
In un momento storico in cui l’archeologia sembra vivere una stagione straordinariamente fertile, il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Unesco ha annunciato l’ingresso di 26 nuovi siti nella sua prestigiosa lista. E a dominare la scena, questa volta, è la preistoria: antichi allineamenti di pietre, incisioni rupestri millenarie e architetture dimenticate che riaffiorano dal tempo per entrare ufficialmente nel patrimonio condiviso dell’umanità.
Nel corso della riunione tenutasi a Parigi, l’Unesco ha premiato luoghi che raccontano i primordi della civiltà. Ma non è un caso isolato. Negli ultimi mesi, la cronaca culturale è stata letteralmente attraversata da una vastità di nuove scoperte archeologiche in tutto il mondo: tombe intatte, città sommerse, templi nascosti sotto strati di vegetazione o cemento. Le notizie si susseguono con una frequenza quasi quotidiana, suggerendo un momento di rinnovato slancio — o forse di nuova sensibilità — verso le tracce del passato.
Una riflessione si impone: stiamo semplicemente osservando i frutti di tecnologie più avanzate e campagne più sistematiche, oppure c’è qualcosa, nel nostro tempo presente, che ci spinge a cercare con più intensità ciò che è stato?

Resta poi il tema della conservazione. In Australia, il sito di Murujuga è oggi minacciato da nuove attività industriali. Il suo ingresso nella lista Unesco sarà sufficiente a garantirne la tutela? Il passato continua a parlare, e oggi lo fa con un’intensità sorprendente. La sfida — sempre più attuale — è capire cosa voglia davvero dirci.













