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Divieto di Alienazione e diritto di prelazione nella vendita dell’arte contemporanea

Richard Prince, Untitled (cowboy), 1989, courtesy Metropolitan Museum of Art, NYC

Il “Divieto di Alienazione e Diretto di Prelazione nella vendita di opere d’arte contemporanea” è il primo tema affrontato nella nostra nuova rubrica dedicata al Diritto dell’Arte, curata dai professionisti più attenti del settore. Oggi la firma è dall’Avvocato Novelio Furin dello Studio Legale FurinGrotto

Introduzione

La prassi contrattuale del mercato dell’arte contemporanea conosce clausole negoziali, originarie del mondo anglosassone, limitative della facoltà di rivendita in capo all’acquirente. Nello specifico sovente il venditore, gallerista o artista, intende obbligare l’acquirente a non rivendere l’opera per un tempo prestabilito, a volte persino 15 anni, oppure ad offrirla in prelazione al medesimo prezzo. Tali clausole sono volte ad evitare la creazione di un mercato secondario delle opere dell’artista, evidentemente temuto dagli operatori. Infatti per gli artisti estremamente richiesti, con lunghe liste d’attesa per gli acquirenti interessati, la rivendita delle opere da parte dei collezionisti potrebbe far salire in modo eccessivamente rapido il loro valore con conseguente instabilità dei prezzi e diffidenza da parte del mercato. Al contrario, per altri artisti, la creazione di un mercato secondario potrebbe far emergere un inferiore valore reale delle opere, rispetto a quello richiesto in sede di vendita originaria, con conseguente svalutazione dell’artista. Il divieto di vendita per un periodo di tempo determinato, nonché il riacquisto da parte del gallerista mediante l’esercizio del diritto di prelazione, evitano così l’insorgere di questi rischi per il mercato dell’artista e spingono gli operatori professionali all’utilizzo di tali clausole contrattuali. Considerata la provenienza straniera di queste prassi negoziali, occorre esaminare con attenzione la loro liceità nell’ordinamento italiano.

Divieto di rivendita

Nel nostro ordinamento non è consentito imporre all’acquirente il divieto assoluto di rivendita del bene, dovendo contemperarsi la volontà delle parti di obbligarsi in tal senso, con l’interesse del mercato alla libera circolazione delle merci. La disciplina è regolata dal noto art. 1379 del codice civile, il quale oltre a limitare gli effetti del divieto di rivendita alle sole parti del contratto originario, stabilisce che la durata debba essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli ed essere sorretta da un interesse apprezzabile dei contraenti. La norma non indica precisi limiti temporali e ciò ha creato incertezze tra gli studiosi del diritto. Se, infatti, è pacifico che non possa prescindersi dalla fattispecie concreta e, in particolare, dall’oggetto del contratto, si sono comunque ricercati dei parametri codicistici al fine di determinare il limite massimo temporale del divieto di alienazione. In particolare, secondo parte della dottrina, dovrebbe generalmente reputarsi lecito un termine massimo quinquennale, così come previsto dall’art. 713 del codice civile in materia di divieto testamentario di divisione dei beni ereditari. Altra dottrina, giunge a reputare lecito un termine massimo decennale, in ossequio alla liceità del patto di indivisione, di pari durata, stabilito dall’art. 1111 del codice civile. Per quanto concerne il requisito dell’apprezzabile interesse di una delle parti, si ritiene che quest’ultimo non debba necessariamente essere patrimoniale, ma possa essere anche solo morale. Al riguardo, nonostante l’assenza di precedenti giurisprudenziali, il divieto di alienazione di opere d’arte è da considerarsi meritevole di tutela giuridica, considerato l’interesse del gallerista-venditore a favorire il mercato dell’artista. Come si osserverà meglio, l’efficacia di tale accordo è tuttavia limitata alle sole parti contraenti, senza alcuna opponibilità del divieto al terzo acquirente del bene.

Diritto di prelazione

Sempre al fine di tutelare il valore di mercato delle opere d’arte, è frequente che l’artista o il gallerista intenda, invece, riservarsi il diritto di prelazione, ciò al posto del divieto di rivendita oppure allo scadere di detto accordo. In tal modo l’originario proprietario potrebbe riacquistare il bene al prezzo offerto al terzo o al medesimo importo pattuito per l’originaria vendita, a seconda di quanto precisato col patto di prelazione, così evitando la circolazione nel mercato secondario delle opere dell’artista. Al contrario di quanto detto con riferimento al divieto di rivendita, dottrina e giurisprudenza affermano la liceità delle clausole di prelazione a tempo indeterminato, senza dunque dover soggiacere ai limiti temporali di cui all’art. 1379 del codice civile. Infatti è da osservarsi come il diritto di prelazione sia meno gravoso per la sfera giudica dell’acquirente in quanto non gli impedisce l’alienazione del bene al prezzo offerto dal mercato, attribuendo all’originario venditore solamente il diritto di ri-acquistarlo a parità di condizioni.

