Nell’affascinate borgo di Fermo, l’associazione culturale Karussell ha inviato l’artista Giovanni Oberti a confrontarsi con luogo ricco storia, vivo e vissuto: Palazzo Brancadoro. Ne è nata una mostra che attraversa il tempo e lo astrae e che vive di ritrattazioni continue della percezione.
La mostra ha il suo motivo scatenante nella storia d’amore tra Osvaldo Licini e Ave, la nonna delle attuali inquiline di Palazzo Brancadoro. Questa passione fuggevole ebbe luogo proprio a Fermo negli anni Venti quando il pittore insegnava nelle Scuole Tecniche, a testimonianza ne rimane un quadro, un ritratto di Ave realizzato da Licini. Ma le opere di Giovanni Oberti e il suo intervento nel palazzo non sono un commento o un succedano della storia che ai tempi sconvolse le mure di quella casa tanto da costringere i genitori di Ave a spedirla a studiare al Conservatorio Santa Celilia di Roma.
Nelle sale i lavori di Oberti dialogano universalmente con l’impossibilità del tempo, degli incontri. Tutta l’esposizione sembra essere pervasa da dei fenomeni ai limiti della percezione, da una lievità solo apparente, perchè ogni opera possiede una profondità quasi abissale. La contrapposizione che, cadenzata, torna ciclicamente nella mostra è frutto della ricerca stessa di Oberti, i suoi Oggetti Patinati, dei mezzi mandarini e delle nocciole disidratati e ricoperti di grafite, accanto a dei limoni intonsi. Lui e Vanilla Cherry (Lei) al centro della medesima sala, sembrano essersi incontrarti per caso, due fantasmi. Il primo, danzante attorno a se stesso con fazzoletto appeso a un ramo e delle gocce di cristallo, il secondo, immobile ma diffuso con il suo profumo artificioso. E poi due specchi, uno di fronte all’altro, che hanno perso la loro ragion d’essere perchè “trasfigurati dalle bellezza del mondo”, infine un gesto d’addio, posto proprio sotto l’alone (o l’opera originale comparsa successivamente durante il periodo della mostra) del quadro di Licini con il ritratto di Ave, Vanitas con steli di aglio, un posacenere e degli steli di fiori di aglio colorati come delle sigarette ancora accese, o lasciate li momentaneamente.
Ogni opera è, usando il neologismo coniato da Elio Grazioli, Infrasottile, nulla è definitivo, tutto è sottoposto a delle lente ed inesorabili trasformazioni, non solo le opere in sè ma anche la loro esperienza reale è subordinata a un continuo processo di ritrattazione. Il movimento, il vetro, la polvere, il fumo, la polvere, il ritardo, l’anticipo sono tutti elementi che costituiscono il linguaggio di Giovanni Oberti, così come lo è la natura e le sue qualità intrinseche. La mostra vive in una contrapposizione tra l’eterno e caducità, tra un amore fuggevole e quello universale, tra materiali durevoli e deperibili, tra un suono dolce e l’odore stucchevole di una gomma da masticare. Ma ogni cosa, una volta immersi nelle stanze dell’esposizione, sembra che danzi in armonia da secoli.
Giovanni Oberti
I muri sentono l’amore e la rabbia, ma anche la solitudine e la malattia. Non sanno cos’è la musica, la ripetono.
a cura di Matilda Galletti
Palazzo Brancadoro, Fermo.