L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, al cinema dal 27 aprile il nuovo film di Alain Guiraudie, una commedia che sfida la morale
Sono ormai mesi, se non anni, che si sentono comici e commedianti lamentarsi di come oggigiorno non esista più la libertà di scherzare. Di come la gente sia diventata troppo sensibile, troppo permalosa, di come ormai il politicamente corretto sia un bavaglio sulla bocca degli artisti. A costoro si consiglia la visione di L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice (Viens Je t’emmène), il nuovo film di Alain Guiraudie (Lo sconosciuto del lago), la prova lampante di come si possano ancora toccare temi scottanti in maniera intelligente e provocatoria senza per questo dimenticarsi di far ridere lo spettatore. Guiraudie utilizza la leggerezza e l’ironia per fare a pezzi i pregiudizi e le fobie dell’età contemporanea, accarezzando gli stereotipi per poi sconvolgerli in maniera sorprendente e imprevedibile. E nel frattempo si ride, si ride tanto.
Al centro della storia c’è Médéric, interpretato da Jean-Charles Clichet come l’everyman per antonomasia. È innamorato di Isadora (Noémie Lvovsky, bravissima come sempre), una prostituta di mezza età sposata a Gerard, un uomo geloso e possessivo a modo suo. Se Médéric si accontentasse di essere un cliente, Gerard non avrebbe nulla da ridire: è la sua pretesa ad essere l’amante di Isadora a essergli intollerabile. I tentativi di Médéric di conquistare la donna e sottrarla alla tirannia del marito sono ulteriormente complicati da un evento inaspettato: poco dopo un attentato terroristico di apparente matrice islamica, un giovane arabo senzatetto, Selim (Iliés Kadri), si presenta alla porta di casa sua chiedendo ospitalità. L’arrivo di Selim non solo scatenerà un putiferio tra i membri del condominio, ma arriverà anche a coinvolgere le vicende sentimentali di Médéric, in un susseguirsi di errori, imprevisti e fraintendimenti.
Ambientato a Clermont-Ferrand, nel cuore della Francia, il film di Guiraudie mette in campo un numero svariato di temi profondamente attuali: la paura e la sfiducia nei confronti degli stranieri e in particolare degli arabi, e il modo in cui i mass media contribuiscono a questo clima di sospetto generalizzato; ma anche il sesso e la sessualità, la prostituzione, le relazioni violente. Tutti questi temi sono trattati con un’assenza di didascalismo che, per i tempi che corrono, è rinfrancante. L’innamorato, l’arabo e la prostituta è un film allergico alla retorica e alle spiegazioni pulite.
La sua forza politica sta nel modo in cui rappresenta corpi non conformi come oggetti e soggetti del desiderio. Nel modo in cui i personaggi, pur essendo incastrati in un fuoco incrociato di preconcetti, si desiderano, si guardano, si rincorrono. Nel modo in cui i luoghi comuni vengono costantemente smentiti o ribaltati, spesso costringendo lo spettatore a interrogarsi sui suoi stessi pregiudizi inconsapevoli. E soprattutto nel modo in cui tutti i personaggi rivelano una ricchezza e una complessità che sfida costantemente la lettura monodimensionale di una visione del mondo puramente identitaria.
A rendere il contenuto politico e polemico del film ancora più convincente è la generosità di fondo che non risparmia nessun personaggio: persino quelli che sembrano nascere come una macchietta (tipo Florence, la start-up manager che lavora con Médéric) finiscono per avere dei risvolti insospettati, persino toccanti; questo non significa che sia un film ingenuo o stucchevole, al contrario, sa bene che la realtà spesso tradisce i sogni e le speranze, che non tutto ha il lieto fine, che le cose che dovrebbero succedere non sempre succedono. E forse il cuore di questa commedia mai banale sta proprio nella sua tensione tra l’utopia e la dura realtà.