L’attualità che vede un grande museo toscano in crisi rappresenta soltanto la punta di un iceberg. Quali le figure giuste alla guida dei musei?
Le recenti polemiche provocate dalle condizioni in cui versa uno dei più importanti musei toscani di arte contemporanea (o almeno uno dei primi in Italia, oggi a mal partito), sono rimbalzate ormai dalla stampa locale a quella nazionale, anche se per motivi che, apparentemente, esulano dalla gestione curatoriale e scientifica. Si tratta infatti della notizia del licenziamento annunciato di due dipendenti del museo, non di un problema di programmazione o gestione da parte del direttore o del Cda in merito alla funzione culturale del museo stesso. Due cose in apparenza separate, ma in realtà profondamente legate l’una all’altra.
Nel bando di nuovo direttore pubblicato nell’ottobre del 2021 (dopo peraltro un allontanamento “forzato” ancora in corso di verifica legale della precedente direttrice, in causa col museo da quasi due anni), si richiedeva infatti, tra i vari obiettivi di cui il direttore (nominato poi nel dicembre del 2021) doveva farsi carico, un aumento di un milione di euro extra in tre anni del budget e un incremento rilevante dei visitatori. Né l’uno né l’altro obiettivo sono stati raggiunti, evidentemente, dopo quasi due anni di direzione, dal momento che si è ora costretti a licenziare due dipendenti per risanare il bilancio (sic) e che il numero accertato dei visitatori nel 2019 era di 43.000, mentre nel 2022 è di 26.500!
Manager o curatori
Eppure la questione sembra ora riguardare solo il licenziamento. Un report effettuato dalla stessa agenzia di reclutamento del direttore nel 2021 aveva rilevato, nella sua dettagliata analisi strategica, che il “61% di successo del museo è dato dal programma espositivo e culturale”. Esatta o non esatta la percentuale (ma verrebbe da sospettare che si avvicini al vero), il problema del fallimento degli obiettivi del nostro museo rimane. E se il fatto culturale sembra sempre opinabile (quando in realtà non lo è per chi sa entrare nel merito), quello numerico no.
Il fatto di cronaca può essere preso a motivo per ragionare sul futuro stesso dei musei di arte contemporanea, secondo quella preoccupante prospettiva che vede ormai a capo di queste istituzioni o manager o curatori, come richiesto spesso dai bandi. Non storici dell’arte (a meno che non si pieghino alle logiche di manager e curatori) con poderose pubblicazioni scientifiche, non uomini o donne di cultura ampia e/o di acclamata formazione accademica, non professionisti con visioni innovative e originali. Una tendenza affermatasi sempre più negli ultimi anni che comincia finalmente a perdere colpi e dimostrarsi inadeguata, come dimostra il caso recente del nostro museo toscano, dove è stato collocato come direttore un curatore senza precedente esperienza di direzione museale, mentre nel bando veniva richiesto espressamente un manager e non un curatore!
Visioni culturali
Il cortocircuito (come era prevedibile) è avvenuto quindi tra le scelte del Cda e gli obiettivi prefissati nel bando da una parte, e le caratteristiche del direttore dall’altra, forse non perfettamente adatte a quelle richieste. La responsabilità della scelta del direttore è del Cda del museo, ma quella degli obiettivi non raggiunti è del direttore. Che ora il museo versi in situazioni critiche non stupisce, anche se iniettando magari qualche altra finanza pubblica (a un museo che si basa già quasi esclusivamente su bilanci pubblici), e ritirando i due licenziamenti su pressioni dei sindacati e politiche, tutto potrebbe essere, almeno in apparenza, risolto, ma tutto allo stesso tempo rimarrebbe uguale a prima, e quindi in una situazione ancor più critica.
Forse allora sarebbe opportuno finalmente ripensare le logiche di questi bandi e trovare la soluzione al problema nella figura di storici dell’arte, competenti e con visioni culturali, non in quella di semplici curatori con un master all’estero e qualche progetto curatoriale in un museo straniero di periferia (e possibilmente sempre più giovani), affiancando magari al direttore culturale e scientifico amministratori che sappiano reperire fondi, come veri e propri manager, che potrebbero sedersi piuttosto nel Cda del museo. Questa riorganizzazione strategica potrebbe finalmente soddisfare chi vuole fare soltanto cassa e numeri nei musei d’arte, ma anche chi voglia accrescerne il valore culturale. Una linea che potrebbe evitare che altri musei italiani vengano a trovarsi prima o poi nelle stesse condizioni del nostro museo toscano, forse solo la punta di un iceberg.