
“Marino Marini. In dialogo con l’uomo”, e non solo: con gli affreschi di Piero della Francesca, con gli etruschi e con una città dove il passato non passa di moda, ma alimenta il futuro
La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, la Fortezza medicea e dell’Ex Chiesa di S. Ignazio, ad Arezzo, ospitano la mostra “Marino Marini. In dialogo con l’uomo”, il più importante scultore figurativo del Novecento con Alberto Giacometti. Promossa dal Comune di Arezzo e dalla Fondazione Guido d’Arezzo – ente presieduto dal sindaco della città, Alessandro Ghinelli, e diretto da Lorenzo Cinatti a cui dal 2018 è affidata dal Comune la gestione delle attività e dei presidi culturali sul territorio, l’antologica è stata progettata dall’Associazione culturale Nuove Stanze e Magonza, e comprende oltre cento opere, tra dipinti esilaranti e sculture, con la curatela di Alberto Fiz, Moira Chiavarini e con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, editore della casa editrice Magonza.

Veduta della mostra, Fortezza Medicea, Arezzo, Cavaliere, 1947, Photo Alessandro Sarteanesi, Magonza. Copyright Fondazione Marino Marini Pistoia, Courtesy Museo Marino Marini, Firenze
La mostra: recuperare la memoria per comprendere il divenire umano
Marino Marini (Pistoia 1901 – Viareggio 1980) ha la sua prima personale a Milano nel 1932; tre anni dopo vince il premio per la scultura alla Quadriennale di Roma. In questi anni crea le Pomone, dee etrusche e romane, allegorie della fertilità, una produzione interrotta dopo gli orrori della guerra, per dare più spazio alla produzione successiva, legata alle inquietudini e sofferenze dell’uomo che ha vissuto l’orrore del conflitto.
Come scrive Marini: “C’è tutta la storia dell’umanità e della natura nella figura del cavaliere e del cavallo. È il modo di raccontare la storia. È il personaggio di cui ho bisogno per dare forma alla passione dell’uomo.”
Dal 1941 al ’43 ricopre la cattedra di scultura all’Accademia di Brera; quando abbandona Milano, assediata dai bombardamenti, si rifugia in Svizzera. In questi anni incontra Giacometti, Germaine Richier, Haller, Banninger e altri esponenti di realtà artistiche innovative. Espone a Basilea, Berna e Zurigo. Torna a Milano dopo la guerra e riprende l’insegnamento a Brera. Nel 1947 un Cavaliere entra nelle collezioni del MoMA di New York e l’anno dopo la Biennale di Venezia gli dedica una sala personale. Incontra Henry Moore, con il quale stringe amicizia, e accede a nuove esperienze europee e statunitensi.
Sarà Curt Valentin, suo mecenate, a farlo conoscere al mercato internazionale, a cui dedica un ritratto in bronzo esposto nella mostra aretina. Nel 1949 Peggy Guggenheim allestisce una mostra di scultura a Palazzo Venier dei Leoni, dove spicca L’Angelo della città, tutt’ora collocata sul terrazzo di Ca’ Venier dei Leoni, a guardia del Can Grande. In mostra c’è il gesso preparatorio del Cavallo e il Cavaliere con le braccia allargate, noto in tutto il mondo.

Nel 1988 si inaugura il Museo Marino Marini, all’interno dell’ex chiesa di San Pancrazio a Firenze. A Pistoia c’è il centro di documentazione dell’opera dello scultore, prestatori delle opere in mostra ad Arezzo. Una mostra imperdibile perché mette in evidenza come il mito antico, l’indagine sulla complessità dell’uomo moderno e la necessità di Marini di riconoscere le sue matrici culturali territoriali – nel rinnovarsi mantenendo il dialogo con il passato – sia il punto di forza che non ha precedenti.
Scrive Fiz: “Negli anni Quaranta Cavallo e Cavaliere diventano una forma autenticamente contemporanea, superando la retorica della statuaria equestre dei secoli precedenti, creando un equilibrio perfetto tra l’elemento verticale e orizzontale. Pochi anni dopo, quando sono evidenti le conseguenze della seconda guerra mondiale e le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, si spezza l’equilibrio, come si vede in Miracoli: il cavaliere viene disarcionato e il cavallo tende verso il cielo. Come dice Marino, ‘vuole bucare la crosta terrestre o vuole andare nella stratosfera’, con parole che sembrano evocare il Manifesto dello Spazialismo di Lucio Fontana nel 1947.”
Dopo l’urlo di Munch, i Gridi di Marini incarnano l’urlo disperato dell’uomo che deve resistere e salvarsi dall’orrore della guerra; visti oggi, fanno rabbrividire, travolti come siamo da venti bellicosi sconcertanti. Alla Galleria Comunale, oltre alle Pomone, al Teatro e ai Gridi, sorprende il focus su Marino e l’arte antica, etrusca, e la città di Arezzo.
È una chicca la sezione dedicata ai piccoli ritratti in bronzo, frutto di un’attenta osservazione che conferma la sua capacità introspettiva e fisiognomica di amici come Massimo Campigli, Fausto Melotti, Jean Arp, Igor Stravinskij, e tra gli altri Marina, sua musa e compagna di vita.

