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Anatomia di uno spettacolo: “Michel – The Animals I Am” alla Triennale

Michel - The Animals I Am, ph Katie Edwards
Michel – The Animals I Am, ph Katie Edwards
Per l’ultima sera, alla Triennale di Milano, va in scena “Michel – The Animals I Am“, onirico spettacolo di Chiara Bersani che sembra spiegarci tutto quello che ci aspettiamo da un palco. E che non succede

Tre corpi come tre soprammobili e il respiro.
Comincia così Chiara Bersani, tre corpi che paiono dormire e ci accolgono sul palco a sipario aperto ben prima di entrare.
Ronfano, russano, sognano.
Cosa sognano? Questa è la domanda,
Una di loro sta sulla sedia a rotelle, l’altra riposa su di un alto tavolo in posizione fetale, la terza sta, come una lampada sul tavolino, con tanto di filo che dal collo la collega a terra. La collega a cosa? È un cilindro nero. Ossigeno?

Non vediamo dove arriva il filo. I suoi capelli lentamente fluttuano nel nero del vuoto.
Due microfoni penzolano giù e amplificano il respiro. La luce, sempre identica, tace.
The animals I am è un lavoro onirico, fatto di tutto quello che ci viene in mente mentre questi tre corpi faticosi respirano.

Corpi che non possono stare in piedi da soli e stanno sul palco, dentro a tre tute di lurex nere, sostenute dal tavolo, dalla sedia a rotelle, la terza da un braccio, mentre noi aspettiamo qualcosa.

La sedia a rotelle ha un telecomando e la tipa si volta verso di noi, apparentemente dorme, il capo reclinato passa da una spalla all’altra. Quella di mezzo ha steso le sue gambette oltre la superficie del tavolo, la terza di stende.

Il lavoro si intitola The Animals I am e qui ammiriamo l’animalità iperculturata di tre corpi esposti come in un acquario di luce nera.

Guardo e scrivo, la non azione me lo permette. Le avranno sedate? Qualcuna russa. Ogni tanto un arto raggiunge la verticalità e una voce sottofondo canta una nota sola.

Siamo a metà spettacolo.

Mi stanno insegnando un nuovo modo di guardare? Mi stanno spiegando tutto quello che mi aspetto su di un palco e che non succede?

I versi, sono, ogni tanto, anche quelli paleolitici di un uomo, di un maschio, contrapposti all’unica nota acuta femminile.

La carrozzina vira di altri trenta gradi, della ragazza sul tavolo alto vediamo la schiena e anche la signora-lampada si muove insieme al filo, il suo viso sempre un mistero.

I capelli dal centro del vuoto si sollevano sopra al tavolo, lo spettacolo ha compiuto 25 minuti, un braccio si fa spazio nel vuoto, un umano abbaia (voce soltanto) un’altra voce vibra, le tre sono sveglie.

I capelli si muovono a ritmo animale. Sono versi, potrebbe addirittura essere un orgasmo, che dopo un climax all’improvviso smette.

La signora al centro pare avere proporzioni normali. Ecco, cosa vuol dire normale? Vuol dire riconoscibile? Simile a me?
Vuol dire che potrei esserci io lì o una persona non disabile?

Questo spettacolo sonda i limiti del nostro silenzio, della curiosità silente, non osiamo chiedere come siano effettivamente fatti questi corpi.

La signora col filo si alza ed è chiaramente piccola piccola. Si muove sul bordo del tavolino ed emette dei versi come dei baci. Ci guarda con un occhio solo, l’altro è coperto di capelli.

Io non so dove arrivi il filo. Seguiamo trepidando i suoi piccoli passi esitanti. La carrozzina retrocede nel buio. La signora lampada allunga un braccio verso di lei.

Io lo conosco bene quel gesto di allungarsi senza toccare.
L’abbiamo toccate tutte il vuoto. Il braccio torna al suo posto, lungo il busto, senza contatto.
La voce dice sì, si, si, sarà, salà.

La luce forte illumina il corpo al centro. La carrozzina arriva in primo piano. È lei che parla, ripetendo le stessa parole senza senso, gli occhi chiusi, fa un po’ paura.

Chiara Bersani, ph. Rebecca Lena

La signora piccola è scesa dal tavolino, la signora di mezzo poggia sul tavolo come un pappagallino.

La signora piccola parla con voce roca e dice parole che non conosco, poi l’inghiotte l’oscurità. È tutto incomprensibile, è buio e bello e pauroso. È il buio delle fiabe che si fa avanti, quello popolato di non so che.

Poi un’altra luce, un faro antipatico, una signora a 4 zampe, sono tre ombre ora. Siamo a 35 minuti di concentrazione ininterrotta e c’è anche del canto, oltre alle parole che sembrano incantesimi di strega.

La signora al centro è in ginoclio, io non so se prega. Non lo so. La voce dice shhhh poi s d’arresta.

Nessuno dice più niente.

Io sono qui di fronte.

La cascata dei minuti è spicciola, le schiene sono tre.

La musica, piano, appena appena. Note accennate, la luce ora è più calda. Qualcuno da qualche parte suona.

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