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Biennale Architettura post-opening: la costruzione di connessioni, relazioni e utopie

©Asako Fujikura + Takahiro Ohmura, Installation view of the Japan Pavilion “In-Between” at the 19th International Architecture Exhibition – La Biennale di Venezia, Photo: houses inc., Courtesy: The Japan Foundation
Padiglione della Spagna, INTERNALITIES, 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Luca Capuano. Courtesy: La Biennale di Venezia
Dall’Ucraina alla Spagna, dal Giappone al Brasile: una visita approfondita alla 19.ma Biennale di Architettura, indagando le migliori partecipazioni nazionali in laguna

In sintesi: all’Arsenale, Carlo Ratti propone come le intelligenze possano allearsi per risolvere le questioni ambientali prodotte dall’uomo, con progetti, materiali, su un progetto espositivo curato dallo studio di architetti e design Sub, diretto da Niklas Bildstein Zaar, e il design grafico di Banziger Hug Kasper Florio, concepito come una sequenza di spazi modulari e frattali, in cui ogni sezione è un organismo che collega progetti su larga e piccola scala, creando una rete di dialogo, analogica e digitale, fisica e aumentata, in cui campeggia Elephant Chapel di Boonserm Premthada, dotata di una certa poesia, edificata con mattoni ricavati da sterco di elefante.

Ai Giardini, invece, il tema fondamentale è la collaborazione tra le diverse intelligenze, volte all’inclusività, connessione e relazione. Come dimostra la bellissima Libreria, bookshop su concept di Diane von Furstenberg, firmata da Diller Scofidio+Renfro in collaborazione con lo studio di ingegneria strutturale Schlaich Bergermann Patner, insieme a Transsolar e Tillotson Design Associates. Questa struttura temporanea, leggera, luminosa, progettata per essere trasportata ovunque, con il fine di promuovere alfabetizzazione, invita al piacere della lettura, ed è concepita come un deposito culturale nomade per interagire con il mondo, oltre che con la Biennale 2025 con i suoi 750 partecipanti in dialogo con Venezia.

Piace anche il secondo punto di aggregazione, il corner Voice of Commons, un progetto speciale della Biennale firmato dall’architetta e attivista Giulia Foscari e la sua duplice agenzia UNA-UNLESS, con il patrocinio Unesco, del Decennio ONU delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile e dell’Agenzia Spaziale Europea. Questa sede ospiterà fino a novembre talk e incontri su come risolvere le questioni ambientali e architettoniche. E un capolavoro la biglietteria progettata nel 1952 dall’architetto geniale Carlo Scarpa, riportata alla luce grazie a un intelligente progetto di recupero sostenuto da Cassina. Da notare e provare sono le due panchine sinuose e semicircolari progettate da Patricia Urquiola che si integrano ed eseguono il profilo dell’architettura esistente. Queste sedute in microcemento richiamano il linguaggio materico di Scarpa, mentre gli sgabelli Mexique di Charlotte Perriand, e i pouf Modular Imagination firmati Virgil Abloh, invitano a stare lì per conoscere genti da tutto il mondo e a fare chiacchiere.

Padiglione del Brasile, Re(invention), 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Luca Capuano. Courtesy: La Biennale di Venezia

