Nelle sale del New Museum di New York l’antologica “Judy Chicago: Herstory” riunisce «sei decenni di lavoro dell’artista nata a Chicago nel 1939 e include “The City of Ladies”, una mostra all’interno della mostra che mette in luce donne essenziali per la storia dell’arte e per la sua stessa pratica».
La mostra è curata da Massimiliano Gioni, Edlis Neeson Artistic Director, Gary Carrion-Murayari, Kraus Family Senior Curator, Margot Norton, Chief Curator, Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive (ex Allen and Lola Goldring Senior Curator at the New Museum) e Madeline Weisburg, Assistant Curator.
“Herstory” (fino al 14 gennaio 2024) è «la più completa indagine museale di Chicago» e si estende su quattro piani del New Museum. La mostra «ripercorre l’intera pratica di Chicago, dagli esperimenti di minimalismo degli anni Sessanta e dall’arte rivoluzionaria e femminista degli anni Settanta fino alle serie narrative degli anni Ottanta e Novanta, in cui l’artista ha ampliato la sua attenzione per affrontare i disastri ambientali, la nascita e la creazione, la mascolinità e la mortalità.
Contestualizzando la sua metodologia femminista all’interno dei molti movimenti artistici a cui ha partecipato – e dalla cui storia è stata spesso cancellata – “Herstory” evidenzia l’enorme impatto di Chicago sull’arte americana e mette in luce il suo ruolo critico di storica della cultura che rivendica spazio per le donne artiste precedentemente omesse dal canone», ha spiegato l’istituzione (ve ne avevamo dato anticipazione qui). Nel percorso espositivo dipinti, sculture, installazioni, disegni, tessuti, fotografie, vetro colorato e stampe.
“The City of Ladies”, la mostra nella mostra è dedicata, invece, a opere d’arte e materiali d’archivio di oltre ottanta artiste, scrittrici e pensatrici, tra cui Simone de Beauvoir, Ildegarda di Bingen, Claude Cahun, Elizabeth Catlett, Artemisia Gentileschi, Zora Neale Hurston, Frida Kahlo, Hilma af Klint, Emma Goldman, Georgia O’Keeffe, Charlotte Salomon, Remedios Varo e Virginia Woolf.
Massimiliano Gioni ci ha accompagnato alla scoperta di Judy Chicago e della mostra in corso nell’intervista qui sotto.
Silvia Conta: Come è nata la mostra su Judy Chicago al New Museum?
Massimiliano Gioni: «Conosco e incontro Judy Chicago dal 2013 circa, quando lavoravo alla mostra “La Grande Madre” con la Fondazione Nicola Trussardi per Palazzo Reale a Milano, in occasione dell’Esposizione Universale. Lei era una figura centrale in quella mostra, non solo con le sue opere ma anche per la base teorica generale dell’esposizione perché, con il suo “Progetto Nascita”, aveva iniziato, negli anni Ottanta, a cercare di portare alla luce e creare un’intera iconografia intorno al tema del parto, della maternità e della paternità da una prospettiva femminista e femminile.
Ci siamo conosciuti allora, siamo rimasti in contatto e abbiamo avuto molte conversazioni nel corso degli anni. Mi ha gentilmente chiesto di contribuire alla sua monografia principale nel 2017 e ha sempre visitato il New Museum quando era in città. L’abbiamo invitata, infine, a fare questa mostra nell’estate del 2022. Spesso prepariamo le mostre e iniziamo a pensarle prima di contattare gli artisti, c’è una sorta di periodo di incubazione e poi entriamo in produzione in tempi relativamente brevi».
SC: Come si inserisce questo progetto espositivo nella mission del museo?
MG: «Il New Museum è sempre stato un’istituzione molto impegnata nei confronti del lavoro delle donne artiste, fino a pochi anni fa, inoltre, era l’unico museo di New York progettato da un architetto donna ed è sempre stato diretto da donne. Da quando sono direttore artistico del museo, nel 2014, la maggior parte delle mostre personali sono state realizzate da artiste donne, e questo è stato molto naturale semplicemente perché oggi ci sono molte grandi artiste al lavoro. Per tutti questi motivi, quindi, aveva perfettamente senso lavorare con Judy. La complessità e la vastità del suo lavoro e il fatto che inspiegabilmente non abbia mai avuto una grande mostra personale a New York sono stati i motivi fondamentali per cui abbiamo pensato che fosse importante dedicarle un ampio progetto espositivo. Siamo specializzati nell’offrire la prima mostra personale newyorkese (e spesso anche la prima americana) agli artisti e questo vale sia per i giovani artisti emergenti sia per le grandi figure leggendarie, come Judy Chicago».
SC: Quali sono i punti principali della ricerca di Chicago che vengono approfonditi nel percorso espositivo?
MG: «È la prima e più completa indagine del suo lavoro, quindi è estremamente ricca e stratificata, intricata e spero bella. Ci sono alcuni punti che volevamo sottolineare. Innanzitutto, abbiamo cercato di mostrare quanto radicale e importante sia stato il suo lavoro negli anni ’60, ’70 e ’80, quando l’opera era in costante dialogo con molti artisti uomini che spesso ottenevano il riconoscimento che a lei veniva negato. Abbiamo posto l’accento sul fatto di riunire opere importanti degli anni Sessanta e Settanta che rendono Judy Chicago una figura fondamentale del movimento minimalista e della Land Art.
