Che cosa può significare, oggi, posare lo sguardo di un fotografo su una città immortalata da grandi fotografi nel corso dei decenni e da migliaia di scatti da smartphone ogni giorno? Una risposta tra le tante possibili ha provato a darle il fotografo francese di origini greche Nikos Aliagas (1969, Parigi) nei mesi trascorsi nella città lagunare grazie alla residenza artistica organizzato dalla Fondazione dell’Albero d’Oro a Palazzo Vendramin Grimani iniziata a luglio 2022 e conclusa lo scorso dicembre, i cui esiti sono esposti nella mostra “Regards Vénitiens” (fino al 2 aprile 2023)
Il percorso espositivo «si sviluppa negli oltre 400 mq del piano terra e della corte di Palazzo Vendramin Grimani […] e si inserisce nel filone di lavoro dedicato alla fotografia che la Fondazione dell’Albero d’Oro ha avviato sin dalle prime esposizioni presentate a
Aliagas e Venezia
«Nikos Aliagas – ha spiegato la Fondazione dell’Albero d’Oro – ha percorso le calli veneziane per incontrare quelli che in città non si vedono: gli abitanti, ossia coloro che evitano gli sguardi degli obiettivi dei turisti. Questo progetto è germogliato e cresciuto nell’anima dell’artista quando Nikos Aliagas, su invito della Fondazione dell’Albero d’Oro, ha visitato per la prima volta la laguna e ne ha potuto osservare la realtà misteriosa e affascinante. In quel momento è nata l’idea di guardare veramente all’interno di Venezia, esplorando il mondo che ruota intorno a Palazzo Vendramin Grimani. L’obiettivo di Nikos Aliagas ha viaggiato nella quotidianità straordinaria di campo San Polo, per il sestiere di cui è il cuore e fra gli scorci veneziani, e ha lasciato che fossero le immagini a raccontare le storie di chi vive e fa vivere questi luoghi.
Le immagini di Nikos Aliagas sono in bianco e nero: l’artista ha esplorato contrasti, controluce, movimenti all’interno di inquadrature in cui le linee rette e curve si sposano, ad esempio su un volto oppure all’angolo di una calle. È ancora possibile improvvisare a Venezia? In una città fotografata milioni di volte da occhi di passaggio? Sì, risponde l’artista, se si parte dal principio che è Venezia a guardarci e osservarci».
Le parole di Nikos Aliagas
SC: La mostra “Regards Vénitiens” nasce da sei mesi di residenza artistica a Palazzo Vendramin Grimani, a cui sei stato invitato a partecipare. In che modo la residenza artistica fa parte della Sua pratica di fotografo? Ha partecipato ad altre residenze durante la tua carriera di fotografo?
NA: «Quando Beatrice de Reyniès mi ha contattato per propormi una collaborazione con la Fondazione dell’Albero d’Oro pur essendo molto onorato all’idea, mi sono chiesto se ci fosse ancora qualcosa da dire su Venezia in termini fotografici. I più grandi fotografi hanno esplorato la bellezza di Venezia nel corso della storia, non solo Willy Ronis ma anche fotografi italiani come Fluvio Roiter di cui conoscevo le splendide foto. Fotografare Venezia è un esercizio molto più rischioso di quanto sembri, sapendo poi che ogni giorno vengono scattate migliaia di foto dai milioni di turisti che arrivano sul posto. Non ero mai stato a Venezia prima dello scorso luglio e sono rimasto spiazzato dalla bellezza del luogo. Venezia è comunque più forte di te, quando arrivi per la prima volta sul Canal Grande hai la sensazione che la città non stia aspettando: è lì da 1600 anni e ti guarda con la coda dell’occhio. E ci si sente molto piccoli. Allora da dove cominciare? Forse semplicemente dalle persone che non si scorgono a prima vista, i veneziani che vivono e lavorano qui. Quelli che non cercano i selfie o le luci della ribalta, quelli che mantengono l’anima della vita quotidiana nei quartieri. Sono questi gli uomini e le donne che ho cercato di immortalare».
SC: Che rapporto ha potuto instaurare con la città di Venezia durante il periodo della tua residenza? Quali aspetti ne ha studiato attraverso la fotografia?