Ricordiamo che ai Giardini, il Padiglione Centrale è chiuso per restauri e intorno quest’anno ci sono “solo” 26 padiglioni. Fra questi segnaliamo il Padiglione della Gran Bretagna, “GBR: Geology of Britannic Repair”, in collaborazione tra Regno Unito e Kenya grazie a un team multidisciplinare di curatori, che pongono al centro della riflessione il grande tema della riparazione e del rinnovamento, mettendo in evidenza come l’architettura possa trasformare gli impatti distruttivi dei sistemi coloniali di sfruttamento delle risorse del sottosuolo, attuando pratiche virtuose di recupero architettonico. La Gran Bretagna, per questa visione collaborativa, ha ricevuto una menzione speciale per una connessione tra geologia e architettura. Anche il padiglione olandese è aggregante, curato da Amanda Pinatih, su progetto del social designer Gabriel Fontana, propone “Sidelined. A Space to Rethink Togetherness”. In questa rassicurante scenografia contro l’ansia di un futuro catastrofico, gioiosamente Pop, tra schemi al plasma, oggetti sportivi e l’invitante calcetto alternativo per uso collettivo, si riflette sullo sport come strumento per individuare e risolvere problematiche di esclusione negli spazi del quotidiano. Tra gli altri padiglioni spicca per una visione antropologica quello polacco, con l’installazione “Lari e Penati: sul costruire un senso di sicurezza in architettura”, curata da un team collettivo multidisciplinare, che con ironia indaga l’architettura partendo dalle persone che abitano i luoghi e non dall’architettura. E qui, tra oggetti ritrovati o nuovi, si riportano alla luce i riti e le pratiche ancora in uso in Polonia, tramandati da generazione a generazione, come la candela esposta alla finestra che protegge la casa dalla tempesta, o la ghirlanda nei cantieri che difende gli operai dagli imprevisti. E in questo scenario folk-minimalista, campeggia l’estintore in una nicchia decorata come un affresco o esaltato da un mosaico in stile bizantino.

Padiglione della Serbia, Unravelling new spaces, 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Luca Capuano. Courtesy: La Biennale di Venezia

Hanno soddisfatto le attese il Padiglione Spagnolo, con “INTERNALIETES – Architectures for Territorial Equilibrium”, i Pesi Nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia), con “Industry Muscle: Five Scores for Architecture”, installazione performativa che tratta l’ambiente costruito come palco per azioni sociopolitiche attraverso la lente del corpo in transizione. Convince il Brasile con “RE(invention)” che vanta il miglior allestimento (insieme alla Spagna), e il Padiglione della Serbia, che dimostra come una buona idea possa risolvere questioni complesse. Sono interessanti e meritevoli i Public Program e le molteplici attività collaterali proposte nel semestre di apertura della Biennale, come le conferenze di GENS o i workshop aperti al pubblico a interagire con idee e materiali della Mostra di architettura, con il fine di mobilitare l’intelligenza collettiva per rispondere insieme alle problematiche della crisi ambientale.

Padiglione dell’Ucraina, DAKH. Vernacular Hardcore, 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia
All’Arsenale fa rumore l’Ucraina

All’Arsenale, fa pensare la resistenza e resilienza allo stato di guerra in Ucraina, che è il tema dell’installazione ospitata al primo piano della Sale d’Armi, costruita con materiali arrivati dal Paese in meno di tre settimane. Gli ucraini, spossati da una guerra sempre più inutile, alla Biennale trovano l’energia per raccontarsi con un tetto tradizionale DAKH, affiancato da materiali d’archivio sullo studio dei tetti ucraini e da un’immagine digitale generata con intelligenza artificiale dalla studiosa Tamara Kosima (1936-2016), che ha dedicato anni di studio a questo tema. Questo popolo solidale punta sulla capacità di resistenza a tre anni di invasione e undici di guerra sottesa, che genera disequilibri geopolitici nell’assetto geografico europeo e globale. Nel progetto, intitolato “DAKH: Vernacular Hardcore”, il termine hardcore mantiene il suo significato originario e indica detriti, frammenti di mattoni, macerie, insomma ciò che resta di una città distrutta, pronta per essere ricostruita. La ricostruzione dell’Ucraina dipende da un’intelligenza comunitaria, su un hardcore vulnerabile ma resistente, in cui la solidarietà e l’unione dell’Ucraina, sia locale che globale, genera resistenza, ricostruzione e sicurezza. Secondo i curatori del Padiglione, Bohdana Kosmina, Mihal Murawski e Kateryna Rusetska, il concetto di vernacolare evoca una lingua quotidiana, parlata dalla comunità in un luogo specifico.

