
Venezia potrebbe restare senza stelle e strisce. La partecipazione degli Stati Uniti alla Biennale d’Arte del 2026 è in bilico – lo riporta Artnet e non è un caso, visto che l’America del Nord è sempre stata “presente” tra i primi Padiglioni ad annunciare i suoi artisti. Eppure, il Paese, continua schiacciato tra tagli ai fondi culturali e una visione estetica tutta “Make America Great Again”. Insomma, dietro le quinte, si consuma una silenziosa battaglia che rischierebbe di lasciare vuoto uno dei padiglioni più attesi della rassegna veneziana
Con la nuova crociata artistica di Donald Trump, che ha messo nel mirino i programmi di finanziamento culturale, l’arte americana si trova in un limbo. La Biennale, vetrina d’eccellenza per il dialogo artistico internazionale, richiede anni di preparazione. E mentre molti Paesi hanno già scelto gli artisti per il 2026, gli Stati Uniti sembrano ancora senza timoniere.
Tradizionalmente, è l’Ufficio per l’Istruzione e gli Affari Culturali del Dipartimento di Stato a dare il via ai lavori, selezionando curatori e artisti attraverso un portale pubblico e mettendo sul piatto un finanziamento iniziale da 375.000 dollari. A supervisionare tutto, il National Endowment for the Arts, che convoca un comitato di esperti per valutare le proposte.
Ma stavolta qualcosa si è inceppato. Il comitato è fermo, la posizione di coordinamento al Dipartimento di Stato è vacante e il tempo stringe. “Siamo probabilmente già oltre il punto di non ritorno”, ha detto a Vanity Fair Kathleen Ash-Milby, co-committente del padiglione USA 2024, lasciando intendere che, senza un’accelerazione immediata, il padiglione americano potrebbe semplicemente non esserci.
Il portale per le candidature è tecnicamente aperto, ma presenta condizioni profondamente mutate: le nuove linee guida impongono che le opere “riflettano i valori americani” e promuovano “relazioni pacifiche con le altre nazioni”. Inutile cercare riferimenti a diversità, equità e inclusione: la nuova estetica trumpiana ha silenziato ogni menzione al DEI, mentre l’amministrazione Biden, almeno formalmente, ha ancora lasciato in dote fondi disponibili.
Non bastasse, il Dipartimento di Stato annuncia ispezioni in loco per monitorare chi riceverà i fondi, in uno scenario che sembra più una verifica ideologica che un supporto artistico.
Non succedeva dalla Seconda guerra mondiale. L’unica volta in cui gli Stati Uniti hanno disertato la Biennale fu per boicottare il fascismo e poi durante il conflitto. Oggi, a minacciare l’assenza, è una guerra interna alla cultura stessa, che rievoca censure e ideologie più che libertà di espressione.
A questo punto gli USA rischiano di diventare i grandi assenti per motivi ben più sottili e insidiosi.
Resta, dunque, una domanda aperta: chi sarà, se ci sarà, l’artista chiamato a rappresentare l’America nella prossima sfida mondiale dell’arte contemporanea? O sarà la Biennale, per la prima volta in tempi di pace, a restare without USA?













