Nel brillante spazio romano in mostra cinque opere delle artiste Giulia Apice, Prisca Baccaille e Alice Papi, metabolizzate dal testo critico di Laura Catini
“L’indole creativa non tollera, né subisce il confine della forma, e lo reinventa”. Con queste parole Laura Catini introduce nel puntualissimo testo critico i contenuto della mostra “Defending the demons of self interpretation”, appena inaugurata negli spazi romani di Curva Pura. Si tratta di una tripersonale delle artiste Giulia Apice, Prisca Baccaille e Alice Papi, curata da Andrea Romagnoli. Ed i protagonisti – fino al 19 novembre – sono cinque dipinti, approcci diversi ma capaci di tratteggiare un coinvolgente percorso visuale. E di riaffermare l’ottimo stato di salute vissuto oggi dalla pittura, specie – ed è l’aspetto notevole – nelle giovani generazioni.
Ne è testimone la recentemente allestita mostra del Premio Cairo, a Milano. E ne è testimone – mi si perdoni l’autocitazione – la grande mostra “Le Diable au Corps”, dal sottoscritto curata (assieme a Daniele Capra) negli spazi del BonelliLab di Canneto sull’Oglio. Con dodici artisti mediamente fra i 27 e i 35 anni. Qui – torniamo a Roma – siamo davanti a due ventisettenni e una trentaduenne.
La dualità
Il dialogo creato dalle artiste a Curva Pura “stimola una riflessione sulla dualità della condizione umana: la tensione tra l’astratto e il concreto, tra il visibile e l’invisibile”, si legge nella nota di presentazione. Con le opere astratte di Papi e Baccaille che si affidano all’evocazione per trasmettere al riguardante emozioni, dubbi e spiragli di luce. “È sintesi del principio di un errore, in cui lo sposalizio tra il nero e il giallo ha originato, nella realizzazione sul piano verticale e orizzontale dello spazio di lavoro, la ferrea geometria della diagonale netta della corda di arrampicata, metafora visiva della caduta”, scrive Catini del grande dipinto Sventato avvicinamento al celeste di Alice Papi.
Prisca Baccaille “iscrive una produzione che trae il suo primordio da una ricerca, in cui l’andamento orizzontale della pennellata pittorica – che segna un infinito di tormentato accesso – si affianca a una narrazione della spazialità in superficie, per giungere alla coscienza dell’annullamento di un’estetica precostituita a priori”, nota ancora nel testo la giovane critica. Che riguardo a Giulia Apice sottolinea come “l’operato maturo, dalle prime geometrie irregolari e fluide, si consolida nella figura umana, mai canonica e incessantemente fluida nella sua metamorfosi”.