E in questa Terra ferita da traumi culturali e bellici, resiste una lingua autoctona senza dizionario né regole precise, che rispecchia un’architettura indipendente, costruita dal basso, dalla comunità, non dagli architetti. Il tetto, che protegge da temporali e dalle bombe sganciate dai droni russi, diventa l’elemento base dell’architettura. Il tetto, che dovrebbe riparare la vita quotidiana dai pericoli esterni, è il bersaglio di una guerra che si svolge per lo più in un cielo sempre più grigio e cupo, ma sappiamo che dietro le nuvole splende il sole. Così proprio questo elemento diventa la risposta architettonica e simbolica degli ucraini, mostrando fotografie di tetti ricostruiti nelle regioni di Chernihiv, Kyiv, Kharkiv, Sumy e Zaporizhzhia, distrutti dai bombardamenti. La mostra fotografica di Yevheina Belorustes, “I posti: la regione Mykolayiv”, documenta le zone rimaste senz’acqua a causa dell’invasione. Completa il padiglione l’installazione sonora che simula la cupola dei droni protettivi, permettendo al visitatore di immergersi totalmente nell’esperienza quotidiana degli ucraini sotto un cielo non stellato, ma deflagrato da bombe.

Sempre all’Arsenale, all’entrata, spicca il Terzo Paradiso firmato dalla Fondazione Pistoletto con Transsolar, supportata da Lavazza, “The Third Paradise Perspective”, che introduce il visitatore a un’immersione fisica totalizzante alle tematiche della Biennale 2025, mettendo in evidenza la catastrofe ambientale, il dramma di una Terra fragile che avrebbe bisogno di cure, con installazioni macchinose, ingombranti e avvolgenti lungo le Corderie. Entrati all’Arsenale sarete avvolti dal buio e dall’umidità, da un caldo insopportabile, innaturale. Camminerete in mezzo a specchi d’acqua rialzati a forma circolare. Immersi in questo clima torrido prodotto da una decina di climatizzatori, proverete una sensazione claustrofobica e comincerete a cercare punti di luce, emanata da tre archi, che riflessi nelle grandi “tinozze” d’acqua formano l’inequivocabile segno del Terzo Paradiso di Pistoletto, con l’intenzione di evocare il livello del mare che avrà a Venezia nel 2100, ponendoci una riflessione sulla nostra responsabilità climatica. Stavolta in chiave prospettica, la luce de Il terzo Paradiso diventa simbolo di speranza: Paolo Naldini, curatore dell’installazione con Pistoletto, Michele Cerruti e Giulia Giovanotto, hanno dichiarato che: “È il simbolo e mito di una nuova civiltà”. Dobbiamo crederci? Forse chissà, dall’equilibrio tra gli opposti, dalla congiunzione di tre intelligenze, artificiali, naturali e collettive, secondo una prospettiva volta alla sostenibilità nel rispetto dell’ambiente, il futuro tecnologico per lo meno dovrebbe essere vivibile e non ostile all’uomo. Lavazza, sponsor della Biennale 2025, supporta anche il Canal Cafè, il progetto di fitodepurazione ibrido (naturale-artificiale) delle acque sviluppato da un team che include Diller Scofidio+Renfro, lo chef Davide Oldani, il critico Aaron Betsky e gli esperti di “Natural Systems Utilities e Sodai”, che si è aggiudicato il Leone d’Oro in questa 19.ma edizione della mostra di architettura. Si tratta di una concreta proposta ubicata alle Tese delle Vergini, vicino al Padiglione Italia, dove è possibile bere un caffè con l’acqua purificata dei canali veneziani, dimostrando come le acque dolci possano essere riutilizzate.