NA: «Ho cercato di stabilire un legame al tempo stesso discreto e significativo, un riconoscimento rispettoso e intimo; non sono venuto a “prendere” da Venezia quello che la città lascia al primo che passa, sono venuto a capire quello che non dice. Avevo tutto da guadagnare perché non sapevo cosa aspettarmi, al di là delle immagini che tutti conoscono. Non sono arrivato a vedere Venezia come una scenografia, ma come il corpo di un microcosmo che ricorda e resiste. Ogni campo è una micrografia della vita sociale veneziana che si evolve al di là del flusso turistico. Una vita quotidiana di artigiani, lavoratori, abitanti che non vogliono essere fotografati continuamente come “animali in gabbia”. Prima di fotografare, osservo e dialogo».
SC: Quali aspetti della ricerca fotografica in generale sono più interessanti per Lei? Perché ha deciso di lavorare con la fotografia in bianco e nero?
NA: «L’essere umano è al centro del mio interesse fotografico. Cerco un contatto, un sentimento, un momento sospeso che vada al di là delle pose e delle posture, che non abbia bisogno di parole per essere identificato. Il bianco e nero mi permette di cercare un’atemporalità, una drammaturgia, un momento quasi cinematografico ma che non sia il risultato di una messa in scena. Il bianco e nero conserva solo l’essenziale dell’esistenza, mentre il colore, secondo me, toglie il mistero. E io cerco questo mistero che confonde la scala temporale, ciò che è stato, che è e che forse sarà… E quale luogo migliore di Venezia e dei suoi 1600 anni di storia?».
SC: In Francia Lei ha una solida carriera in televisione. Come si incontrano questa carriera e la fotografia? Si influenzano a vicenda?
NA: «La fotografia esisteva nel mio quotidiano come bisogno di espressione intima molto prima della televisione o della radio, attraverso le quali ho potuto costruire un percorso professionale per tre decenni. Ma in fondo, mettersi dietro l’obiettivo è anche una ricerca di libertà, è osservare e stabilire un’altra forma di dialogo con il mondo, senza la necessità di espormi nella cornice “deformante” della notorietà. Prendermi il tempo per stabilire un legame più profondo nel silenzio e nel percorso solitario del processo fotografico mi ha certamente permesso di ricercare un po’ più di precisione e di distanza nel “rumore mediatico” del mio lavoro».
SC: Quali saranno i Suoi prossimi progetti come fotografo?
NA: «Una mostra in Francia tra qualche mese, in un’abbazia ricca di storia e cultura a nord della Senna, sul tema del viaggio e della mancanza, della partenza, del ritorno e infine dell’apprendimento, una mostra che si chiamerà Le spleen d’Ulysse (Lo spleen di Ulisse)».
Le parole di Béatrice de Reyniès, Direttrice della Fondazione dell’Albero d’Oro
SC: Come è nato e come si sviluppa il progetto di residenze d’artista a Palazzo Vendramin Grimani?
BdR: «Il progetto di residenze d’artista fa parte delle attività che la Fondazione intende intraprendere per rendere Palazzo Vendramin Grimani un luogo di trasmissione e di scambio artistico culturale aperto al mondo».
SC: Qual è il rapporto di Palazzo Vendramin Grimani con la fotografia?
BdR: «Sin dal 2019, la Fondazione intende lasciare una traccia della storia che si sta scrivendo giorno dopo giorno a Palazzo Vendramin Grimani. Patrick Tourneboeuf, fotografo e architetto francese che ha reso i cantieri di costruzione il campo di attività del suo obiettivo, così come l’artista a fotografo veneziano Ugo Carmeni, hanno immortalato la trasformazione del palazzo da inabitato a sito aperto al pubblico, creando le testimonianze fotografiche della riqualificazione dell’edificio. La fotografia è stata la prima testimonianza artistica del restauro di un palazzo storico sul Canal Grande».
SC: Quali aspetti della ricerca di Nikos Aliagas vi hanno spinto a invitarlo per un periodo di residenza?
BdR: «Nikos Aliagas è un fotografo noto da molti anni per il suo lavoro sullo scorrere del tempo, sulle tracce e sulle impronte che lascia su volti e mani. Nel solco della tradizione inaugurata dai due fotografi precedenti, abbiamo voluto dare continuità al lavoro di testimonianza dell’evoluzione del palazzo, e allargare il perimetro uscendo dall’edificio, mostrando la vita che lo circonda, il microcosmo di un campo, il cuore di un sestiere, che vive grazie ai suoi abitanti».
SC: Potete darci qualche anticipazione sui prossimi progetti di residenza e espositivi?
BdR: «Il progetto di residenza si svilupperà nel prossimo futuro con la messa a disposizione di risorse, in particolare di un appartamento e di uno spazio di lavoro per ospitare artisti, curatori o altre figure. I dettagli relativi ai requisiti di ammissibilità alla residenza verranno resi noti nel mese nel mese di giugno 2023».