Alla Fondazione Prada di Milano Recycling Beauty pone l’accento sulla circolarità del tempo nell’arte, e permette una presa di coscienza che dimostra come, da sempre, trasformazione e tradizione convivano nella produzione visiva e intellettuale
Recycling Beauty, la mostra inaugurata alla Fondazione Prada a cura di Salvatore Settis con Anna Anguissola, Denise La Monica e Rem Koolhaas, è il terzo atto di una riflessione sul futuro dell’antico iniziato con Serial Classic, a Milano, e Portable Classic, a Ca’ Corner della Regina a Venezia nel 2015.
Settis, archeologo e storico dell’arte, introduce un concetto di instabilità nella lettura del classico, pensato in costante evoluzione, a cominciare dal riuso di sculture greche e romane in contesti post-antichi – dal Medioevo al Barocco – che non offrono una risposta unica. La riflessione sulla classicità nel contemporaneo, è il tema di questa filologica mostra di reperti antichi, molti dei quali capolavori, provenienti da diversi musei italiani ed europei. L’esposizione volutamente didascalica, ci fa capire quanto il contesto storico e la cultura del tempo siano stati determinanti per opere d’arte, oggetti e collezioni.
Nel Podium e nella Cisterna della Fondazione, firmata Rem Koolhaas, si propone invece una rilettura critica più contemporanea dell’antichità. La parata di oltre una sessantina di reperti che vanno dal IV secolo A.C. al XVII secolo, comprende temporalità diverse e simultaneità narrative, ispirazione e rielaborazione delle idee, ed è originale perché pone al centro il riuso come dispositivo di nuova bellezza.
Una mostra sul classico, insomma, che non chiede agli artisti contemporanei di reinterpretarlo. D’altronde il recupero di materiali antichi, architetture, oggetti e iconografie per fini personali e politici è una prassi di ieri e di oggi. La classicità greca e romana è considerata patrimonio della cultura elitaria europea, e comprende anche il concetto di disfacimento (e quindi di trasformazione), e questa mostra che richiede tempo, attenzione e volontà di conoscere un altro approccio alla lettura dei canoni di ieri, rende ben chiaro questo concetto.
Catalizza lo sguardo la Tazza Farnese (II-I secolo), una coppa in pietre dure appartenuta a imperatori romani e bizantini, ma anche a Federico II e a Lorenzo il Magnifico, esposta accanto a un disegno persiano del 1430 che la riproduce fedelmente, dimostrando la circolarità della cultura che, come ha dichiarato Settis «Non dobbiamo guardare come un blocco unico, un piedistallo da cui noi osserviamo con sufficienza il resto del mondo. La cultura classica è percorsa da crepe al suo stesso interno, e la sua storia post-antica lo è ancora di più». Perché non esiste una storia lineare.
Il Colosso di Costantino, interamente ricostruito nella Cisterna della Fondazione Prada, dove è possibile guardarlo a un’altezza di 10 metri, struttura che poi sarà ospitata nei musei Capitolini a Roma, affiancato da uno meraviglioso piede e mano gigantesche, evocano scenari d’impatto cinematografico senza banalizzare i contenuti.
Sono catartici i reperti di rara bellezza esposti nel Podium vetrato della Fondazione Prada; molte sculture ci osservano poiché rivolte verso l’esterno, e tutte sono un simbolo di ricucitura tra epoche diverse e documentano come il riuso, praticato dall’antichità alla modernità, produca nuova bellezza. Perché? Perché preclude la distruzione, ma ricostruisce e trasformazione delle opere nel corso del tempo. Il riciclo è una costante dell’arte.
I reperti archeologici, riusati in epoche diverse, cambiano la loro funzione e significato, come il trono del II secolo A.C. di un sacerdote di Dionisio in un teatro greco sulla costa della Turchia, poi riciclato come sedia episcopale. Incuriosiscono le opere scambiate per vere come la testa di cavallo di Donatello. Un capolavoro in bronzo di una qualità anatomica indiscutibile, così come i pavimenti comaschi ricavati dai palazzi sontuosi dell’antica Roma. Tra le opere esposte c’è una preziosa mensa in bronzo e argento con decorazioni egizie, che Pietro Bembo nel 1527 incorporò nella propria vita quotidiana dotandola di piedi e facendone altro, forse un tavolo da studio.
Catalizza lo sguardo un gruppo di un leone che sbrana un cavallo (IV secolo a. C), che nel Medioevo fu trasportato in Campidoglio e usato come simbolo della potenza e della giustizia della città di Roma. Ogni singolo pezzo richiede attenzione, perché narra storie dei collezionisti e del contesto nel quale circola, come per esempio la statua di Costantino, alta 11 metri, di cui nel 1486 furono scoperti una decina di grandi frammenti, a cominciare dalla testa-ritratto. Tutti, in seguito, furono portati al Campidoglio ed esposti al pubblico come segno supremo di gloria antica che si era ridotta in frantumi ma poteva rinascere.
Recycling Beauty è una mostra impegnativa ma necessaria, che invita a considerare la frantumazione dell’antichità e la sua ricomposizione, come antidoto all’ossessione del presente che ci domina. La statua del I secolo D.C alla quale verso il 1501 venne aggiunta una testa ad opera di uno scultore veneziano, che la identifica come Santa Ifigenia composta da tre parti separate nell’Ottocento, è stata ricomposta per la prima volta in questa mostra. E magistrale è anche l’allestimento di Koolhaas, che permette allo spettatore di sedersi davanti alle opere, affiancate da didascalie scientifiche, testi didattici e pannelli che forniscono informazioni dettagliate, con il fine di dialogare intimamente sul valore anche morale della classicità, della storia dell’arte, consapevoli della coesistenza attuale di un tempo accelerato o stagnante, in cui trasformazione e tradizione da sempre convivono.