Dal 24 ottobre 2024 è in proiezione nei cinema italiani il nuovo film di Paolo Sorrentino: Parthenope.
Il comandante: Sei nato nel posto più bello del mondo e vuoi andartene?
Raimondo: Come si fa a essere felici nel posto più bello del mondo?
Il film si sviluppa secondo un lineare ordine cronologico: quello della vita di Parthenope, donna su cui incidono due fondamentali fattori: essere nata a Napoli (nel mare di Posillipo), ed essere dotata di straordinaria bellezza. Entrambi esercitano un potere decisivo sul suo destino, condannandola a un ricorrente catarsi estetica; un’esperienza di cui la protagonista è partecipe per volontà della sua bellezza, che la fa cadere in differenti campi magnetici: innanzitutto le attenzioni dei suoi coetanei per una prevedibile attrazione fisica, ma anche gli interessi di intellettuali, di ricchi uomini e del mondo dello spettacolo.
La bellezza di Parthenope (e in essa dobbiamo sempre leggere l’ombra dell’intera città), non si esaurisce nell’avvenenza fisica, bensì nell’esercizio della stessa bellezza attraverso la profondità d’animo a cui il mare l’ha educata (il mare costituisce il costante orizzonte dell’azione). Parthenope non è al servizio della suo potere attrattivo, e non lascia ad esso tessere il proprio destino, ma si oppone e lo esercita (concedendosi) come espressione necessaria di un’estasi geneticamente intellettuale.
In questa grande metafora carnale la bellezza (e il sesso) non sono banalizzati, ma al contrario si rivelano una conquista faticosa, non prevedibile. Il fascino dominante della natura, del Golfo e delle sue connessioni visive (ed emotive), dell’architettura costiera di Posillipo tra edifici tardo barocchi e neopompeiani, il fascino mefitico dei vicoli più miseri, delle distanze ravvicinate, di corpi vicini e nudi, del degrado, dell’artificio, dell’ostentazione; sono tutte nozioni di bellezza mai riducibili in immagini, ma consumate nell’incessante pensare di Parthenope in un tempo lento e riflessivo, per imparare a vedere.
Il finale toglie il fiato, perché di disarmante normalità: i culmini epici della epopea sensuale e appagante a cui abbiamo assistito si rivelano in realtà il passato giovanile di una vita ordinaria, quella di Parthenope, docente di antropologia all’università di Trento originaria di Napoli, che ritroviamo settantenne in chiusura. È già tutto finito.
Quelle ammalianti visioni attraverso la città, i suoi quartieri, la sua società, le sue consuetudini, i suoi riti, si dimostrano in realtà esito del filtro fantasioso della memoria, indicando un panorama mitologico tutto interno alla stessa protagonista. Ci è difficile capire quanto rimanga di vero in quelle sensuali visioni, degli idilli e dei dolori; e quanto invece appaia esasperato dal ricordo. È il poema di una bellezza vivificante e logorante, autentica e non di consumo; ma soprattutto mai gratuita. Nel suo stesso rivelarsi, ogni scena muore e imputridisce, soprattutto quelle d’amore, alimentando costantemente la decomposizione della grande carcassa di Napoli, che di “amori morti” vive.