Le sculture di Giovanni Balderi sembrano, per dirla con Pindaro, il “sogno d’un ombra”: orme impalpabili di un’umanità fatta di luce. Ne parliamo in questa trentaseiesima puntata di Progetto (s)cultura.
Quando e come hai scoperto la scultura?
La scultura per me è stata frutto del destino. Avevo quattordici anni ed ero in vacanza in montagna a casa di mio nonno in alta Versilia. Mi divertivo a scolpire con attrezzi rudimentali una piccola scultura in marmo. Il caso volle che nello stesso paesino trascorresse le vacanze un certo Ledo Tartarelli, un bravissimo maestro ornatista di Pietrasanta in pensione. Passando a salutare mio nonno, vide quella piccola testa e chiese chi vi stesse lavorando; mio nonno gli disse: “è mio nipote che si diverte e fa una gran confusione tutto il pomeriggio”. Ledo, per tutta risposta, mi propose di andare a “bottega” da lui per imparare. Non me lo feci dire due volte. Felicissimo iniziai i primi passi verso la scultura come si faceva un tempo. Ho avuto così la fortuna di incontrare un maestro, una persona con dei valori e con tante storie da raccontare. Il suo studio era un crocevia di artigiani ed artisti. Era un ambiente bellissimo, carico di passione, orgoglio e poesia. C’era una storia importante che passava di mano in mano, di occhi in occhi. Il “mestiere” era una cosa da praticare e tramandare con grande fierezza.
Quali altri ricordi conservi della tua formazione?
Terminati gli studi all’Istituto d’Arte, proseguii con Enzo Pasquini, un altro maestro scultore del classico, manierista e allievo di Leone Tommasi. Insomma: mi sono formato con artigiani scultori che ti facevano sentire fiero di far parte di una categoria oggi troppo spesso sminuita e sottovalutata. Dopo la pratica presso questi maestri, ho proseguito in diversi laboratori come lo Studio Sem e Giannoni, di Pietrasanta, dove andavo part time, per mantenermi e finanziare un mio approccio personale alla scultura. In questi laboratori, oltre a riprodurre opere classiche e neoclassiche, si realizzavano anche opere per artisti contemporanei; così ho avuto modo di incontrare alcuni di loro e di stringere rapporti di collaborazione. Il nostro è stato un confronto importante. Alcuni di loro mi hanno lasciato il segno. Ricordo Knut Steen, Ralph Brown, Ugo Riva, poi diventato anche un caro amico, Helaine Blumenfeld, Igor Mitoraj e molti altri… Ogni artista era diverso, con il proprio carattere e il proprio stile, ma ad appassionarmi di più erano quelli che mostravano un’attrazione e un coinvolgimento emotivo con l’opera. Non perdevo occasione di scambiare idee e di fare esperienza con artisti di ogni genere, cogliendo così l’opportunità di viaggiare e visitare musei e atelier, quasi in tutto il mondo. Pietrasanta è sempre stato un crocevia di artisti provenienti da ogni dove.
Non hai mai pensato di lasciare la Versilia?
Ogni giorno, da sempre, penso che il paradiso sia altrove. Ma la scultura in marmo ha bisogno di cave. Necessita di attrezzature e di tutta una logistica particolare per la movimentazione dei blocchi che sono difficili da trovare in altri luoghi; così, un po’ per comodità, un po’ perché sono comunque molto attaccato alla mia terra, alle mie origini, sono sempre rimasto in Versilia, un luogo di riferimento lavorativo solido e affidabile, pur con le sue difficoltà. Ciò non toglie la possibilità di viaggiare e di guardarsi intorno.
Le tue sculture hanno una levigatezza, una pulizia che sa di antico. Guardi molto ai maestri del passato…
Sì. Per me guardare ai classici greci è una fonte di ispirazione meravigliosa e anche una sfida. Riuscire a riprodurre le loro opere è stata anzi, da apprendista scultore, la prima vera sfida da superare. E se oggi ha poco senso riprodurre in chiave manieristica opere classiche, dal momento che i valori e lo spirito che esse incarnavano non sono più gli stessi, ciò nulla toglie alla grandezza direi inarrivabile della tecnica scultorea con cui sono state realizzate. Nessuno è in grado di replicare tale bellezza e perfezione plastica.
Farlo sarebbe una farsa da inesperti: si creerebbero soltanto brutte interpretazioni, senza produrre niente di nuovo.
