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Fra rivoluzione e tradizione. Dalì in mostra a Roma

Dalì. La perla. L’infanta Margarita d’Austria da Las Meninas di Velazquez, 1981 Dalì. La perla. L’infanta Margarita d’Austria da Las Meninas di Velazquez, 1981
Dalì. La perla. L’infanta Margarita d’Austria da Las Meninas di Velazquez, 1981
Dalì. La perla. L’infanta Margarita d’Austria da Las Meninas di Velazquez, 1981
Più di sessanta le opere proposte, tra dipinti disegni documenti e materiali audiovisivi, per la mostra di Salvador Dalì al Museo del Corso

Pittore fondamentale della pittura del Novecento, Salvador Dalì è un autore che non delude. Anche se definito a volte surrealista visionario, ogni tentativo di etichettarlo gli sta stretto. La mostra di Roma è un invito a leggerlo in modo altro, suggerendo al visitatore la conoscenza dell’intero percorso creativo: dal periodo che lo vede coinvolto nelle avanguardie europee al dialogo rigoroso e intimo con i grandi maestri della storia dell’arte. Sotto la direzione scientifica di Montse Aguer, Direttrice dei Musei Dalí, e la curatela di Carme Ruiz González e Lucia Moni, l’esposizione Dalí. Rivoluzione e Tradizione si apre nella ricorrenza del centenario dalla prima mostra personale dell’artista spagnolo.

Più di sessanta le opere proposte, tra dipinti disegni documenti e materiali audiovisivi, che costituiscono la base dell’esposizione che fa leva sulla contrapposizione: amore per il classico – talento irriverente. Un dualismo che Dalì non ha mai tradito. Una tensione profonda fra due poli apparentemente inconciliabili: la rivoluzione e la tradizione. È questa dialettica a caratterizzare la cifra più vera della sua arte. A proposito di rivoluzione la sua adesione al Surrealismo proclama l’aspetto creatore dell’inconscio che non si lascia aggiogare dalla visione ordinaria del senso comune. Abolendo la supremazia e la sorveglianza dell’io a favore della profondità e della vitalità infinita dello stesso inconscio. La Direttrice dei Musei Dalí, spiega che Questa mostra ci presenta un Dalí che si è consacrato come un grande maestro dell’arte, al pari di Picasso, Velázquez, Vermeer, Raffaello.

Picasso

L’incontro con Pablo Picasso, avvenuto a Parigi nel 1926, è il segnale di una svolta: da lì in poi, Picasso diventa per lui modello e rivale insieme. Se inizialmente ne fa il simbolo della modernità, in seguito lo trasforma in un termine di confronto necessario: un antagonista ideale, lo specchio in cui calcolare la propria grandezza. Da questo confronto nasce il celebre “metodo paranoico-critico”, con cui Dalí visualizza i pensieri irrazionali, generando immagini doppie e ambigue.

 

Dalì. Autoritratto con collo di Raffaello, 1921
Dalì. Autoritratto con collo di Raffaello, 1921

Ma proprio mentre la sua fama come surrealista subisce un forte incremento, Dalí non si lascia ingabbiare. Negli anni Quaranta e Cinquanta dichiara apertamente di voler “diventare classico”: non un ritorno nostalgico, ma una nuova sfida. Studia con rigore i grandi maestri europei, Velázquez Vermeer Raffaello – e ne fa i pilastri di una riflessione teorica che culmina nel trattato 50 segreti magici per dipingere (1948), le cui illustrazioni sono esposte per la prima volta in Italia in questa mostra.

La sua visione prediletta, sostiene Claudio Strinati, nel saggio in catalogo, è quella del deserto, dei relitti abbandonati, pietrificati e crollanti. È la pittura di un luogo fisico che viene percepito come metafisico. Un nessun luogo, un nessun tempo, ma con un nitore e un’evidenza delle immagini degni, appunto, di un Raffaello.

