A omaggiare la figura di William Hamilton e della sua seconda moglie, Emma Lyon (1765-1815), è la mostra intitolata Sir William e Lady Hamilton, allestita nelle sale delle Gallerie d’Italia–Museo di Intesa Sanpaolo, a Napoli, in via Toledo 177, curata da Francesco Leone e Fernando Mazzocca, fino al 2 marzo 2025.
Quando giunse a Napoli nel novembre del 1764 insieme alla moglie Catherine Barlow (1738-1782), con la prestigiosa carica di Inviato Straordinario di Sua Maestà Britannica, William Hamilton (1730-1803) non avrebbe mai immaginato che vi sarebbe rimasto per quasi trentacinque anni, fino al dicembre del 1798. In poco tempo si innamorò di Napoli e la residenza di Palazzo Sessa a Pizzofalcone divenne il centro culturale della città. Vi passarono tutti i personaggi più importanti presenti in quegli anni, da Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) a Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) e Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), dal futuro zar di Russia Paolo I (1754-1801) a William Beckford (1760-1844), che fu al capezzale di Catherine quando si spense nel 1782.
A omaggiare la figura di William Hamilton e della sua seconda moglie, Emma Lyon (1765-1815), è la mostra intitolata Sir William e Lady Hamilton, allestita nelle sale delle Gallerie d’Italia–Museo di Intesa Sanpaolo, a Napoli, in via Toledo 177, curata da Francesco Leone e Fernando Mazzocca, fino al 2 marzo 2025.
Palazzo Sessa fu un luogo di meraviglie e il teatro dei molti interessi con cui Hamilton volle riempire ogni singolo giorno trascorso in terra partenopea: l’amore per l’antico testimoniato da due leggendarie raccolte di vasi greci, la prima fu venduta al British Museum e pubblicata dal barone Pierre-Francois Hugues d’Hancarville (1719-1805) in una splendida edizione illustrata, che è tra le più significative dell’editoria del Settecento; il collezionismo di pittura antica; la promozione degli artisti; l’ossessione da naturalista per le eruzioni del Vesuvio (di cui restano i volumi straordinari dei Campi Phlegraei); la contemplazione degli indimenticabili scenari del golfo, di cui possedeva decine di dipinti commissionati ad artisti, sia napoletani, sia stranieri, che determinarono un nuovo corso per la pittura di paesaggio europea. Nel 1786, la sua vita cambiò radicalmente per un evento inaspettato: l’incontro con Emma Lyon. Si sposarono nel 1791, ed Emma divenne una figura leggendaria, famosa per le sue “attitudes” e ritratta dai maggiori pittori europei che ne immortalarono le sue memorabili performance.
Ad accogliere i visitatori nel percorso espositivo sono i ritratti di Hamilton che ci restituiscono non tanto l’ufficialità dell’ambasciatore, ma le sue ambizioni di collezionista, la dimensione dell’uomo di mondo reso in tutta la sua eleganza. Egli affidò la sua immagine al ritratto emblematico commissionato a Joshua Reynolds (1723-1792), realizzato nel 1776. E’ raffigurato nella propria residenza napoletana con il Vesuvio sullo sfondo e alcuni pezzi della sua collezione, mentre mostra il volume su cui furono riprodotti gli amati vasi greci. Questi dettagli sono visibili in un altro dipinto di Reynolds, mediante incisione, dove Hamilton è immortalato insieme ai membri della Society of Dilettanti, che riuniva i protagonisti del Grand Tour: compare con le insegne dell’antico e prestigioso Ordine del Bagno. Di particolare bellezza è quello dell’artista George Romney (1734-1802), dove risalta la sua caratteristica fisionomia dominata dallo sguardo penetrante e dall’inconfondibile naso aquilino, come nei profili visibili nei manufatti in basalto e terracotta.
DALLA RESIDENZA DI HAMILTON: VEDUTE SU NAPOLI E IL GOLFO
La presenza di Hamilton a Napoli favorì il rinnovamento della veduta e del paesaggio, grazie alla promozione di alcuni specialisti di questi generi e al diverso approccio di impronta illuminista, con cui il diplomatico ha indagato il mondo naturale. I pittori Pietro Fabris (1740-1792) e il genero Saverio Della Gatta (1758-1828), coniugarono con spirito nuovo la realtà napoletana agli elementi del pittoresco, in voga nei codici settecenteschi. Artisti come Giovanni Battista Lusieri (1755-1821), Thomas Jones (1742-1803) e John Robert Cozens (1752-1797) elaborarono una nuova concezione della pittura en plein air che avrebbe anticipato l’Ottocento.
