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Goya, ti amo

Pol Taburet, "Oh, si os pudiera escuchar / Oh, If I Only Could Listen"ph. Bibiana Ferro, Courtesy Fundacion Sandretto Madrid
Joana Vasconcelos, Perruque, © Juan Rayos, Courtesy Palacio de Liria
Per qualche giorno (o settimana) a Madrid, passata ARCO, una serie di mostre in cui un gruppo di artisti contemporanei, differentissimi, offrono il loro tributo all’immenso Francisco Goya

Curioso come, di anno in anno, un filo rosso variabile sembri accompagnare le mostre – piccole e grandi, che fanno da scenario esterno ad ARCO Madrid.
Quest’anno, le ispirazioni ufficiali dei “contemporanei” in scena in città, dai musei ai ritrovati spazi dell’architettura madrilena, sembrano essersi uniti in un tributo universale – talvolta più sottile, altre volte più dichiarato, a Francisco Goya (1746-1828), il Maestro spagnolo delle Pitture Nere del Prado.
E proprio i 14 murali dipinti dall’artista per la sua stessa casa di Madrid, sono stati il riferimento principale del giovane Pol Taburet, nato a Parigi nel 1997, e invitato da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo per un progetto inedito della Fundación Sandretto Madrid al Pabellón de los Exágonos. A cura di Hans Ulrich Obrist, “Oh, si os pudiera escuchar / Oh, If I Only Could Listen” è la quinta commissione madrilena della Fondazione, dopo Ian Cheng, Michael Armitage, Lucas Arruda e Precious Okoyomon (per il cui progetto, lo scorso anno, era stata riaperta la Montaña de Los Gatos nel Parque del Retiro). Anche in questo caso un place-specific, con dieci pitture e una serie di incisioni e disegni, che esplorano i temi della luce e dell’ombra, della vita e della morte, in un curioso sincretismo di immagini connesse anche all’immaginario della tradizione vudù che appartiene alle origini caraibiche dell’artista e che, in una forma assolutamente curiosa, si incontra-scontra con i mattoni in terracotta e l’architettura modernista del Padiglione, firmata dagli architetti José Antonio Corrales e Ramón Vázquez Molezún, che nel 1958 aveva vinto la Medaglia d’Oro all’EXPO di Bruxelles.
Un’esposizione mutevole che “trasformerà questo spazio in una creatura cangiante e sempre in trasformazione”, ha ricordato Patrizia Sandretto nell’affollatissima preview, alla presenza non solo dell’artista e di Obrist, ma anche del Sindaco di Madrid e della collezionista Isabela Mora, che da sempre sostiene la Fondazione nelle sue attività in Spagna e si fa carico della ricerca degli spazi cittadini da “occupare” e recuperare.
E in effetti le figure di Taburet, misteriche e ironiche, cupe e brillanti, dopo la disgraziata settimana di pioggia quasi incessante che ha accompagnato ARCO, probabilmente nei prossimi giorni (la mostra è aperta fino al 20 aprile) potranno vivere il loro autentico spettro (in molteplici significati) anche attraverso l’atmosfera e la luce del sole che entrerà dalle vetrate di questo curioso esempio di Modernismo Spagnolo, nell’area di Casa de Campo.

Pol Taburet, “Oh, si os pudiera escuchar / Oh, If I Only Could Listen”ph. Bibiana Ferro, Courtesy Fundacion Sandretto Madrid

