In occasione di ArtLab 20 organizzato da Fondazione Fitzcarraldo, sono stati presentati i risultati di una ricerca promossa da Abbonamento Musei, un’indagine sul consumo culturale durante e post lockdown. Proviamo ad interpretare insieme i dati.
Meravigliosa e consolante l’ironia che emerge dai risultati dell’indagine condotta da Abbonamento Musei Piemonte, Lombardia e Val D’Aosta. L’associazione – che per intenderci eroga, appunta, la carta Abbonamento Musei che garantisce illimitato e libero accesso all’offerta culturale di un’intera regione – si è occupata di condurre un’analisi sul consumo culturale digital, che durante il lockdown pandemico ha vissuto un significativo incremento. Almeno per quanto concerne l’offerta. La questione di risiede proprio qui: come e quanto queste proposte sono state fruite dagli abbonati? A quali attività si stanno dedicando in questo periodo e quali potrebbero essere seguite anche al termine delle restrizioni sociali?
Infatti molte di queste proposte sono apparse come goffi e frettolosi tentativi di reinvenzione, poco pensati e poco efficaci, timorosi palliativi presentati più per necessità che per reale intenzione, accompagnati da un soffuso sentimento di inevitabilità. Come dire: “Lo stanno facendo tutti, lo faccio pure io”. Se gli enti erogatori si sono dunque mossi spinti da esigenze lavorative e d’immagine, i fruitori hanno avuto tutte le libertà di scegliere come e dove indirizzare il proprio tempo. Delle 3.600 persone coinvolte (Il monitoraggio ha interessato i possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta) il 90% ha dichiarato di essere a conoscenza delle iniziative digitali intraprese da musei, teatri e biblioteche, ma solo il 60% ha approfondito a sufficienza da essere a conoscenza di quali fossero le proposte in atto.
Se già notiamo dunque una forte asimmetria tra la penetrazione informativa e il reale interesse destato che la cultura online ha avuto in questi mesi, la forbice si amplia ulteriormente quando si prendono in considerazione i soggetti che hanno effettivamente fruito del servizio: 4 su 10. La notizia ironicamente consolante è che dei 1.400 intervistati che hanno seguito le attività online il 62% di questi si è detto molto soddisfatto della proposta, mentre il 70% ha affermato di aver scoperto e imparato qualcosa di nuovo sui musei che ha potuto visitare online.
La notizia ironicamente meravigliosa è che a fruire maggiormente delle attività digital dei musei sono stati gli over 65 (che rappresentano anche la quota principale dei visitatori nei musei fisici), certificando come il digital non sia esclusiva delle nuove generazioni e soprattutto come, al contrario, il consumo culturale sia invece appannaggio delle generazioni precedenti (o che quantomeno il soggetto inizi realmente ad interessarsi alla cultura in età matura). Infatti, osservando il dato con cui il campione è venuta a contatto con le proposte digital attraverso i social (10%), siamo portati a ipotizzare due considerazione: o la maggior parte degli enti culturali ha sbagliato totalmente la propria comunicazione social, oppure i soggetti che più utilizzano i social, ovvero i giovani, non erano interessati ad entrarci in contatto. Tanto che tra gli over 65 l’84% ha affermato di aver intenzione di continuare a fruire dei contributi digital dei musei, mentre la percentuale scende al 67% negli under 18.
Ad ogni modo ne possiamo concludere che se è vero che il digital non è prerogativa delle nuove generazioni, di certo il mondo social lo è. Con lo stesso grado di certezza possiamo ipotizzare, osservando i dati citati, che l’offerta digital dei musei non è stata in grado di intercettare nuovi appassionati, limitandosi, nel migliore dei casi, a conservare i suoi affezionati (ma di questo non ci sentiamo di fargliene una colpa); lo confermano anche ulteriori rilevazioni, secondo le quali il 90% degli intervistati contano di tornare al più presto a visitare un museo o bene culturale.
Ma quali sono i contenuti che più sono stati apprezzati? Vince indubbiamente la componente narrativa e di approfondimento – che forse, riflettendoci, è quella che più manca in una visita classica al museo, specie se individuale. Il 71% del pubblico dunque si è detto interessato a fruire di video-racconti delle collezione (rendendosi anche disponibili a pagare, mediamente, 3,02 euro), il 62% seguirebbe tour guidati virtuali e il 54% ascolterebbe volentieri dei podcast di approfondimento per visitare in autonomia alcuni enti o siti culturali della propria regione.
Nel complesso da questi dati possiamo concludere che la prima grande, frettolosa e forse disordinata ondata di cultura online ha avuto il merito di accompagnare e mantenere i suoi visitatori più soliti e solidi, mancando però di attirare un nuovo pubblico, soprattutto giovanile, teoricamente più incline al linguaggio digitale. Come già accennato, se confidiamo nelle capacità comunicative mediamente professionali e ben realizzate da parte degli enti, siamo costretti a ipotizzare uno scarso interesse da parte dei soggetti più giovani. Volendo invece affidarci ad una loro potenziale affezione per l’offerta artistica, potremmo rilevare una forse inevitabile diffrazione tra il manufatto artistico e la sua trasposizione digitale. Quanto senso può avere, infatti, affidarsi al digitale per visitare una pinacoteca? L’arte visiva, intesa in senso classico, necessità di una compresenza totalmente funzionale alla sua corretta e piena funzione. Sarebbe dunque auspicabile che in futuro la proposta digitale sia sempre più complementare a quella fisica (come i dati rivelano i prodotti online più apprezzati sono stati quelli di approfondimento) o che al contrario sia totalmente tagliata, realizzata e pensata per il mezzo tecnologico. Pioniere in questo senso è stato il Castello di Rivoli, che a costellato il suo Cosmo Digitale di opere d’arte pensate per essere create, sviluppate e fruite digitalmente.