Moira Chiavarini commenta: “Visitare la mostra di Arezzo delle opere di Marini, allestite sala dopo sala in dialogo con lo spettatore – che le osserva con uno sguardo contemporaneo – al confronto con i vicini affreschi Storie della Vera Croce alla Basilica di San Francesco di Piero della Francesca, come si vede nel dipinto a quindici anni del maestro toscano Le Vergini (1916), si conferma l’attualità della sua ricerca artistica, tesa verso una forma archetipica, nel rielaborare in maniera originale non soltanto l’arte etrusca ma anche forme scultoree arcaiche e ieratiche senza tempo.”
Il dialogo acceso con un passato che non passa è condiviso dalla raffinata casa editrice Magonza, di Sarteanesi, fondata nel 2013, che ha collaborato in questo ambizioso progetto culturale di risalire alle “matrici” archeologiche della ricerca artistica di un “classico moderno” – direbbe Margherita Sarfatti – sviluppando l’idea filologica di risalire alle fonti del linguaggio e della poetica di Marini, inizialmente proposta da Carlo Pirovano (1939–2025), professore, storico dell’arte e studioso di un artista dall’animo inquieto e complesso.
Visitando la mostra alla Galleria Comunale, con dipinti e opere in bronzo e gesso, vince la scelta di un allestimento dinamico che rivela molte sorprese, e la collaborazione con altre istituzioni, in particolare con il Museo Archeologico Gaio Cilnio Mecenate di Arezzo, che ha concesso Testa di giovane con frammento di copricapo (200–100 a.C.), reperto etrusco di grande raffinatezza, rinvenuto durante gli scavi della Catona del 1918 ad Arezzo.
Ed è proprio dal confronto visivo tra archeologia e modernità, passando dal disegno Zuffa di cavalieri (1927 ca.), proveniente dalle Gallerie degli Uffizi, che rievoca le scene affrescate da Piero della Francesca nella Cappella Bacci all’interno della Basilica di San Francesco ad Arezzo, adiacente alla Galleria Comunale, che tutto torna: si capisce che dietro il progetto c’è cura scientifica e l’obiettivo comune di rigenerare questa indimenticabile città, dove è nato Giorgio Vasari (1511–1574), poliedrico artista, letterato e primo storico dell’arte italiano dell’Evo Moderno.

Sono mozzafiato le sculture monumentali ospitate nella Fortezza Medicea, dove incanta lo straordinario Miracolo del 1952, e tra le altre monumentali sculture, un raro Cavallo del 1947, irrorati di luce naturale e artificiale, dove si ha l’impressione di vivere in un tempo arcaico-presente e infinito insieme, rarefatto, epico ed eterno.
Marini ha goduto di successi ancora in vita, grazie ai suoi contatti internazionali, ai mecenati Curt Valentin e poi Pierre Matisse, senza dimenticare il Gran Premio per la scultura ricevuto alla Biennale di Venezia del 1952.
La sua prima mostra antologica in uno spazio pubblico, a Palazzo Venezia a Roma, risale al 1966, quando in Italia spopola la Pop Art, grazie a Giovanni Carandente (allora Sovraintendente alle Gallerie d’Arte medioevale e moderna del Lazio), e gli “archeologismi” non sono di moda, che riconosce nello scultore italiano “una dignità antica all’immagine nuova dell’uomo”.
L’attitudine pittorica di Marini esplode nelle opere giocose e colorate degli anni ’60 in mostra alla Galleria Comunale, e qui seducono colori accesi, con pennellate di giallo e arancione e altro ancora, il suo tratto sintetico, post-picassiano, di giocosa astrazione che anticipano la Transavanguardia. Vedere per credere!













