Anche l’arte trova spazio nel Palio di Siena, una delle tradizioni più antiche (e controverse) della tradizione italiana. Ad ogni corsa, infatti, la contrada vincitrice si aggiudica un drappellone decorato da un artista appositamente selezionato.
All’esplosione del mortaretto dieci cavalli fanno il loro ingresso in Piazza del Campo, a Siena. Ognuno di loro porta in groppa un fantino, che cavalca a pelo, cioè senza sella, indossando i colori della contrada che rappresenta. La piazza è coperta di tufo e gremita di un numero inverosimile di persone. I colori invadono gli occhi. Dopo aver sfilato di fronte a un gruppo di persone vestite in abiti tradizionali, che li salutano e incitano, i cavalli percorrono la pista fino ad arrivare al rettilineo che precede la mossa. Ovvero la zona delimitata da due corde tirate in orizzontale, detti canapi, che segnano il punto di partenza.
Mentre i cavalli di muovono attorno alla mossa e i fantini parlano tra loro, tessendo le ultime trame che possono favorirli durante la corsa, un vigile con una busta in mano attraversa il campo e la consegna al mossiere. Il silenzio scende sulla piazza. Il mossiere è la figura, in giacca e cravatta, incaricato di dare il via alla corsa nel momento più opportuno, ovvero quello in cui tutti i cavalli sono allineati nell’ordine stabilito. L’ordine è quello contenuto nella busta, ed estratto a sorte pochi istanti prima della carriera. Esso si rivelerà importante, se non decisivo, per l’esito della gara. Chi è più vicino al perimetro interno della pista risulta favorito, in quanto dovrà fare meno strada; chi parte per ultimo, di rincorsa, dovrà invece percorrerne di più, ma avrà il vantaggio di determinare la partenza una volta che gli altri cavalli sono allineati.
Un boato segue il nome di ogni contrada, che elencate dal mossiere entrano uno alla volta nella mossa. Qui i fantini si ostacoleranno, strattoneranno, proveranno ad ottenere vantaggi per sé o per gli alleati, sfavorendo altresì i rivali. Ci sono contrasti storici, antipatie consolidate che negli anni sono diventate aspre rivalità. Attualmente si distinguono le rivalità tra Oca e Torre, Chiocciola e Tartuca, Istrice e Lupa, Aquila e Pantera, Nicchio e Valdimontone, Civetta e Leocorno. Ad ogni modo, una volta che i cavalli sono disposti nell’ordine corretto e quello di rincorsa innesca la corsa, il mossiere abbassa i canapi e la gara ha inizio.
Tre giri di campo, poco più di un minuto, che determinano il cavallo vincitore. Non serve che il fantino arrivi in sella al suo destriero, è l’animale a determinare il successo. Chi trionfa vince il palio, che letteralmente è un pezzo di stoffa decorato ogni anno da un artista diverso. É quest’oggetto, di fatto, l’unico premio materiale della corsa. I membri della contrada vincente, non appena viene proclamata tale, si dirigono sotto il palco dove è esposto e, tra lacrime e abbracci, lo reclamano a gran voce.
Questa, in toni asettici e neutrali, la misteriosa e sacrale ritualità del Palio di Siena. Tradizione carissima a chi la conosce e quasi irritante per chi non la conosce o la osteggia. Retaggio divisivo ma ricco di cultura, storia e storie. Tra queste proprio quelle legate al palio, il drappellone che la contrada vincente si aggiudica. Il contenuto iconografico è pressoché immutato nel tempo e segue i principali simboli della città e dell’evento: la Madonna, Piazza del Campo, la Torre del Mangia, i contradaioli, le bandiere, i fazzoletti, i cavalli, i fantini. Quel che varia è il modo in cui vengono declinati. Come detto, a realizzare il palio sono sempre artisti differenti, per le due edizioni annuali dell’evento (2 luglio e 16 agosto). Ma, al contrario di quel che si può pensare, non è una commissione affidata ad artisti locali o appartenenti al mondo paliesco. Al contrario, ecco alcuni drappelloni realizzati da artisti chiave per la storia dell’arte italiana (e non solo) del secondo Novecento.