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Report Tate: crollo dei giovani Europei nei musei

Tate Modern.
Tate Modern.
Negli ultimi anni, la Tate ha registrato un netto calo delle presenze, ma una recente indagine interna, condivisa con The Art Newspaper, rivela che la principale causa non è da ricercarsi nella programmazione espositiva, come sostenuto da alcuni critici, bensì in un cambiamento demografico profondo, soprattutto tra i giovani europei.

Il dato più eclatante riguarda la fascia d’età compresa tra i 16 e i 24 anni: nel 2019-2020, la sola Tate Modern aveva accolto 609.000 visitatori provenienti dall’Europa in questo gruppo demografico, mentre nel 2023-2024 il numero è sceso a 357.000. Si tratta di una riduzione del 41% in soli quattro anni. È un crollo significativo, soprattutto considerando che questi giovani rappresentano uno dei principali pubblici di riferimento per le gallerie d’arte contemporanea, molto più che per i musei generalisti.

In generale, i dati mostrano che l’affluenza complessiva alle sedi Tate (escludendo Tate Liverpool, attualmente chiusa per lavori fino al 2027) è calata da una media annua di 7,4 milioni di visitatori nel triennio pre-Covid (2017-2018, 2018-2019 e 2019-2020), a una media di 5,8 milioni nei due anni più recenti (2022-2023 e 2023-2024). Questo calo è attribuibile quasi interamente alla componente internazionale: mentre il numero dei visitatori dal Regno Unito è passato da 3,8 milioni a 3,6 milioni – una riduzione contenuta – i visitatori internazionali sono scesi da 3,6 milioni a 2,2 milioni. In termini percentuali, la Tate ha recuperato circa il 95% dei visitatori domestici rispetto al periodo pre-pandemia, ma è ferma al 61% per quanto riguarda quelli internazionali.

La direttrice Maria Balshaw attribuisce la contrazione del pubblico giovanile europeo alla doppia influenza di Brexit e pandemia. Da un lato, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha reso più complesse le possibilità di studio, lavoro e mobilità per i giovani europei. Dall’altro, la pandemia ha segnato profondamente la fine del loro percorso scolastico e universitario, modificando priorità e stili di vita, incluso il modo di viaggiare. “Oggi, questi giovani” – sottolinea Balshaw“semplicemente non sono più presenti a Londra come prima”.

I dati statistici confermano questa lettura. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica britannico, tra il 2015 e il 2019 il numero di visitatori annuali dall’UE si è mantenuto stabile intorno ai 24 milioni, ma nel 2023 è sceso a circa 22 milioni. Sebbene il numero resti alto, la composizione demografica è cambiata: a viaggiare di meno sono proprio i giovani. Il professor Ross Bennett-Cook, esperto di turismo dell’Università di Westminster, spiega che la crisi del costo della vita colpisce in modo sproporzionato la Generazione Z e i Millennials, molto più dei Baby Boomer o delle generazioni più anziane, rendendo i viaggi meno accessibili.

In parallelo, l’afflusso di studenti europei verso le università britanniche è crollato: le università di Bath e Anversa parlano di un calo compreso tra il 48% e il 64%. Inoltre, secondo il Migration Observatory dell’Università di Oxford, la migrazione netta dall’UE verso il Regno Unito è diminuita del 70% rispetto al 2016. In sostanza, ci sono meno cittadini europei residenti nel Regno Unito, il che si traduce anche in meno motivi familiari o amicali per viaggiare.

Tate Modern.

Nonostante queste difficoltà, la Tate continua ad attrarre un pubblico giovane locale. Durante l’evento “Birthday Weekender” alla Tate Modern, tenutosi su tre giorni, il museo ha accolto 76.000 visitatori, di cui ben il 70% aveva meno di 35 anni – il doppio rispetto al consueto per questo tipo di manifestazione. Il programma “Tate Collective”, riservato agli under 25, conta oggi 180.000 iscritti attivi. Secondo Balshaw, questo dimostra che la proposta artistica è ancora capace di parlare alle nuove generazioni britanniche. Il problema è che lo stesso non sta accadendo con il pubblico europeo, semplicemente perché molti di questi giovani non sono più presenti nella capitale britannica.

Liam Darbon, direttore del settore “pubblici e innovazione” della Tate, sottolinea un altro trend preoccupante: il marcato calo dei visitatori provenienti dall’Asia nordorientale, in particolare dalla Cina e dal Giappone, un dato che rispecchia la generale stagnazione del turismo da quelle aree rispetto alla ripresa, più dinamica, dei flussi dal Nord America, dall’Australia e dall’Arabia Saudita.

Secondo Darbon, le fasce di età tra i 16 e i 35 anni rappresentano il punto di passaggio tra il pubblico tipico dei “musei-museo” e quello più affine alle gallerie d’arte contemporanea. Per questo, l’assenza di giovani europei ha un impatto molto più rilevante sulla Tate rispetto ad altre istituzioni culturali.

Il quadro generale del settore museale nel Regno Unito resta comunque eterogeneo. Alcuni musei – come il Natural History Museum, la National Portrait Gallery o il Pitt Rivers Museum di Oxford – hanno visto una crescita importante nel 2024, mentre altri, come il Manchester Museum, il Museo Marittimo di Liverpool o il Science Museum di Londra, faticano ancora a recuperare i numeri pre-pandemici. In quest’ultimo caso, ad esempio, solo un terzo dei visitatori nel 2024 è arrivato dall’estero, contro una media del 46% prima del Covid.

Secondo l’indagine 2024 dell’Art Fund condotta tra 324 direttori di museo, il 57% ha riportato un aumento dei visitatori rispetto all’anno precedente, ma solo il 25% ha registrato una ripresa effettiva del pubblico internazionale. Anche l’Arts Council England, nel suo rapporto annuale, conferma che la media delle visite nei musei è calata del 10% rispetto al quinquennio precedente, e che il 30% delle istituzioni ha perso più del 25% del proprio pubblico. In controtendenza, i musei scozzesi hanno registrato nel 2023-2024 un incremento rispetto ai livelli del 2019-2020, con una composizione così ripartita: 21% visitatori locali, 36% nazionali e 42% internazionali.

Tutti gli attori del settore – dalla Tate al British Museum, dal Science Museum all’Arts Council – concordano comunque sull’importanza fondamentale della programmazione per attrarre pubblico. Tuttavia, i dati messi in luce dalla ricerca della Tate suggeriscono che la variabile determinante oggi è di natura socioeconomica: esterna, strutturale e in molti casi indipendente dalle politiche culturali dei musei.

Inoltre, nel sistema museale britannico, dove le collezioni permanenti sono gratuite, il numero dei visitatori non può tradursi direttamente in ricavi tali da garantire la sostenibilità economica. Lo dimostra l’allarme suscitato dalla recente Spending Review del governo britannico: nei prossimi quattro anni si prevedono tagli significativi ai finanziamenti pubblici per la cultura, con possibili riduzioni del personale e degli stipendi. La commissione parlamentare per i conti pubblici ha persino avvertito che oltre il 50% dei consigli locali in Inghilterra rischia l’insolvenza, il che mette ulteriormente in pericolo i fondi destinati ad arti, musei e gallerie.

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