La mostra Vielheit [molteplicità]. Storie dalla società post-migrante mette in scena l’integrazione al Kunst Meran Merano Arte
Nel caldissimo luglio di quest’anno a riscaldare ulteriormente gli animi c’è stata una furiosa polemica musical-politica. Il maestro Alberto Veronesi, invitato a dirigere la Bohème di Puccini al festival di Torre del Lago, si è presentato sul podio con gli occhi bendati. Una plateale protesta contro la regia dell’opera, che a suo dire ne stravolgeva il senso, attualizzandola ai moti del 1968. Ne sono seguiti provocatori strascichi socio-politici, sui quali stendiamo un velo. Ma la storia delle opere liriche riformulate nell’ambientazione storica è ricca di casistica. E non solo in Italia.
Nel 1735 a Parigi, nel Théâtre du Palais-Royal, andò in scena la prima di Les Indes galantes, un’opéra-ballet in quattro atti di Jean-Philippe Rameau. Dopo un avvio travagliato, segnato da diversi rimaneggiamenti, il successo fu clamoroso, specie dopo che Rameau aggiunse il quarto atto, intitolato Les Sauvages. È ambientato in Nord America, dove uno spagnolo e un francese si affrontano per l’amore di Zima, figlia di un nativo. La quale, invece, preferisce uno del suo stesso popolo.
Magnetica coralità
Nel 2017 l’artista e regista Clément Cogitore fu invitato dall’Opera Bastille di Parigi a creare un filmato ispirato a Les Indes Galantes (di cui nel 2019 gli affidò la regia). Ed egli propose una radicale reinterpretazione dell’opera di Rameau, portando appunto il quarto atto ai giorni nostri. E affidando l’interpretazione dei “selvaggi” a ballerini di strada parigini, selezionati tramite passaparola o annunci sui social networks. Una compagine variegata e multietnica, scatenata sul palcoscenico al ritmo del Krumping. Una danza che diventa una forma di comunicazione fisica, emersa a Los Angeles nei primi anni ’90 come forma non violenta di protesta contro il razzismo e i soprusi della polizia. Caratterizzata da movimenti aggressivi, quasi arcaici.
Il video di Cogitore diventa ora il fulcro della mostra Vielheit [molteplicità]. Storie dalla società post-migrante, visibile fino al 24 settembre presso Kunst Meran Merano Arte. Perché ne interpreta il senso profondo, individuato dal curatore Jörn Schafaff nell’indagine sulle complessità delle società post-migranti. Le scelte del creativo francese sublimano infatti l’integrazione, offrendo la scena a una crew dove tratti somatici o movenze identitarie lasciano il passo ad una magnetica coralità. Rapper, break e popping dancer conquistano lo storico palcoscenico e calamitano lo sguardo dell’osservatore, potenziando le già forti e trasgressive istanze di Rameau.
Storie di persone
Decisamente pregnante, nell’ottica del tema scelto, è l’installazione di una star dell’arte globale come Rirkrit Tiravanija. Che nel piccolo – ma prezioso, un gioiello – museo altoatesino ricostruisce la prima stanza in cui visse dai 19 anni, quando si trasferì dalla Thailandia per studiare in Canada. Untitled 2023 (neighbours) – questo il titolo – mostra su più schermi persone di origini diverse che raccontano il loro arrivo a Merano, la loro vita attuale e i loro desideri per il futuro. “Le storie delle persone offrono anche intuizioni private, una moltitudine di punti di vista individuali, ricordi e vicende che si dispiegano”.
Nell’intreccio di locali e piani dello spazio meranese si incontrano opere – spesso site specific – di artisti come Bani Abidi, Sol Calero, Pradip Das, Nicolò Degiorgis, Barbara Gamper, Nadira Husain, Pinar Öğrenci, Willem de Rooij, Ecaterina Stefanescu, Želimir Žilnik, Haegue Yang. Anche quest’ultima mobilita nei titoli delle sue installazioni rimembranze intime, con gli indirizzi di sue ex residenze, tra la Germania e la Corea del Sud. Si tratta di sculture a parete costituite da lavelli da cucina coperti da persiane e illuminati dall’interno, nel pieno stile della celebre artista. Che mette in scena le sue esperienze migratorie, legandone i ricordi ad elementi della quotidianità domestica, che si incidono nella memoria.
Momenti eterotopici di convivialità
Tocca le corde della lirica lo splendido bouquet di fiori bianchi di Willem de Rooij, presentato su un piedistallo bianco in un vaso bianco. Opera monocromatica, ma che affida la molteplicità all’origine geografica delle diverse varietà floreali. Giglio, gladiolo, gerbera, rosa, garofano, crisantemo, gypsophila, anthurium, bocca di leone. “Momenti eterotopici di convivialità“: così la studiosa di migrazione Regina Römhild ha definito quei tanti piccoli eventi di successo basati sulla cooperazione. Ai quali si iscrive di diritto questa mostra…