Le opere

Un’ evidente testimonianza di fisicità-metafisica la si trova in Elementi enigmatici in un paesaggio del 1934. La sua bellezza è legata ai dettagli, ai colori brillanti. Alle tante tonalità di giallo, verde e azzurro. Dalí raffigura un paesaggio, tra il reale e l’immaginario, con alcuni “elementi enigmatici” che si manifestano sotto un cielo intensamente luminoso. In questo paesaggio tipico dell’Empordà ci sono nuvole di varie forme. Gli onnipresenti cipressi, elemento iconografico che ritorna nell’opera di Dalí. E che rimanda alla serie di dipinti de L’isola dei morti di Böcklin (1880-1886

La figura principale, al centro del quadro, allude a Vermeer. Dalí lo amava molto e in questo dipinto si riferisce all’ Allegoria della pittura (1666/1668). Dove si scorge un pittore, forse lo stesso Vermeer, visto di spalle dinanzi al suo cavalletto. Posto su uno sgabello di legno. Nel dipinto di Dalí si può vedere un personaggio con indumenti simili e nella medesima posa. Se però, da un lato, Vermeer ritrae il pittore in uno spazio chiuso, il suo atelier, dall’altro Dalí lo rappresenta in un luogo aperto, fra la natura, nel proprio paesaggio.

 

Dalì, Elementi enigmatici in un paesaggio 1934
Dalì, Elementi enigmatici in un paesaggio 1934

Il suo interesse per la tradizione è evidente anche nel suo aspetto fisico. Lo si percepisce già negli anni Venti, quando Dalí inizia a dipingere i suoi primi autoritratti. Ha circa diciassette anni quando realizza Autoritratto con il collo di Raffaello. L’artista si ritrae in primo piano, con capelli lunghi e basettoni. Ciò che dice pittore in merito al suo aspetto in quel periodo denotano la venerazione per il maestro di Urbino, figura che emula: “Mi ero lasciato crescere i capelli, lunghi ormai quanto quelli di una fanciulla, e, guardandomi allo specchio, assumevo volentieri l’espressione di malinconia, l’affascinante atteggiamento di Raffaello nell’autoritratto. Mi sarebbe piaciuto tanto assomigliargli!”.

Ne La Perla. L’infanta Margarita d’Austria da “Las Meninas” di Velázquez del 1981, una vera e propria ossessione per Dalì, fino ad affermare che “di questo quadro conosco perfino l’odore che aleggia nella casa dell’Infanta”. E la protagonista assoluta è appunto l’infanta Margarita, che sembra essere sospesa nell’aria, nello spazio. Al posto del suo viso, Dalí inserisce una perla, simbolo di una bellezza eterna, incorporea e lunare. (La luce che scaturisce dalla perla ricade sull’abito, dipinto con lievi pennellate e tocchi luminosi che gli conferiscono una concretezza quasi palpabile).

L’impronta di Picasso riemerge in Figure sdraiate sulla sabbia (1926). Quest’opera di piccolo formato evoca la serie di bagnanti del pittore malagueño negli anni Venti. Mentre in Picasso le figure sembrano allargarsi con un’energia che intacca ogni movimento, in Dalí si percepisce un contenimento voluto: impaginati con rigore cubista nella volumetria e nella tavolozza cromatica, perdono la fluidità organica e si avvicinano più a strutture scultoree che a corpi viventi. Integrate nelle rocce, queste figure sembrano fondersi con l’ambiente. Questa fusione tra organico e geologico, tra carne e pietra, anticipa un motivo ricorrente nell’immaginario successivo dell’artista, dove le metamorfosi tra corpo e paesaggio saranno costanti.

Dalì. Rivoluzione e Tradizione
A cura di Carme Ruiz González e Lucia Moni
Fino al 1° febbraio 2026
Museo del Corso – Polo museale
Palazzo Cipolla, Roma

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