
Metti un venerdì sera di quelli in cui a Venezia l’aria sembra sospesa tra l’odore del mare e quello della pizza sfornata dai locali per turisti, ma in fondo a via Garibaldi c’è qualcosa di diverso: l’apertura di “Anatomia di una natura morta” di Avelino Sala, spagnolo, venuto a raccontarci con coltelli e piume quello che sta succedendo qui,
Lo spazio della 10 & zero uno è un’ex macelleria, e già questo bastava a creare suggestione: piastrelle bianche come un acquario svuotato, il ricordo di carcasse appese e coltelli affilati, ora sostituiti da lame di vetro di Murano. Una volta servivano a tagliare. Adesso brillano sotto le luci come reliquie, e la gente le guarda con rispetto e un filo di paura. C’è chi pensa all’artigianato, chi al turismo che ha trasformato Venezia in una Disneyland, chi al gesto antico del macellaio che qui dentro passava le sue giornate. Poi, poco più in là, le piume. Piume vere, leggere, come prese da un cuscino o da una maschera di carnevale. Sala le usa da tempo, e qui diventano il contrappunto fragile alle gondole, ai palazzi, alle cartoline infinite che raccontano Venezia al mondo. Basta poco per capirlo: la leggerezza non è libertà, è piuttosto un promemoria che questa città rischia di svanire in silenzio, senza rumore.

Le piazze un tempo piene di bambini sono oggi ingombre di tavolini, e invece delle botteghe si aprono supermercati anonimi. La città resiste, ma barcolla. E poi arriva il finale: una mappa di Venezia appesa nella cella frigorifera come un pesce morto. Lì capisci che Sala non ha intenzione di consolare nessuno: Venezia è quel pesce: ancora integro, ma immobile, in attesa di qualcuno che decida se cucinarlo o salvarlo. È un’immagine che resta dentro. Qualcuno si ferma a discutere di barocco e Marc Augé, di “non-luoghi” e di identità. Ma la verità è che dentro quella macelleria trasformata in galleria non ci sono solo opere: ci sono domande. Cosa significa vivere in una città che rischia di diventare solo vetrina? Come si resiste quando l’acqua non basta più a lavare via la plastica e i souvenir? Sala, da artista, fa la cosa più semplice e più spietata: osserva. Prende coltelli, piume, pesci, e li ripresenta in una forma che ci disarma.
E noi, che pensavamo di venire a una mostra, ci ritroviamo dentro una specie di resa dei conti. Fuori, intanto, la Mostra del Cinema. Dentro, in via Garibaldi, una manciata di persone parla di una città che lotta per non diventare fantasma. È un contrasto perfetto, veneziano fino all’osso: da un lato i riflettori, dall’altro le domande scomode. Sala non recita, non ammicca. Ti lascia lì, con la città-pesce appesa, con le piume che non volano, con i coltelli che non tagliano più ma luccicano come promesse infrante. E tu, uscendo nella sera tiepida, ti chiedi se anche Venezia, come quell’opera, stia solo aspettando di essere salvata.