Abbiamo anche sottolineato e dimostrato l’importanza del suo lavoro come storica culturale, archivista, attivista, pedagoga e organizzatrice. Come molte donne artiste della sua generazione – e in modo simile a Faith Ringgold, un’altra leggenda vivente a cui abbiamo dedicato una grande mostra l’anno scorso – Judy Chicago non solo ha dovuto creare il proprio lavoro come artista, ma ha effettivamente dovuto reinventare completamente il mondo dell’arte in modo che il suo lavoro – e persino se stessa come artista e come donna – potessero trovare spazio in un ambiente che era inospitale per le donne. Ha dovuto diventare una professoressa, una storica, ha dovuto creare nuovi tipi di mostre, ha dovuto scrivere una quindicina di libri ecc.
Ha ricostruito efficacemente le istituzioni del mondo dell’arte in modo che il suo lavoro e quello delle sue colleghe potesse essere accettato. Nella mostra non presentiamo solo la sua arte, ma anche il suo lavoro di organizzatrice di mostre, di archivista, di promotrice e di intellettuale.
Ci siamo concentrati, inoltre, sui suoi cicli di produzione artistica e sulla sull’ampiezza della sua opera. Ho menzionato il suo lavoro minimalista e di Land art, ma abbiamo anche presentato una vasta selezione delle sue astrazioni “central core imagery” – per tutte queste serie, abbiamo la presentazione più completa mai realizzata – e la più estesa presentazione di opere di “Birth Project” e “Powerplay”, tra le altre».
SC: In che modo Judy Chicago ha contribuito attivamente alla realizzazione di “Herstory”?
MG: «È stato un dialogo, come sempre, ma c’è un’intera “mostra nella mostra” – che abbiamo intitolato “La città delle signore” e che riunisce circa 90 donne artiste attraverso i secoli, dal Medioevo fino agli anni Cinquanta circa – che è stata una stretta collaborazione tra Chicago e noi. Per questa mostra, Chicago ha progettato l’installazione che presenta i suoi striscioni “Female Divine” del 2019 e un tappeto su misura disegnato da Chicago insieme a nuove sculture in bronzo e a sorprendenti disegni della sua carriera che creano una scenografia che ospita opere d’arte, documenti e cimeli di artisti, scrittori, intellettuali di tutta la storia. Si tratta di un’installazione molto particolare – un'”introspettiva”, come mi piace definirla, o un museo personale – che funge anche da album di famiglia o da una sorta di atlante delle sue influenze e ispirazioni e da tributo a una sorellanza di artiste attraverso i secoli. Il dialogo con Chicago su questa parte della mostra è stato particolarmente speciale e abbiamo imparato molto da lei nello sviluppo di questo progetto».
SC: Può citare un paio di opere di Chicago che sono state raramente viste o esposte nei musei prima di questa mostra?
MG: «È una grande mostra e ce ne sono davvero molte. Tra i punti salienti credo di poter citare una galleria molto speciale sulla “Womanhouse”, un’installazione particolare che Chicago creò con i suoi studenti e amici a Los Angeles nel 1972: è una galleria piena di documenti inaspettati e di reperti molto particolari, insieme alla più grande presentazione di documentazioni fotografiche intorno a quella mostra che fu una combinazione davvero rivoluzionaria di scultura, performance, installazione. Abbiamo anche la più grande presentazione di opere del “Birth Project” e alcuni bellissimi materiali collaterali che spiegano il processo di produzione di quest’opera molto ambiziosa, realizzata con la collaborazione di oltre 150 ricamatrici».
SC: Che differenze si possono rintracciare – se sussistono – nella ricezione dell’opera di Chicago negli Stati Uniti e in Europa?
MG: «Chicago occupa un posto molto peculiare sia in Europa che negli Stati Uniti. È contemporaneamente una celebrità – viene letteralmente fermata per strada e riconosciuta dai passanti – e una figura ancora poco riconosciuta.
Per molti decenni è stata messa da parte dal mondo dell’arte mainstream, ma questo ha fatto sì che si creasse una sorta di seguito di cultori che è cresciuto sempre di più. È bello vedere come la sua determinazione e la sua dedizione nel creare un nuovo mondo dell’arte per sé e per molte altre donne l’abbiano portata a diventare una sorta di sacerdotessa dell’arte».
SC: Come sono stati selezionati gli “oltre ottanta artisti, scrittori e pensatori” che fanno parte della sezione “La città delle donne”, definita come “mostra nella mostra”? E da dove provengono le opere esposte e i materiali d’archivio di questa sezione?
MG: «”The City of Ladies” è stato uno dei miei progetti curatoriali più particolari. Sviluppata di concerto con Judy e con la collaborazione dei miei colleghi, in particolare di Gary Carrion-Murayari e Madeline Weisburg, è una mostra incredibilmente densa, con quasi 100 prestiti da tutto il mondo, tra cui una straordinaria Artemisia Gentileschi dagli Uffizi e l’unico manoscritto miniato superstite di Ildegarda di Bingen, anch’esso proveniente dall’Italia. Abbiamo veri e propri tesori nazionali e prestiti straordinari da musei come il Metropolitan, il MoMA, l’Art Institute di Chicago, lo Smithsonian, la Tate e molti altri. È davvero una grande celebrazione delle donne artiste attraverso 800 anni, con reperti eccezionali di artisti e scrittori come Hilma af Klint, Claude Cahun, Leonora Carrington, Emily Dickinson, Frida Kahlo, Dora Maar, Georgia O’Keefe e molti altri.
È stato un grandissimo onore poter riunire questi pezzi e una testimonianza dell’autorità che a questo punto Chicago esercita e della fiducia di cui il New Museum gode presso le istituzioni e i collezionisti di tutto il mondo. Ma è anche un’avventura che riflettere, perché questa bella riunione, questa “Città delle Donne”, non dovrebbe essere un’eccezione, ma la norma».