Fu grazie a Lusieri, operativo a Napoli dal 1781-1782 al 1799, che Jones, in città dal 1780 al 1783, entrò nelle grazie di Hamilton, a cui si aggiunse Cozens. Il diplomatico convinse la regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena (1752-1814), a realizzare un giardino all’inglese nel parco della Reggia di Caserta, il cui impianto originale è documentato nel dipinto visibile in mostra di Jakob Philipp Hackert (1737-1807).
EMMA HAMILTON. METAMORFOSI DI UNA DONNA LEGGENDARIA
Per la posizione che ha sempre occupato nell’immaginario popolare, la seconda moglie di Hamilton, Emma, è diventata una vera leggenda grazie alla letteratura e al cinema, che ha privilegiato la sua controversa relazione con l’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805). L’immagine di questa donna bellissima, intraprendente e di enorme fascino, è stata alimentata dai più celebri pittori del tempo che, ritraendola, ne hanno fatto la loro musa ispiratrice. Primo fra tutti, l’artista Romney, che ha avuto con lei una lunghissima relazione patrocinata da Charles Greville (1749-1809), il nipote di Hamilton di cui era stata l’amante. Il pittore l’ha rappresentata in diverse fogge e nelle sembianze di figure mitologiche, Emma Hart come circe ed Emma Hart come filatrice, in ben centoquattordici ritratti eseguiti in due fasi tra il 1782 e il 1791.
Emma ispirò alcuni dipinti, tra cui Emma come Sibilla, di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein (1751-1829), che rimase affascinato, come l’amico Goethe, dalle sue esibizioni sceniche, le cosiddette “attitudes”, dove assumeva eleganti movenze ispirate alle figure degli antichi vasi. La loro riproduzione in incisione la rese ancora più famosa, facendone una fonte da cui attingere anche per la recitazione e la danza contemporanea.
LA PASSIONE E IL GUSTO DELL’ANTICO TRA ARCHEOLOGIA E MANIFATTURE
Nel dipinto La biblioteca di Charles Townley, di Johan Zoffany (1733-1810), dove sono rappresentati i pezzi più significativi della collezione Townley, compaiono insieme al proprietario, amico di Hamilton, l’amato nipote dell’ambasciatore Charles Greville e il barone d’Hancarville. A quest’ultimo, Sir William affidò l’incarico di realizzare i magnifici volumi delle Antiquités Etrusques, Grecques et Romaines, visibili in mostra, che riproducevano i vasi dipinti della sua raccolta venduta nel 1772 al British Museum, convinto che queste testimonianze della pittura antica potessero essere di utile esempio per gli artisti contemporanei.
Le Antiquités ebbero una influenza decisiva sia nell’ambito della decorazione, sia nelle manifatture, come nel caso della celebre fabbrica di porcellane e ceramiche Ercole nel giardino delle Esperidi, diretta da Josiah Wedgwood (1730-1795). La traduzione dal modello avveniva con l’intermediazione dello scultore e illustratore John Flaxman (1755-1826), impegnato come modellatore. Una passione incontenibile portò Hamilton a formare una collezione di vasi ancora più vasta che fece pubblicare in quattro volumi, più economici dei precedenti, grazie alle incisioni a semplice contorno e non colorate. Esse restano una preziosa testimonianza della raccolta, andata perduta nel naufragio della nave che doveva trasferirla nel 1798 in Inghilterra.
