Un dialogo tematico può, tralasciando opere o mostre, condurre alla scoperta dell’apparato teorico e dell’immaginario che soggiace alla produzione di un artista.
L’esperienza virtuale si inserisce nella ricerca di Federica Di Pietrantonio (Roma, 1996) in quanto rivisitazione archeologica, esplorazione di un passato vissuto dalla community di fronte a un dispositivo, in una visione di realtà filtrata dallo schermo ma non per questo finzionale. Sin dalla nascita di internet, ogni individuo ha sviluppato relazioni in realtà virtuali e in piattaforme sociali grazie a un’altra identità, che intreccia il concreto con il web. Per questo motivo, la nostra conversazione è partita dall’identità online.
Disclaimer: per semplificazione sono stati utilizzati i termini “reale” e “digitale” come distinti, ma entrambi concorrono alla vita concreta dell’individuo.
Di identità online si parla ormai da tempo, ma la vicenda dei falsi collezionisti su Instagram ha rinnovato nel sistema dell’arte contemporanea la riflessione su queste questioni e sulle interazioni online. I social network hanno aperto la strada a giochi di rimandi che hanno ripercussioni nella vita reale: così come alcune aziende acquistano falsi followers per aumentare la loro credibilità, allo stesso modo i falsi collezionisti hanno creato una bolla nella quale le conferme sulla loro esistenza arrivavano da loro stessi, grazie a una serie di storie e commenti, e interazioni esterne. Hanno costruito personaggi virtuali a tutto tondo.
La moltiplicazione e l’ingresso nei canali mainstream dei social network ha ampliato la peculiarità di ognuno di questi, perciò la costruzione della propria identità online non è più relegata a una singola piattaforma e al processo di proporsi come immagine, ma è una costruzione del proprio sé digitale a 360°. Quali sono quindi le caratteristiche essenziali, quelle che non posso tralasciare, per cui nella totalità della mia persona mi sento rispecchiata in un’identità online? Allo stesso tempo, qual è il grado di trasformazione che imprimo alla mia identità, ricercando delle specificità che la vita concreta non permette? Ovviamente questo discorso diventa complesso nel momento in cui entra in un contesto socio economico, come la questione dei collezionisti, perché interferisce con dinamiche che vengono percepite come più concrete e reali, come se d’improvviso la fiaba assumesse inaspettatamente note noir.
La creazione della propria identità digitale risale a prima della creazione dei social, perché connaturata all’utilizzo di internet. Infatti, mi sembra che la società reale abbia marginalizzato determinate soggettività che invece online hanno trovato uno spazio di vita, uno spazio di socializzazione, come Second life dove ci si può presentare in maniera molto più libera, essendo un safe place. Così, ho chiesto a diverse persone della comunità lgbtq poco più grandi di me che utilizzo facevano, nei primi anni, di internet per avere quell’interazione che nel reale era difficile avere a causa di diverse problematiche sociali. Dalle mailing list alle live cam lgbtq, lo sviluppo di queste esperienze ha portato a un’inclusione maggiore: pensando ai forum degli anni Novanta, venivano continuamente create sezioni e sottosezioni dove chiunque poteva accedere e trovare il proprio spazio. Ora che internet è più normalizzato, la sensazione è quella che si sia persa un po’ di quella libertà perché molto spesso vengono sollevati polveroni intorno a profili falsi, tanto da inserire nelle opzioni di segnalazione “Finge di essere qualcun altro”.
Se da una parte si ha la percezione di uno spazio privato, dall’altra possiamo iniziare a scorgere in modo sempre più evidente barriere e strutture legate alla legislazione di internet. Non ci sono ancora regolamentazioni su come io debba creare la mia immagine digitale: cosa quindi può essere definito vero e cosa falso? Hanno ancora senso queste due categorie in termini di rappresentazione digitale? Magari il mio alter ego non rispecchia la mia persona concretamente nel mondo, ma è una costruzione reale di me, nel virtuale. Non bisogna dimenticare che online ci si può muovere secondo una propria direzione. Come dicevi, la libertà che si ha avuto online ha permesso di creare delle piccole comunità come quella Furry. È strano come quello che definiamo oggi catfishing abbia un’accezione negativa, nonostante sia una pratica connaturata alla flora e alla fauna di internet. Ad esempio, Twitch si avvicina molto di più a un modello di vita concreto, rivalutando il grado di realtà nelle dirette streaming e proponendo come intrattenimento la noia quotidiana. Perciò, diventa di complessa gestione la separazione tra “vero” e “falso”.
