In occasione dell’asta di Dipinti e Sculture del XIX e XX Secolo de Il Ponte, il direttore del dipartimento Matteo Gardonio ci racconta i retroscena delle rocambolesche scoperte di alcune opere all’incanto. Tra queste, su tutte, Luigi XIV e Mademoiselle de La Vallère di Francesco Hayez.
Se è inevitabile che il mercato dell’arte debba necessariamente considerare il valore culturale di un’opera in relazione alla sua conversione economica, è altrettante vero che i due elementi – culturale ed economico – scorrono spesso paralleli, se non intrecciati, e che la natura artistica dell”opera precede giocoforza la ripercussione monetaria annessa.
É quindi possibile che un’asta, dove il coefficiente economico è tenuto, ovviamente, in elevata considerazione, si distingua in primo luogo per il prezioso valore artistico che alcune delle opere all’incanto presentano.
Ci riferiamo all’asta Dipinti e Sculture del XIX e XX Secolo, che Il Ponte Casa d’Aste ha in programma a Palazzo Crivelli il 16 giugno. Simbolo dell’evento – una cui panoramica è visibile nel video a questo link – è Luigi XIV e Mademoiselle de La Vallère di Francesco Hayez.
L’opera, esposta a Brera nel 1838, era considerata perduta. A ritrovarla sono stati gli esperti della maison, che l’hanno scovata, per fatalità, nella collezione degli ignari proprietari. A raccontarci la vicenda legata a questo lavoro, e ad altri importanti lotti in asta, è Matteo Gardonio, direttore del dipartimento.
Come ha trovato il dipinto?
Il dipinto era impolverato, tenuto in disparte dagli attuali proprietari. Come talvolta accade non erano coscienti dell’opera che avevano tra le mani. Ma del resto Hayez, come tutto l’Ottocento, è stato trascurato per anni e sta venendo riscoperto solo negli ultimi tre decenni. Ragione per cui credo che altre opere di questo genere potranno venire alla luce. Certo è che questa scoperta si distingue da tutte le altre, è un grande risultato da condividere con tutto il gruppo di lavoro de Il Ponte.
Ha intuito subito il valore dell’opera?
Devo dire di sì. La mia formazione accademica, ma anche esistenziale, è sempre stata legata all’Ottocento. Tutto passa attraverso il XIX secolo: è proprio il mio mondo.
Quali sono gli elementi che l’hanno immediatamente ricondotta ad Hayez?
Prima di tutto dobbiamo tenere in considerazione che Hayez è milanese solo d’adozione. Le sue origini sono veneziane. Per questo rientra nella precisa tradizione coloristica veneta, evidente nell’opera. Inoltre ci sono alcuni tratti stilistici inequivocabilmente appartenenti al pittore, quelli che possiamo definire i suoi tic personali.
In questo caso mi riferisco agli occhi tirati dei personaggi, un po’ viperini, la maniera metallica di accartocciare le vesti. Sono peculiarità uniche. Nessuno, in Italia o all’estero, le possiede. Per questo è considerato il nostro grande maestro dell’Ottocento. Anche l’impostazione della scena, con la presenza del muro, è una caratteristica a lui riconducibile.
Non c’è quindi possibilità si tratti di un epigono?
No. Solitamente gli epigoni tendono ad enfatizzare alcuni elementi, mentre in questo caso è chiara la cifra unica di Hayez. Inoltre eravamo già a conoscenza di un’opera con queste caratteristiche attribuibile ad Hayez, ragione per cui siamo riusciti a stabilirne con certezza la paternità.
Ci sono stati altri ritrovamenti, giusto?
Esatto. Importantissimo è l’Autoritratto di Achille Funi, dove l’artista si ritrae con un busto scultoreo alle sue spalle. Con lo sguardo sfida senza timore lo spettatore, ignorando la scultura, sottolineando la superiorità della pittura sull’altro medium artistico. Realizzato a soli 18 anni, l’opera diventa la prima testimonianza pittorica dell’artista. Sul retro ci sono anche una serie di esercizi di stile che impreziosiscono il valore documentaristico del dipinto.
Un’altra opera, che mi è stata sottoposta come realizzata da un italiano, si è invece rivelata, una volta decifrata la firma, riconducibile alla mano dell’artista russo Filipp Andreevič Maljavin. Il pittore era passato in Italia ad inizio Novecento, dove aveva esposto alla Galleria Bardi nel 1929 e da cui ora l’opera proviene. Si tratta di uno dei più importanti autori russi del primo Novecento, con una valutazione ragguardevole sul mercato.
Un altro nucleo è quello riconducibile a Luigi Zago. Un importante artista novecentesco, che ha esposto alla Biennale di Venezia e in altre importanti occasioni. Attivo a Milano, la quasi totalità delle sue opere viene distrutta nel 1943 in seguito al bombardamento subìto nello studio. L’anno dopo si trasferisce in Argentina, dove muore. Oggi noi siamo riusciti a ritrovare, a Milano, le opere salvate dalla distruzione dello studio. Un nucleo di lavori esposti in circostanze prestigiose e arricchiti da questa rocambolesca vicenda.