Natura vessatoria delle clausole e tutela del consumatore

Nel caso in cui le compravendite siano effettuate tra professionisti (come artisti e galleristi) e meri consumatori, quanto sinora detto deve essere allora coordinato con la tutela stabilita dal Codice del Consumo. Tale disciplina, invero, sanziona con la nullità le clausole vessatorie, che sono quelle determinanti un significativo squilibrio del rapporto tra professionista e consumatore, in danno di quest’ultimo. Ai sensi dell’art. 33 lett. t. del Codice del Consumo la vessatorietà delle clausole, che restringano la libertà del consumatore nei rapporti con i terzi, è presunta fino a prova contraria. Tuttavia è da osservarsi come tale previsione non paia confacente al caso di specie. Evidentemente il legislatore con tale norma intendeva sanzionare con la nullità le generali restrizioni ai rapporti con terzi capaci di alterare il normale funzionamento della concorrenza, ad esempio in caso di fornitura di merci. La clausola in oggetto invece, relativa al divieto di alienazione di beni da collezione appare fattispecie differente. In ogni caso il professionista potrà dimostrare come, nel caso specifico, il divieto di rivendita non abbia alterato in modo significativo i rapporti negoziali tra le parti o che la clausola sia stata oggetto di specifica approvazione da parte dell’acquirente dell’opera ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 del codice civile. Ciò vale soprattutto in caso di diritto di prelazione a parità di condizioni, ove il consumatore non subisce alcun nocumento economico, non impedendogli di alienare il bene.

Eventuale tutela reale dell’accordo contrattuale

Generalmente, in caso di violazione delle clausole contrattuali di divieto di alienazione e di prelazione, in capo all’originario venditore non è riconosciuta una tutela che gli permetta di riacquistare il bene. Ciò in quanto le condizioni di vendita delle opere d’arte, a differenza di quanto avviene per gli immobili, non sono trascritte in appositi pubblici registri che ne consentono in tal modo la pubblicità. Il discorso potrebbe essere diverso qualora si dimostrasse che il terzo acquirente conosceva l’intervenuta pattuizione dei divieti di vendita o di prelazione. Infatti, secondo parte della dottrina, vi è l’astratta possibilità, per l’originario venditore, di agire per il risarcimento del danno in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 del codice civile, ovvero per ottenere la restituzione dell’opera da parte del sub-acquirente. Ciò ove fosse dimostrata la consapevolezza in capo a quest’ultimo dell’esistenza del divieto di rivendita o del diritto di prelazione.
Appare, però, alquanto difficile dimostrare tale consapevolezza del sub-acquirente. Tuttavia, se si considera che le opere di arte contemporanea circolano sempre con certificati di autenticità, i medesimi potrebbero in astratto essere utilizzati per menzionare l’esistenza degli accordi di prelazione o di divieto di rivendita. Questo faciliterebbe la dimostrazione della mala fede del sub-acquirente che prima dell’acquisto dovrebbe, di regola, visionare il certificato di autenticità dell’opera. Sulla quantificazione del danno per la violazione del divieto di rivendita e del diritto di prelazione
In caso di violazione del divieto di rivendita o dell’accordo sul diritto di prelazione non sempre è semplice giungere alla quantificazione del danno subito dal venditore originario. Si ritiene utile, pertanto, predeterminare il pregiudizio in via forfettaria, in sede contrattuale, mediante l’apposizione di una clausola penale per lo specifico caso di violazione del patto, con ciò tutelando maggiormente anche la posizione giuridica dell’originario venditore. Fermo restando che, qualora la clausola penale presentasse un importo manifestamente eccessivo rispetto al valore economico dell’affare, sussiste la possibilità per l’interessato di ricorrere al Giudice al fine di ridurlo ad equità ai sensi dell’art. 1384 del codice civile.

Conclusioni

Per quanto detto emerge come le clausole contrattuali di divieto di rivendita o statuenti un diritto di prelazione in capo al venditore, tipiche del mondo anglosassone, siano generalmente lecite anche nel diritto italiano.
Al fine di tutelare gli interessi economici del commerciante di opere d’arte, vi è però la necessità che tali clausole siano adattate al nostro ordinamento onde evitare che risultino nulle o inefficaci nel caso concreto.

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