Dal 22 ottobre 2022 al 26 marzo 2023 alla Fabbrica del Vapore di Milano è visitabile la grande mostra monografica che celebra il genio creativo di Andy Warhol con oltre trecento opere dell’artista, dialoganti in un inedito percorso ideato da Achille Bonito Oliva.
Spiega Achille Bonito Oliva: “Il potere consumistico, divenuto l’unico capace di imporre la propria volontà nella società post-bellica, è stato affiancato da una concezione edonistica della vita, per la quale, e questo è evidente nell’opera di Warhol, il piacere può essere provocato da oggetti divenuti indispensabili per il consumatore e addirittura di culto per la forza del messaggio che hanno saputo evocare in un determinato contesto storico, nonostante la loro appartenete ed innocua semplicità”. Ecco che la lattina di zuppa Campbell’s Soup si eleva da semplice prodotto di massa a potente simbolo di rappresentanza del popolo americano nella sua interezza, e l’immagine di Marilyn Monroe diviene una vera e propria icona popolare da adorare, al pari di un simbolo religioso.
La rivoluzione warholiana non concerne esclusivamente la sola iconografia, legata alla novità dei soggetti, ma investe sovversivamente il processo artistico nella sua dimensione tecnica, nella realizzazione fisica dell’opera, a partire dai nuovi supporti. La ripetizione e la rielaborazione delle immagini di beni di consumo industriale e di icone ha infatti comportato l’adozione di tecniche di serializzazione, che attraverso un ironico paradosso industriale, hanno reso Andy Warhol più simile ad una macchina piuttosto che ad un artista, coerentemente a quello che era uno dei suoi principali desideri: “La ragione per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina. Tutto quello che faccio, come una macchina, è ciò che voglio fare”.
Attraverso le sale della Fabbrica del Vapore si rincorrono le accattivanti pubblicità, sostegno primario della produzione di massa, alla cui base sta l’incremento della libidine consumistica, il desiderio dell’oggetto assurto ad idolo, ma in Warhol si instaura un rapporto inverso rispetto alla dinamica commerciale, poichè è l’oggetto ora ad inseguire il soggetto, prevaricondone l’essenza. Continua in merito Achille Bonito Oliva: “La città apre la sua caccia sadica all’uomo, in quanto ormai esiste una inversione di ruoli e una nuova gerarchia di posizioni: la città è il fine, l’uomo il mezzo. Produzione e consumo, opulenza e obsolescenza riguardano anche le zone permeabili della soggettività, le cifre emotive dell’individualità, che definiscono le fattezze dei feticci urbani”.
Warhol attua un radicale processo di distacco nell’arte: la sua operazione artistica è volta alla soppressione di quella profondità che caratterizza la complessità problematica del reale, appiattito nella celebrazione della superficie. La Pop Art rompe così l’idea archetipica dell’arte come unicum, esito irripetibile dell’ispirazione creativa, e lo fa attraverso l’adozione del multiplo, del prodotto seriale: opere nel quale l’uomo, qualora soggetto, diviene entità astratta, espressione alienata di una condizione di esistenza stereotipata. L’occhio cinico di Warhol ci restituisce la condizione oggettiva del ceto medio americano accettata così com’è e per ciò che rappresenta nel suo essere, poiché i modelli adoperati non esistono al di fuori di quella realtà bensì sono ad essa connaturati: le facce inespressive dell’uomo-folla gettato nella moltitudine indistinta, che coincide progressivamente con la propria solitudine quotidiana.