Il Palácio de Liria – dimora del XIX Duca di Alba, abitato dalla storica famiglia (aperto al pubblico dal 2018, e forse non ancora particolarmente conosciuto dalla massa di turisti che affolla la Capitale spagnola), è invece il meraviglioso teatro di “Flamboyant”, un invito all’artista portoghese Joana Vasconcelos, senza dubbio la vincitrice di questa settimana dell’arte “out of ARCO” a Madrid. Di fatto, seguendo le grandi commissioni di Versailles (di cui Vasconcelos era stata protagonista nel 2012 – dopo Jeff Koons nel 2008, Murakami nel 2010, e prima di Penone nel 2013) crea nelle sale della dimora privata quello che serve anche ad una città durante la sua fiera: un’attrattiva spettacolare per tutti i gusti, in uno scrigno che ospita, in una serie di splendide sale, una delle più ricche collezioni private di arte classica spagnola: Rubens, El Greco, Zurbarán e, appunto, Goya.
Quello che apre Vasconcelos, da molti considerata eccessivamente pop, è una serie di curiosi rimandi alla storia, sociale e dell’arte, connettendo tempi e architetture, culture e “questioni politiche”, come un tempo erano i matrimoni e le vite private dei vari oligarchi delle corti europee.
Con il suo tono barocco monumentale, anche se la stessa artista ci tiene a ribadire che la sua pratica spesso si confronta com vere e proprie dimensioni ambientali, Vasconcelos dialoga con tutto quel che appartiene alla dimora, anche se si tratta non di opere site specific ma di riproposizioni in situ: dai volumi della biblioteca che ospitano il primo manoscritto in cui veniva raccontata la Carmen di Bizet (dove alberga il pianoforte – Piano Dentelle, 2016, intrecciato dei ricami dell’isola di Pico, nelle Azzorre, trasportando anche un perenne omaggio alle sue origini in giro per il mondo) ai ritratti di caccia degli arazzi, di leccornie e lusso, con le due aragoste Le Dauphin e La Dauphina, 2012, oltre alle produzioni realizzate, nel corso di varie commissioni, per Maison Dior.
Ma già che siamo sulle tracce di Goya vale la pena citare Wig (Perruque), grande opera del 2012 che era stata creata appositamente per la Sala di Mario Antonietta a Versailles e che qui, a proposito di parrucche, è stata allestita accanto al dipinto Il Ritratto della duchessa di Alba (194×130 cm) realizzato da Goya nel 1795.

Francisco Goya, Il Ritratto della duchessa di Alba (194×130 cm), 1795

«La Duchessa di Alba ha liberato i suoi capelli, e si mostra in un aspetto molto contemporaneo, in un atto di libertà e di identità. Non ha paura di essere chi è con i suoi capelli – ricorda Vasconcelos, che aggiunge: Essere vicina a Goya è un momento unico per la mia carriera, non capita spesso di essere accanto ad un pittore incredibile e al ritratto di una donna che lo è altrettanto. Una combinazione fantastica per quello che allora era un duetto, a cui ho aggiunto il mio contributo». Da non perdere, nel caso facciate tappa a Madrid prossimamente (fino al 15 giugno 2025).

Francisco Goya y Luziente, Il tempo e le vecchie”, 1810-1812, Olio su tela, 181 x 125 centimetri – Musée des Beaux-Arts, Lille, Francia

Un altro dialogo con Goya che si apre a partire dal quadro Il tempo e Le vecchie (1810-12) è quello che intrattiene l’artista Sigmar Polke, al Prado: una mostra piccola ma assolutamente splendida che narra le “Afinidades Desveladas” e l’influenza di Goya sulla pittura di Polke dal 1982, anno in cui il tedesco “incontra” lo spagnolo. Poco meno di 30 opere, molte delle quali proveniente da collezioni private e assolutamente non fotografabili, che dialogano con la più vasta della produzione di Goya, dalle immancabili Pitture Nere all’idea del Colosso, del quale Polke prende il titolo dal Maestro spagnolo o, appunto, dalla scomposizione delle Vecchie all’osservazione di altri grandi Maestri, tra cui Caspar David Friedrich.

In realtà, al Prado, è sensazionale un’altra presentazione: quella dedicata a El Greco e al ciclo delle otto pale d’altare del convento di Santo Domingo el Antiguo. Fino al 15 giugno, tra le sale del museo spagnolo, tornano le tele che il pittore dipinse a Toledo nel 1579, provenienti non solo dalla città castigliana a due passi da Madrid, dove ne sono rimaste tre, ma anche dall’Art Institute di Chicago, che ha prestato l’incommensurabile Assunzione della Vergine.

Goya, da I disastri della guerra

Tornando a Goya, una mostra che cattura un poco l’attenzione in un Museo Reina Sofia non particolarmente esaltante è quella curata da Georges Didi-Huberman, esattamente nelle corde del filosofo e studioso francese delle immagini, intitolata “En el aire comovido…”, tratta da il Romancero Gitano di Federico García Lorca.
Goya, qui, si fa presente come una delle figure chiavi che aprono alla contemporaneità e al sincretismo che Didi-Huberman cerca nel valore dell’aria commossa: l’atmosferico e l’emozionale. Così, da Tatiana Trouvé a Rodin, da Giacometti a Salvador Dalí, Didi-Huberman si interroga sul “sintomo” dell’emotività, arrivando all’emozione come incarnazione del sociale, rivolta, ribellione, azione di sovvertimento, fino ad arrivare alle “Politiche” di Pier Paolo Pasolini e Guareschi, Käthe Kollwitz, Bertolt Brecht e, chiaramente lui, Francisco José de Goya y Lucientes.

 

 

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