“Adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”. Adesso il mare è calmo. Io sono calmo. Nessun muscolo lavora. La tela dove mi trovo è tesa e leggera. Quando sento che sto per perdere l’autocontrollo, tento di raccogliermi, come un feto che ancora non conosce il perché si debba vivere, in silenzio per minuti, decine di minuti, ore brevi. Facendolo, riesco a riconoscere prima la situazione che mi porterà ad arrabbiarmi, e potrò gestirla meglio. Mai dimenticare però che ogni nuvola non è solamente il contrasto che ostacola la percezione della luce. La nuvola è un aggregato di minuscole gocce d’acqua o di ghiaccio in sospensione nell’atmosfera. Le nuvole sono come foglie cadute sul giardino. Se sono tante ostacolano il respiro della terra. Se non ci sono, alla natura manca la sua parte umana: la raffigurazione di una morte che potrà rinascere come humus. Siamo derivati. Sono un derivato da una decomposizione.
Conoscete la storia di una mamma e il giardino del figlio più grande? Lui viveva in una casa all’interno del quale vi era un grande giardino che lui stesso curava. Accanto a questa casa ve ne era un’altra più piccola, dove risiedeva la sua mamma. Un giorno, il figlio, mentre aspettava degli ospiti speciali, si preoccupò di sistemare il giardino prestando molta attenzione ad ogni dettaglio: strappando le erbacce, potando gli arbusti, rastrellando e spazzando meticolosamente con cura tutte le foglie secche. Mentre il figlio era impegnato a lavorare nel giardino, la mamma stette a osservarlo con interesse dall’altra parte del cancelletto che separava le case. Quando ebbe finito, il figlio stanco si mise ad ammirare il proprio lavoro. “Non è bello?” gridò alla mamma dall’altra parte del cancelletto. “Sì”, rispose Lei, “ma c’è qualcosa che manca. Aprimi il cancelletto e te lo aggiusterò”. Lentamente, la mamma si avvicinò al pesco al centro del giardino, lo afferrò per il tronco e lo scosse, facendo cadere i suoi petali in tutto il giardino. “Ecco,” disse la mamma sorridendo, “puoi riaccompagnarmi a casa adesso”.
Oggi è proprio una giornata perfetta, nudo sullo scoglio degli angeli, tra i miei capelli una brezza, e poi, più tardi, quando farà buio, tornerò a casa. Questa è proprio una giornata perfetta per ascoltare le mie debolezze, per avvertire quanto la mia pelle sia ancora poco aderente con lo spirito, e poi, più tardi, tornerò a casa e mi farò da mangiare. Oh, si è proprio una giornata imperfetta! I problemi non vengono messi da parte. Siamo dei turisti invitati a fare un tentativo di vita in un pianeta, ed è così divertente.
I giorni perfetti sono coloro che inneggiano all’imperfezione. La bellezza è nelle cose non permanenti e incomplete. È la bellezza delle cose modeste e umili che porta ad un ragionamento. Ad uno sviluppo. Lo sperone di roccia vi sembra sproporzionato? Le mie mani sono troppo grandi? Il pittore Jean-Hippolyte Flandrin mi ha guardato bene?
Passare la mia vita nel peccato e nella sofferenza non farà di me una foglia da spazzare via. Giusto?