Quello che ho perseguito io, in certe opere, è il tentativo di indagare una bellezza di rapporti e di armonie in funzione di uno stato d’animo; una bellezza intesa come mezzo e non fine, per rappresentare una certa spiritualità o energia che sento, cercare un’architettura della forma che si adagi sui sensi, su un sentire, più che un’idea razionalizzata. I veli devono rivelare una visione che nega l’accesso ad un oltre. È questo uno stato d’animo che si manifesta mentre lavoro e delego all’intuizione la visione vera e propria, costringendomi a penetrare dentro il blocco, facendo sì che il caso sia parte del percorso creativo. Catturare qualcosa che non mi appartiene, fuori da me, divenendo tramite o ponte e non protagonista di ciò che rappresento. La tecnica è serva di un “sentire” la forma che dialoga attraverso la materia.
E tra i contemporanei, chi sono, se vi sono, i tuoi riferimenti?
Nessuno, non ho riferimenti di ispirazione esterni. Mi sento più un paesaggista dell’anima, pur ammirando tanti artisti contemporanei che usano linguaggi totalmente diversi dal mio.
Prediligi forme armoniche, scandite da rapporti musicali. Eppure, a mio modo di vedere, l’assenza
apparente di pathos è indicativa di una tensione che, in quanto negata, è più potente di quanto si possa immaginare.
Credo tu abbia colto un aspetto davvero importante. Spesso cerco di realizzare un’armonia di forma che contenga sogni e un’evocazione percepita, che dia un senso di leggerezza e bellezza, pur non rinnegando anche un lato che vive e percepisce una tensione interiore forte e coinvolgente, che prende corpo in alcuni disegni. L’immersione nel disegno a volte è più veloce e le emozioni fluiscono più di getto, un’istintiva rabbia per una condizione umana di fragilità e castigo, dominata da forze che ci guidano nei nostri passi. Mi sembra a volte di essere prigioniero di un tempo non chiesto e di un corpo a scadenza. Nella scultura, forse per il tempo necessario a plasmare il marmo, si può trasformare in amore e bellezza una rabbia, un conflitto e una lotta interna, approdando a uno stato di ascolto più dolce, visionario, dove il tempo è amico. Forse nelle forme che nascono si manifesta l’anima, o quella scintilla che ci accende la luce negli occhi.
Un’altra arte che trovo molto vicina al tuo lavoro è la fotografia, soprattutto la fotografia in bianco nero. Tu stesso firmi spesso le foto delle tue opere. Ciò forse succede perché le opere, come le foto, sono tutte giocate su contrasti chiaroscurali, e in esse conta pochissimo il volume.
Il volume è tutt’altro che di poco valore, per me è la base fondamentale di espressione e di qualità della scultura.
Ci mancherebbe! Intendevo dire solo che le tue opere, pur voluminose, sembrano leggere. Si dissolvono, come accade in certe foto, in mille sfumature musicali.
La fotografia è sicuramente un passaggio importantissimo, che fa della luce il suo strumento principe. Posso creare un’ulteriore visione dell’opera e del messaggio che ho voluto trasmettere. Con la fotografia posso portare la visione ancora più avanti e vicino al punto di intuizione incontrato nel momento in cui creavo. Per questo le illuminazioni delle opere sono fondamentali; si può far vivere una stessa scultura in infiniti modi diversi.
L’ultima arte, ma non per importanza, che mi viene spontaneo accostare al tuo lavoro è la poesia. Le tue Presenze sembrano, per dirla con Pindaro, il “sogno d’un’ombra”: orme impalpabili di un’umanità fatta di luce.
Mi piace trovare direttamente nel marmo le mie forme, mi lascio andare ad un flusso che mi guida e ispira. Le mie sono forme più sentite che viste, e così anche per me diventano una scoperta. Non mi interessa scolpire quello che già conosco, mi piace andare oltre e trovare cose nuove. Spesso mentre scolpisco un marmo la mente vola altrove. Alcune volte, se ho lo stato d’animo giusto, mi vengono pensieri che cerco di fermare subito su un foglio, perché poi spariscono, li dimentico. È un po’ come descrivere lo stato d’animo che mi attraversa ma che è una cosa diversa dalla scultura che realizzo. Sono riflessioni su altro, una visione nitida di un viaggio che va solo raccontata.
