Spazio Taverna e WAR (Warehouse of Architecture and Research) hanno selezionato dieci artisti e dieci studi di architettura under 40, invitandoli a produrre un’immagine potente, capace di raccontare in maniera simbolica l’immaginario della Roma del futuro e di metterla a disposizione della collettività: i risultati sono in mostra su dieci porte monumentali lungo le Mura Aureliane
“Roma è una città interrotta
perché si è cessato di immaginarla
e si è incominciato a progettarla (male)”
G. C. Argan, 1978
Nel 1978, Piero Sartogo immagina ed espone ai Mercati di Traiano, Roma Interrotta, mostra sostenuta dall’Associazione Incontri Internazionali d’Arte di Graziella Lonardi Buontempo. Due nomi che, già all’epoca, si distinguevano per la straordinaria attenzione alla promozione delle sperimentazioni più coraggiose e innovative sull’arte e l’architettura contemporanee, soprattutto a Roma. Per l’occasione, dodici architetti tra i nomi internazionali più prestigiosi, sono intervenuti sulla famosa pianta di Giovanni Battista Nolli del 1748 per immaginare una nuova Roma, moderna e attuale, cancellando secoli di speculazione e cattiva progettazione.
A distanza di decenni, l’esigenza da cui quell’iniziativa ha preso le mosse, risulta essere ancora urgente e insoddisfatta. Nella sua storia, Roma ha visto fasi di crescita e contrazione di tipo organico, come scriveva Paolo Portoghesi nello stesso catalogo di Roma Interrotta, in totale sintonia con la sua identità, poi ha smesso di essere immaginata coerentemente con il suo genius loci. Ad oggi, come nel 1978, è necessario riprendere quel discorso interrotto per garantirle linfa vitale e prospettive future. Il progetto Le 10 porte del futuro parte da qui.
Spazio Taverna ha selezionato dieci artisti e WAR (Warehouse of Architecture and Research) dieci studi di architettura, tutti under 40, invitandoli a produrre un’immagine potente, capace di raccontare in maniera simbolica l’immaginario della Roma del futuro e di metterla a disposizione della collettività. Le loro idee si sono concretizzate nella stampa di venti stendardi affissi a coppie su dieci porte monumentali lungo le Mura Aureliane. Gli artisti, tutti romani o residenti a Roma, posizionati all’esterno per proiettare un’immagine della città originale che da dentro si espande idealmente verso tutte le direzioni. Gli studi di architettura, provenienti da città italiane attraversate dalle vie consolari che partono dalle porte assegnate, sono collocati all’interno e portano nel cuore dell’urbe la visione inedita di chi Roma la vede da fuori.
Ne è emerso un grande esercizio collettivo e critico volto a scoprire se il terreno è ancora fertile. Un’opportunità per Roma di pensarsi diversa e di spiegarsi con nuovi linguaggi contemporanei che le appartengono, in continuità e non in mimesis con la memoria viva che la alimenta e senza lasciarsi paralizzare dal passato.
Per questa ambivalenza e duplicità d’intervento, la scelta di agire sulle porte è quanto mai significativa. Oltre ad essere un luogo con cui la Storia dell’Arte si è già confrontata – vedi l’audace intervento di Christo su porta Pinciana in occasione di Contemporanea esattamente cinquant’anni fa – rappresenta un elemento di separazione e di connessione allo stesso tempo, una soglia tra dentro e fuori, tra antico e nuovo. Il suo essere fisicamente e letteralmente al limite rende tutto possibile e da porte diventano portali. Le architetture solide ed eterne di porta Pinciana si smaterializzano nell’immagine di Atelier Remoto e Flavia Saggese, in cui Roma scompare e ricompare, scomposta e ricomposta, in una combinazione tra forma, struttura e paesaggio, come spiegano gli stessi architetti. Ragionando per assurdo, Roma è Venezia nel progetto visionario e provocatorio di Andrea Tabocchini: se masse di turisti transoceanici attraversano la penisola da Nord a Sud in pochissimo tempo, allora la loro percezione si confonde, le distanze e le differenze si cancellano e l’acqua della Fontana di Trevi non è poi così diversa da quella dei canali di Venezia. WAR propone la propria idea di città come un tavolo da gioco o una scrivania di progettisti, dove gli elementi in campo si muovono e entrano in relazione molto spesso in maniera inaspettata e involontaria come accade nei sogni. Mettendosi alla prova, Leonardo Magrelli ipotizza un’archeologia del futuro, portando alla luce, sotto forma di reperti, oggetti comuni e familiari. Federica di Pietrantonio ripensa la Fontana delle Naiadi ribaltando il rapporto tra umano e animale, suggerendo un futuro relazionale e non di predominio. Dall’unione di due espressioni tipicamente romane, “res novae” e “nun t’aregge”, Alice Paltrinieri lancia un invito alla città a sfidare sé stessa ad accogliere le “cose nuove”. Queste sono solo alcune delle venti opere diffuse, ma che condividono con tutte le altre l’ambizione, l’originalità, il gioco di nuova narrazione contemporanea necessaria.
Artisti e architetti hanno la capacità visionaria e progettuale indispensabile per anticipare il futuro e portarlo davanti agli occhi della società. Dare spazio alle loro visioni e alla loro ricerca vuol dire offrire uno strumento di orientamento e comprensione della complessità del tempo che viviamo e dare profondità e lungimiranza a quello che vogliamo costruire. L’auspicio è che Le 10 porte del futuro non sia solo una mostra, ma una premessa di un impegno e uno sviluppo coerente e vitale come lo avevano immaginato Piero Sartogo e Graziella Lonardi Buontempo.