Padiglione del Giappone, In-Between 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Luca Capuano. Courtesy: La Biennale di Venezia
Ai Giardini: il migliore è il Giappone

Quest’anno il meglio si trova ai Giardini e fuori Biennale, ma bando agli elenchi: raccomandiamo la visita al padiglione del Giappone contro il dominio dell’uomo sulla natura, basato sullo scambio tra umano e non umano, naturale e artificiale, reale e immaginario, capace di coinvolgere anche gli elementi strutturali del bellissimo edificio che ospita il Giappone, e non si smentisce mai per eleganza, essenzialità e poesia.

Quest’anno il Giappone si distingue con il progetto “In-Between”, curato dall’architetto Jun Aoki (1956), direttore del Kyoto Municipal Museum of Art (Kyoto City KYOCERA Museum), di cui è anche il progettista, promosso dalla Japan Foundation, pensato sul tema “Intelligenza Naturale, Artificiale, Collettiva”, con il fine di mettere in discussione la superiorità e centralità umana sulle altre specie e forme di intelligenza, come quella degli animali, piante, minerali e perfino dell’Intelligenza Artificiale creata dall’uomo. Aoki, che ha lavorato con lo studio Arata Isozaki, è professore emerito dell’Università delle Arti di Tokyo e crede in una nuova visione del mondo che si trasforma grazie all’interazione di diverse forme di intelligenza. Ha dichiarato l’architetto nipponico: “Non siamo solo noi a trasformare il mondo che ci circonda: anche la nostra creatività viene trasformata da quello stesso mondo. Questo è il futuro che desideriamo immaginare.”

Padiglione del Giappone, In-Between 19.ma Mostra Internazionale d’Architettura, La Biennale di Venezia – Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by Luca Capuano. Courtesy: La Biennale di Venezia

Capirete visitando il padiglione come la crisi climatica può suggerirci nuovi modi di affrontarla e non subirla anche grazie all’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Nel dettaglio, “In-Between”, secondo il curatore, si riferisce al concetto di “ma”, nel significato dell’antica lingua giapponese, che rimanda infatti alla dimensione di uno “spazio intermedio”, che originariamente identificava anche una forma di tensione che si genera dallo scambio tra due oggetti. È un concetto complesso per indicare un luogo intermedio, altro, dove anche l’intelligenza artificiale può e deve armonizzarsi con la natura. Per entrare nel vivo di questo concetto, basta guardare una serie di piante allestite nel padiglione che, fino a novembre, cresceranno in tubi di ceramica stampati in 3D e riempiti di terra. Per dimostrare, come indica Aoki, “L’idea che esseri umani e ambiente debbano essere considerati alla pari, eliminando la divisione tra soggetto e oggetto. In termini tradizionali giapponesi, questo è il concetto di “ma”, o In-Between, un orizzonte in cui le dualità si dissolvono.”

Vi incanterà il fatto che il Padiglione Giapponese “assegna una voce” alla sua stessa architettura, in cui gli elementi distintivi dell’edificio diventano i protagonisti di un’esperienza di scambio tra due zone espositive: la galleria al secondo piano e i pilotis al piano terra. Qui, anche un video esplora il rapporto tra architettura e digitale, in dialogo con una immaginaria IA più relazionale, in cui sono state simulate possibili risposte. In questa simbiosi tra installazione site-specific e architettura, è determinante il foro che connette i due piani del padiglione, che collega gli scambi che si vedono all’interno. “In-Between” è la prima mostra allestita all’interno del Padiglione Giappone, dopo i recenti lavori di ristrutturazione ed efficentamento energetico, curati dall’architetto Toyo Ito e resi possibili grazie alla donazione di Ishibashi, in cui sono stati installati pannelli solari sulla copertura ed è stata applicata una vernice termoisolante alle pareti esterne del padiglione, costruito nel 1956 da Takamasa Yoshizaka.

© Asako Fujikura + Takahiro Ohmura, Installation view of the Japan Pavilion “In-Between” at the 19th International Architecture Exhibition – La Biennale di Venezia, Photo: houses inc., Courtesy: The Japan Foundation

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