
Il 30 maggio a Milano Stecca 3 si è svolta la mostra/evento Balancing acts, evento realizzato dal Biennio di Scultura, Tecniche della scultura
Il 30 maggio a Milano Stecca 3 si è svolta la mostra/evento Balancing acts, evento realizzato dal Biennio di Scultura, Tecniche della scultura, prof.ssa Zhenru Liang, in collaborazione con il Biennio in Visual cultures e pratiche curatoriali, Teoria e storia dei metodi di rappresentazione, prof. Domenico Scudero, Accademia di Brera, Milano, curato da Camilla Bertoni e Greta Olgiati.
Artists partecipanti: Marco Antrodicchia, Michele Bolzoni, Sanshan Cheng, Yun Hao, Chengye Liu, Kexin Ma, Weiwei Ma, Matilde Pontiroli, Sveva Salvetti, Arianna Scozzari, Luca Segantini, Bo Shang, Haoyu Wang, Shuman Yao e Bassem Zaki.
L’azione performativa Balancing Acts è una coreografia collettiva d’improvvisazione. Il gruppo di performer è composto da studenti del Biennio della Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Gli “oggetti” presenti in scena sono oggetti personali portati dai performer, senza alcun accordo preventivo, ci sono i legni multiformi del laboratorio Bricheco, le scarpe rosse da ballo, il cestino giallo di Esselunga, i libri di poesie, la sveglia quadrata, una molla blu, un fossile bianco o un’arancia… A partire da essi si costruiscono sculture precarie, mettendo in equilibrio gli oggetti secondo le leggi della gravità.

Nel creare e trasformare i legami tra gli oggetti, la magia inizia a prendere forma. Nella ricerca di nessi tra le cose, risuona il pensiero di Wittgenstein: “Lo stato di cose è un insieme significativo di oggetti. È costitutivo dell’oggetto stesso poter partecipare a un nesso. Non possiamo cogliere il significato di alcun oggetto senza considerare la rete di relazioni in cui è inserito.”
La composizione di ogni piccolo gruppo è casuale e cambia a ogni nuova costruzione. I gruppi si alternano, colgono intuitivamente il momento e iniziano a smontare la struttura del gruppo precedente, senza interruzioni. I performer, vestiti di nero, si muovono in un’ambiente composto da pubblico e oggetti, in un spazio dai toni neutri e leggeri, coinvolgente, ma al contempo straniante. Il sottofondo sonoro causato dalla caduta di materiali durante l’azione sembra accompagnare la gravità degli oggetti, guidandoli dolcemente verso il basso.

Ripetendo il gesto dell’aggiungere e del togliere, attraverso l’identità metodologica del fare scultura, “il porre e il levare”, si entra in una relazione delicata con gli oggetti e con la storia. I gruppi cominciano ad allentarsi, a entrare in armonia con ciò che hanno in mano, superando le conoscenze acquisite dalle esperienze passate e generando una forma di conoscenza sensibile, dinamica e performativa. Il corpo, la percezione e il coinvolgimento diretto con il contesto attivano “esperienze risonanti” che mettono in relazione opera, spazio e osservatore.
Molte sezioni dell’azione ricordano la serie fotografica The Equilibres, sviluppata successivamente nel film The Way Things Go (1987) di Fischli & Weiss, il cui sottotitolo recita: “L’equilibrio raggiunge la sua massima bellezza poco prima di cedere.” La nostra storia non finisce lì, ma indica un Eterno ritorno. Costruire e de-costruire sono le due facce della stessa moneta, nella ripetizione si intravedono le leggi che regolano le cose; le ricombinazioni non si ripetono mai, anche se le regole del gioco restano immutate. Qui non c’è giudizio, c’è solo esistenza — come nel sorgere e nel tramontare del sole: un ciclo che si ripete, ma ogni giorno è nuovo.

Il senso non risiede solo nella comprensione dell’esistenza ma anche nell’esperienza della relazione reciproca. Ognuno nel gruppo si impegna per un obiettivo condiviso. raggiunto insieme ai propri compagni. In questo caso, la collettività diventa la vera forza propulsiva. Nessuno di noi esiste da solo. Mentre il sole pian piano svanisce, il chiarore del tramonto si fonde con l’ultimo culmine della sinfonia. Il pubblico é invitato a partecipare: dopo aver osservato l’intero processo, è pronto ad agire con entusiasmo, fino a esaurire l’ultimo oggetto a disposizione.
Le costruzioni talvolta si sviluppano da un unico centro per poi espandersi, oppure nascono come piccole aggregazioni che gradualmente si uniscono – quasi come immaginare lo sviluppo di una città. Eppure. l’azione, nel suo carattere effimero. ci porta in una dimensione intima in stretto rapporto con il tempo. In poche ore si manifesta il tutto e il niente, in un modo attivo, che unisce corpo e mente, focalizzandosi sull’attimo presente, pronti a reagire all’imprevisto. È una sfida tra il controllo e la perdita di controllo, tra l’equilibrio e la sua rottura.

Se il fare scultura ha come origine l’azione sommava della materia che nel gaio umano diviene segno e identificazione di una forma immobile in Balancing acts questo percorso si compie in una zona di flash emozionale che racchiude in sé la forza del fare della performance umana e l’inesorabile destino del decadimento naturale. L’evento compositivo, svanisce immediatamente dopo la sua realizzazione, assume l’onere d’essere simbolo del destino di ogni prassi performativa e di ogni oggetto creato, lasciando di sé una traccia digitale e testuale in cui rielaborare la sua evanescenza metafisica.