Parliamo del processo. Come ti accosti alle tue sculture, dall’idea alla realizzazione finale? Ho letto da qualche parte che non sei solito ricorrere a bozzetti preparatori…
Esatto. Non realizzo bozzetti preparatori in creta o altro materiale né disegni. Scelgo un blocco di marmo che mi ispira, poi inizio a lavorare. Non si torna indietro, si va solo avanti e questo dà già una misura e un passo diverso al lavoro. Nel dialogo con il marmo intuisco forme, assecondo il materiale rispettandone la natura, i pregi e i difetti; mi lascio suggerire dalla sua consistenza cosa può dare e dove può arrivare. Ogni blocco è diverso per forma e caratteristiche; mi piace che ogni approccio diventi una sorta di abbraccio di amore tra me e il blocco.
Parli del marmo come fosse vivo!
Il marmo possiede un suo carattere. Tu sei il primo che tocca il suo interno mentre lo scavi, lo modelli, lo accarezzi. Devi rispettarlo e conoscerlo per ottenere il massimo da lui. Non bisogna mai lasciarsi prendere dall’ego, o da un virtuosismo fine a se stesso. Attraverso il marmo puoi scoprire molto di te, puoi scrivere poesie universali in una materia primordiale, nobile ed eterna. La pietra ha un fascino che incute rispetto in chi la guarda, anche se non si è esperti d’arte. Opere come la Pietà di Michelangelo o il Ratto di Proserpina del Bernini, di fronte cui ho pensato che un Divino esiste, sono uniche anche perché scolpite nel marmo. Secondo me, se fossero state realizzate in bronzo o in un altro materiale, non avrebbero la stessa magia. Serve passione e tanto amore per lasciare impressa su un blocco di marmo l’energia che dà senso alla forma. Per questa ragione creare un’opera d’arte direttamente in marmo è un atto molto personale.
Che cosa pensi degli scultori “filosofi” che fanno realizzare interamente a terzi le “loro” creazioni?
Considero scrittori coloro che scrivono e filosofi coloro che, pur essendo “consapevoli di non sapere”, hanno una cultura immensa; parimenti considero scultori coloro che scolpiscono. Non puoi delegare ad assistenti un atto creativo. Devi compierlo tu e faticare, soffrire, sognare e lasciarti ispirare da qualcosa che va oltre la semplice traduzione di un’idea. Per me fare arte è molto più che un’idea. Fare arte è divenire una cosa sola con la scultura. Non farei mai rifinire una mia scultura ad altri. Avere assistenti e aiuti tecnici delle macchine è accettabile e lecito, ma gli scultori sono un’altra cosa.
Un tuo pregio e un tuo difetto nell’arte e nella vita.
Difetti e pregi? Non mi faccio mancare nulla: ce li ho entrambi ma preferisco che siano gli altri a dirli.
Quale è l’opera di cui sei più soddisfatto?
Ne ho diverse di opere a cui sono legato, ma quella più bella di tutte è quella che non ho ancora realizzato.
E la mostra cui sei più affezionato?
Vedi la risposta precedente! [ride].
Che cosa pensi del sistema dell’arte italiano? Che trattamento riserva agli scultori “puri”?
Secondo la mia esperienza, portare avanti una personale ricerca espressiva e relazionarsi con il mercato dell’arte non è semplice, specialmente se sei un artista che ama l’arte e la intende come espressione di un’esigenza umana. Purtroppo questo è lontano dalle logiche di mercato. Arte e mercato dell’arte sono due amanti che si guardano, si influenzano, si amano e si odiano. Avere un’indipendenza economica è fondamentale per fare scultura, riuscire a finanziarsi attraverso le vendite è fondamentale. Spero che l’arte ritrovi il suo trono fatto di cultura e di coinvolgimento emotivo, di confronto culturale di valori che portano con sé punti di indagine della condizione umana e sociale, verso un sempre maggiore benessere collettivo di consapevolezza e armonia. Mai come adesso ne avremmo bisogno. L’arte andrebbe spiegata meglio dagli artisti e non dai galleristi, che hanno comunque il difficile compito di avvicinare l’artista al pubblico ma a volte influenzano troppo sia l’artista che il pubblico limitando le libertà di espressione e gusto di entrambi per comprensibili e logici motivi di mercato.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Adesso mi sto dedicando a due eventi: una personale a Pietrasanta, visitabile da fine agosto in uno spazio espositivo del Credito Cooperativo della Versilia e un’altra personale a Torino, a Palazzo Bricherasio, da settembre a gennaio 2025. La prima mostra l’ho chiamata “Tempo sospeso” e la seconda “L’eco dell’anima”. Ecco, mi ritrovo molto in queste due condizioni mentali ed emotive.