che è poi la frase che chiude L’innominabile, il celebre romanzo della Trilogia di Beckett. Infatti… mai come adesso, se non possiamo andare avanti, allora andiamo avanti!
Il confine in esame è senz’altro quello politico, quello che separa gli “Stati nazione”. Quella demarcazione violenta tanto invalicabile per gli ultimi della terra. Ma il confine è anche il limite tra gli esseri umani, tra pubblico e privato, ed è un elemento che è sempre soggetto ad una continua negoziazione e ridefinizione. E naturalmente il confine è anche ciò che separa la vita dalla morte.
Esplorazione letteraria, dicevamo, e la copertina non è casuale. La serie di opere del 2016 di Jaar è tutta intitolata alla letteratura, dal “Vogliamo tutto” di Nanni Balestrini a “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, celebre frase di Antonio Gramsci che abbiamo incontrato l’anno scorso in una “anonima” campagna di affissioni a Roma in occasione della sua mostra al Museo Maxxi. Per finire con la beckettiana I can’t go on, I’ll go on.
Quello che fa piacere è questo parallelo tra arte visiva e musica: così come il concettualismo di Jaar è fortemente evocativo proprio a partire dalla parola, allo stesso modo Rovelli a quella parola dà voce e musica. Ampliando gli orizzonti attraverso l’immaterialità del canto e aprendo a spazi di immaginazione ulteriori.
In questo caso il confine non esiste, perché l’arte, la musica e la cultura non hanno passaporti né confini. Per le sue storie, Rovelli produce l’album con Rocco Marchi e Roberto Passuti. E come osserva Marco Sonaglia in un articolo: “usa suoni sporchi, taglienti, nervosi, grazie alla chitarra drone di Paolo Monti, al violoncello di Lara Vecoli, al basso e alle stanze sonore di Rocco Marchi e la batteria avantjazz di Massimiliano Furia“.
Il brano Beckett apre il disco, il refrain dice: “Ho sempre provato, ho sempre fallito, proverò ancora, fallirò ancora, fallirò meglio”, lascia un segno dentro di noi, il tema del fallimento è ancora tabù nel nostro mondo capitalista e efficentista..
il video è di Francesco Bartoli interpretato da Sonia Cortopassi, è girato in una cava dismessa delle Alpi Apuane, luogo d’elezione di Marco Rovelli.
Cuore di tenebra, la seconda canzone porta un titolo anch’esso letterario, quello di Conrad e qui Rovelli snocciola gli orrori della guerra, delle guerre passate e presenti, e sappiamo che purtroppo ancora oggi chi la guerra la idolatra.
La domenica della vita è una canzone d’amore e di passione, un inno alla vita sensuale e intensa. Il titolo è ancora un richiamo a un romanzo, di Raymond Queneau, che a sua volta richiama Hegel: che cosa accadrà quando la Storia sarà finita? Quando la dialettica sarà esaurita? Qual è il tempo che resta? È quello dei lampi di vita che ci attraversano, è il tempo delle intensità.
Con I buffi di cuore, c’è una atmosfera malinconica e circense da periodo rosa picassiano, dove il labirinto di sguardi evoca una tenerezza senza limiti.
In Tempo rubato, il ritmo incalzante e le parole contro le disumane condizioni di lavoro oggi lascia trasparire un altro libro fondamentale, 24/7, il capitalismo all’assalto del sonno di Jonathan Crary. E del resto che lo sfruttamento fosse “tempo rubato” era già definitivamente chiarito dal Capitale di Marx.
Chiara dorme è una canzone sul tempo del sogno, sull’apparire di ombre e figure in controluce in cui ogni cosa si confonde, e chissà che accadrà al risveglio.
Nanà, come l’omonimo romanzo di Zola – dal quale sono stati campionati numerosi versi della canzone – è un ritratto spietato della società capitalistica, in questo confermando l’occhio inflessibile di Rovelli: Nanà, la ragazza aspirante attrice protagonista del romanzo, è la perfetta icona di quella che oggi chiamiamo “società dello spettacolo”.
Il povero Cristo evoca una serie di immagini cristologiche spurie in un piano sequenza drammatico, di miracoli mancati e parole impronunciabili, misterioso, e soprattutto basato su chi non sia il povero cristo, sulla mancata identità, sullo scarto rispetto alla figura del Cristo della tradizione.
La neve, cade uguale su tutti, sui belli e sui brutti, è una metafora della vita e della morte della buona e cattiva sorte, a tratti ricorda i versi di Boris Pasternak, a tratti Lewis Carroll di Alice..
43 appare inizialmente come il brano più esistenziale dell’intero album, una composizione tra sogno e realtà, onirico, terribile e visionario come un dipinto nero di Goya. Poi scopri che mette in scena un eccidio di partigiani compiuto dai nazifascisti, e ti viene in mente il Goya della fucilazione del 3 maggio 1808.
Io ti scrivo rientra in un filone tipico dell’autore, una ballata tra amore e malinconia.
Il paese guasto sembra di rileggere il mal sano di Michel Serres un ritratto impietoso della Penisola e del suo malcostume che non ci conduce a riveder le stelle (del resto il titolo è un richiamo a Dante e a Eliot allo stesso tempo).
Il muro di Idomeni è un atto di accusa che al ritmo delle onde del mare denuncia la condizione disumanizzante dei campi.
Al confine, legato alla lotta dei curdi, tra i quali Rovelli è andato qualche anno fa per poi scrivere un romanzo dedicato a una guerrigliera, è un inno antimilitarista e antiautoritario che resterà nella storia.
il disco – chi voglia acquistare l’album (costo 15 euro con spedizione), può scrivere a info@marcorovelli.it – si chiude con uno splendido omaggio a Claudio Lolli, che qui canta per l’ultima volta in studio, con Rovelli, nel brano La giacca. Un finale veramente commovente, e la commozione e la bellezza sono forse le cose che ci portano al e oltre ogni confine.
Massimo Mazzone