Print Friendly and PDF

Tracce di memoria| In conversazione con Matilde Sambo

“Cantus ab aestu” 2018, Photo fine art 40x60 courtesy the artist “Cantus ab aestu” 2018, Photo fine art 40x60, courtesy the artist
Matilde Sambo, Ph: Superfluo
Matilde Sambo, Ph: Superfluo

La materia trova forme da abbracciare, il corpo diventa matrice e mediatore tra materiali e suoni che si incontrano, cogliendo la relazione tra l’uomo e il suo mondo e tracciando un solco nella memoria. L’incontro con Matilde Sambo (Venezia, 1993) avviene in occasione della sua ultima residenza con mostra conclusiva alla Fonderia Battaglia, realizzata con il sostegno di Wide Group e di aA29 Project Room. Non è in quell’occasione che ha luogo la nostra intervista, ma è lì che nascono una serie di riflessioni che meritano un approfondimento. Artista multidisciplinare, studia Arti visive alla IUAV Università di Venezia, attualmente vive a Milano.

Parlami della tua ricerca: scultura, performance, fotografia, video e musica. Come nascono i tuoi progetti?

Mi piace pensare alla nascita dei miei progetti come a una continua ricerca di nutrimento. Non c’è un vero e proprio metodo ricorrente ma una spinta che arriva la maggior parte delle volte dalla scrittura. Si sta concretizzando in me, in maniera sempre più forte e dettagliata, la necessità di narrare e dar forma a mondi dove corpi e creature sconfinano, dove ogni elemento può vedere sé e al tempo stesso prendere coscienza dell’altro. Da qualche anno sto mettendo in dialogo le varie forme di linguaggio con cui, in maniera molto naturale, mi sono da sempre espressa. Un progetto lo ritengo valido e terreno fertile da sviluppare quando riesco a visualizzarlo in più forme e dimensioni. Quando gli stessi personaggi, oggetti e mondi non si fanno rinchiudere in contorni definiti e misure stabili.

Se il linguaggio è interdisciplinare, nel tuo lavoro si respira un’emergenza che rappresenta anche un’attuale tematica della contemporaneità: la relazione tra le specie umane e non umane, da un lato, e una sensibilità verso una ricerca interiore, intima e incorporea che vada oltre i formalismi (del corpo e della materia).

Penso che man mano che lavoro il confine tra interno ed esterno si stia assottigliando sempre di più, il contrasto diventa accoglienza. Penso all’estrema diversità dei materiali scultorei che utilizzo, mi piace sapere che parte del mio lavoro si distruggerà, che ciclicamente sarà assorbito, e al tempo stesso mi piace sapere che altre parti del mio lavoro, in potenza, sono “eterne”. Non so quale rotta e strada prenderanno ma la possibilità di finire sotterrati o inabissati non sarà la loro distruzione. Forme di sopravvivenza e attaccamento alla vita in dialogo con forme leggere e duttili che prendono e pendono nella sfera dello spirito e dell’impalpabile.

“Vita come saliente avidità” 2021 Fonderia Artistica Battaglia, installation view PH: Matilde Sambo, courtesy the artist
“Vita come saliente avidità” 2021 Fonderia Artistica Battaglia, installation view. PH: Matilde Sambo, courtesy the artist

La sensazione è di trovarsi di fronte a un vocabolario estetico che attinge tra artificio e natura. Penso a Cantus ab aestu, a Fervore operoso ascetico distacco, Diastema, Animo Convulso oppure alle armi di Vita come saliente avidità. Ho citato il tuo ultimo lavoro Vita come saliente avidità, che hai presentato in mostra alla Fonderia Battaglia dopo un periodo di residenza, in cui ritroviamo diversi linguaggi: performance, scultura e video. Ci racconti il progetto?

Vita come saliente avidità ha portato alla luce riflessioni che sono con me da tempo. L’essere umano capace di trasformare sé e il suo destino è il punto di partenza. La consapevolezza di essere capaci di costruire e andare oltre il nostro limite corporeo. L’Open Studio in Fonderia mi ha permesso di dare respiro vitale al lavoro in tutte le sue pieghe. La parte scultorea è consequenziale a quella performativa, il corpo e il gesto diventano scultori nel muoversi e scontrarsi, con l’ausilio anche di prolungamenti corporei in bronzo (armi bianche). Interiore e esteriore, psicologico e corporeo diventano un unico intrecciato flusso che sposta materia e respira in essa così come nei video. Mi sento solo di dire, avendone parlato già molto, che il progetto è in crescita e trasformazione, così come vuole la sua essenza teorica e pratica. Il focus si è pian piano spostato solo sulla cura, non ho più la necessità di mostrare il colpo inferto, sto lavorando sulle intercapedini tra i corpi, sullo spazio di respiro e non sul colpo che trafigge e lascia segno. Ci sono modi per lasciar traccia senza incidere e ferire.

Ci sono due video in mostra che diventano memoria delle performance: il primo è l’esito di quella realizzata in Fonderia, il secondo è ambientato nell’Anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere. In entrambi il corpo è mediatore tra materie (la cera) e oggetti (armi di bronzo).

Si, la possibilità di girare il video all’Anfiteatro ha portato il lavoro su un piano altro, mi ha permesso di comprendere molte più cose dalla prima volta che ho messo in atto il lavoro in Fonderia. Poter lavorare con persone, lottatori, con background diversi e che si sono approcciate al mio lavoro con sensibilità diverse, mi ha permesso di capire che il potenziale del progetto sta proprio nella costruzione di momenti di ascolto, sia di corpi sia di luoghi. L’Anfiteatro è un luogo carico di storia, di incontri e scontri, poter lavorare dall’alba al tramonto tra quelle mura è stato qualcosa di unico che porterò sempre con me.

“Cantus ab aestu” 2018, Photo fine art 40x60 courtesy the artist
“Cantus ab aestu” 2018, Photo fine art 40×60, courtesy the artist

Dal punto di vista tecnico com’è stato l’approccio con la scultura. I tuoi lavori sono modellati con la cera e fusi senza l’ausilio di stampi. In un nostro incontro li hai definiti identità a se stanti.

Si, tutti i lavori in bronzo, anche quelli della mia personale del 2019, sono sculture fuse a cera persa. Per tutti ho lavorato direttamente sui positivi in cera. Per ora questo è il mio modo di lavorare, non utilizzo stampi, il lavoro non può essere proposto in serie da una matrice. Ogni lavoro è un pezzo unico, appunto un’identità. Fanno tutti parte di me, sono sottoinsiemi di serie ma ognuno di essi è unico. Penso a ogni tipologia di vivente, ai regni e alle specie, i cui simili condividono elementi corporei, percettivi e mobili, ma ogni individuo è unico, ha vita a sé. Così penso e vedo i miei lavori. Esseri che fanno parte di specie e gruppi in cui l’identità è fondamentale, va rispettata e difesa.

A cosa stai lavorando e che progetti hai in corso?

Adesso sono in un periodo di studio, mi sto riavvicinando a un materiale incontrato un anno fa, che ora so come utilizzare e che comincerà a prendere forma concreta nei prossimi mesi. Per il resto molte cose stanno su fiamma lenta e controllata, i prossimi mesi saranno intensi.

Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.

https://matildesambo.com/

https://www.instagram.com/____tide_____/

Commenta con Facebook