Personalmente ho cercato di strutturare le mie varie identità digitali in maniera molto simile a come appaio. La stessa cosa succedeva anche quando creavo il mio personaggio in The Sims. Quando ho cercato di creare qualcosa di altro da me che però mi rispecchiasse, trovavo più semplice immedesimarmi in un genere differente. Lì riuscivo a capire che cosa avrei potuto essere e cosa l’avatar potesse essere per me.
Per me il videogioco è, a livello di immaginazione e costruzione della realtà, al pari del disegno. Il videogioco, anche attraverso la costruzione della propria identità virtuale, è una via dell’immaginazione in qualche modo. Per esempio mi è capitato di creare un avatar di The Sims con altre persone e ho notato come molte siano legate all’immagine di genere e agli ideali di verosimiglianza. Perché durante la creazione di un avatar l’identificazione di genere è una prerogativa? M (uomo), F (donna) o O (others)? Perché il mio segnale di riconoscimento deve essere la mia fisicità a livello di genere? Non so per quanto sarà ancora così, però.
Io credo sia tutto legato al sesso, in senso lato. Molte volte le piattaforme online, tra cui anche i videogiochi, vengono utilizzate per creare qualche flirt nella vita reale. Questo, unito alle comunità digitali, ha anche contribuito a un’ulteriore liberazione sessuale.
Io non trovo persone nella vita reale che hanno i miei stessi kink, atteggiamenti o riflessioni, che magari nemmeno io riesco a capire bene. Risulta più facile per me trovare online chi altrettanto non sta capendo cosa sta succedendo, così da aprire uno spazio di riflessione. Anche il sesso, nella sua concretezza, viene proiettato nel mondo virtuale. Online si può attuare un alto grado di immaginazione e realizzare infinite possibilità, che invece la realtà spesso non permette perché non si ha il privilegio di tornare indietro ed invertire la storia.
Sicuramente è reversibile, ma tutto rimane tracciato: si crea uno storico delle tue attività e interazione digitali. A me è capitato di rileggere alcuni messaggi che avevo scambiato anni fa, restituendomi un po’ il mio processo di cambiamento da quel periodo. Penso che se potessi ricostruire completamente il mio storico, tutte le mie ricerche e interazioni, riuscirei a scoprire qualcosa in più di me. Allo stesso tempo internet tiene lo storico di molte altre persone, di altri avatar, e altri avvenimenti che creano un vero e proprio mondo indissolubile con il reale, dove si possono sviluppare altre modalità di lettura del contemporaneo.
Mi relaziono al mondo online spesso in modo ludico, perché mi piace andare alla scoperta di qualcosa che non mi è già stato dato. Tutto quel percorso che la filosofia ha fatto ammirando gli avvenimenti naturali e ipotizzando l’ontologia dell’essere umano, mi interessa ripercorrerlo tra avatar e ambiente virtuale. Come la riscoperta del sé, o la ricerca di reperti archeologici a Pompei, a me piace andare alla ricerca di lost media (file scomparsi). Trovare qualcosa di perso, dopo una ricerca approfondita in internet, con modalità simile all’investigazione, mi fa riscoprire il senso del sublime. Recentemente sono tornata dopo tanto tempo su Second life perché volevo vedere cosa era cambiato, a causa delle novità legate al Metaverso.
Ho fatto un giro e mi sono ricordata di quanto effettivamente in maniera totalmente umana e per niente ricercata in alcuni spazi o in alcune modalità della piattaforma si possa avvertire terrore o vertigini, oppure sublime: sensazioni molto vere, anzi totalmente vere. Questo tipo di esplorazione online mi avvicina alla ricerca di una sorta di filosofia e nuova mitologia legata alla concezione dell’identità digitale e nello specifico dell’avatar: qual è il senso di morte per l’avatar? Cos’è il sublime per l’avatar? Qual è la prima cosa che ti stupisce quando ti identifichi come avatar? Rispetto a quando ho cominciato a utilizzare internet, tutto si è complicato. All’inizio succedeva tutto per la prima volta: la prima comunità online, il primo forum, il primo sistema di messaggistica. Con il fatto che adesso quasi niente è più “la prima volta” si perde anche un po’ il brivido e l’adrenalina, perché prima scrivevo due cose su un blocco note e mi dicevo “vediamo che succede.”
Questo contenuto è stato realizzato da Gianluca Gramolazzi per Forme Uniche.
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