LE SCOPERTE DI PAESTUM E POMPEI
Nel Settecento, Napoli acquistò importanza per la conoscenza della civiltà e dell’arte dell’antichità pari a Roma, non solo per la presenza di luoghi magici ed evocativi, come i resti del tempio della Fortuna a Marechiaro o di quello di Serapide a Pozzuoli, ma, soprattutto, grazie a una serie di straordinarie scoperte, destinate a rivoluzionare la tradizione. L’enorme impressione suscitata nell’opinione pubblica europea dal recupero delle due città di Ercolano e Pompei era dovuta al fatto che gli antichi edifici decorati da magnifiche pitture e una enorme quantità di oggetti di ogni tipo, restituivano una visione del mondo antico molto diversa rispetto a quella fino ad allora tramandata. Altrettanto entusiasmo provocò il ritrovamento delle imponenti e intatte rovine dei maestosi templi dorici che giacevano nell’area dell’antica Paestum, un tempo invasa dalle paludi e dalla vegetazione e, successivamente, bonificata e resa accessibile. Una serie di vedute, Tempio di Atena e Interno del tempio di Poseidone a Paestum, di Antonio Joli (1700-1777) e, riproduzioni in legno e sughero, destinate alla corte e ai collezionisti stranieri, rivelarono la bellezza delle grandiose vestigia della stessa civiltà della Grecia antica che aveva prodotto anche i vasi antichi.
L’ESPLORAZIONE DEL VESUVIO E DEI CAMPI FLEGREI
Il Vesuvio si risvegliò nel settembre del 1765. Immediatamente Hamilton iniziò le sue ascese sul vulcano, intraprendendo una serie di osservazioni sistematiche che interessarono anche i Campi Flegrei, le Eolie e l’Etna. L’esito di questi studi di carattere scientifico avvenne con la pubblicazione dei due volumi in folio dei Campi Flegrei, impressi a Napoli nel 1776. Direttore dell’impresa fu Fabris, a cui spettano le gouaches prototipo delle cinquantaquattro incisioni che illustrano i volumi, a cui si aggiunge una carta topografica del golfo di Napoli posta in antiporta del primo volume. In ogni esemplare, le incisioni furono colorate a mano, grazie ad un lavoro di gruppo. Nel 1779, Hamilton fece pubblicare un Supplement to the Campi Phlegraei, con le osservazioni sull’eruzione del Vesuvio dell’agosto di quell’anno. Il volume fu arricchito da cinque tavole tratte da gouaches di Fabris. Anche l’artista Joseph Wright of Derby (1734-1797), a Napoli, tra ottobre e novembre del 1774, nel suo dipinto, Il Vesuvio in eruzione con le isole del golfo di Napoli, osservò il vulcano con gli occhi dell’uomo di scienza, rispetto ad altri, come Louis Jean Desprez (1743-1804), in Eruzione del Vesuvio, che ebbe invece un approccio più pittoresco. Nel contrasto suggestivo tra le effusioni di lava e il chiarore della luna, il grande dipinto di Wright of Derby, ci restituisce una dimensione lirica.
LA CORTE E LA SOCIETÁ
Sir William e Lady Emma Hamilton sono stati i personaggi più influenti di Napoli negli ultimi trenta anni del Settecento, registi di una mondanità che ha consentito loro di restare sempre molto vicini alla famiglia reale, rappresentati nell’ultima sala della mostra dai ritratti realizzati da Angelika Kauffmann (1741-1807) e da un rarissimo gruppo in biscuit, in cui Ferdinando IV (1751-1825) e la regina Maria Carolina, insieme ai figli, sono raffigurati sotto l’egida di Carlo III di Borbone (1716-1788), a cavallo.
Tra le passioni di Hamilton c’erano anche il mare, il nuoto e la caccia. Nella bella stagione spesso si recava in comitiva per pranzare e trascorrere il pomeriggio con amici, tra danze e canti popolari nella casa di Posillipo, da lui ribattezzata Villa “Emma”, in onore della moglie. E’ stata però la caccia, come ricostruisce bene il romanzo The Volcano Lover, di Susan Sontag (1933-2004), la passione che più di ogni altra ha unito il diplomatico a Ferdinando IV. Con il re si trovava spesso nelle residenze reali di Carditello e di Persano, e in lunghe battute di caccia nelle terre selvagge dell’Abruzzo. Il grande dipinto Caccia al cinghiale a Persano sotto Ferdinando IV, di Tischbein, raffigurante il re e la corte, compaiono anche Hamilton e Lady Emma. E’ il ritratto della Napoli del periodo dell’Ancien Régime, che i venti della Rivoluzione stavano per spazzare via.